Ci sono giornali e tv
che se la prendono con i poveri e con il reddito di cittadinanza, con i
barboni che dormono nelle strade delle città, con chi dissente con Mario
Draghi, sulla guerra, sulla Nato.
(MASSIMO NOVELLI – Il Fatto Quotidiano)
Ma ci fu un tempo in cui ci s’indignava per il “dolore del mondo offeso”, di cui scriveva Elio Vittorini. Indignazioni per le ingiustizie, per le trame del potere: Leonardo Sciascia nell’Affaire Moro, Pier Paolo Pasolini negli Scritti corsari. Ora, rammentava Goffredo Fofi in Strade maestre, c’è “una goduta supinità degli intellettuali alle non molte varietà del potere”.
S’indignavano scrittrici, scrittori, giornalisti e giornaliste. Camilla Cederna (1911-1997) promosse appelli sciagurati, come quello contro il commissario Luigi Calabresi, e fece sbagli gravi (accusò Enzo Tortora di essere colpevole), ma ciò non può cancellare il resto, far dimenticare che pagò sempre di persona. Adele Cambria (1931-2015) scrisse della Cederna: “Anche Camilla, come suo fratello, sosteneva che il buon giornalismo presuppone la capacità di indignarsi”.
S’indignò Oriana Fallaci (1929- 2006), e indignandosi faceva tremare i potenti. Lina Coletti, inviata dell’Europeo, ricordava che “forse era la più leggendaria di tutti, lei e il ‘suo’ Vietnam, spari e polvere, morti e orrori, ma anche Gran Potenti da trucidar con la penna”. S’indignò ancora nel 2001, quando sul Corriere della Sera, il 29 settembre, scrisse l’articolo intitolato “La rabbia e l’orgoglio”, con cui fustigava l’Europa, l’Occidente, colpevoli a suo dire di non avere coraggio di fronte all’islamismo dopo gli attacchi dell’11 settembre. Si poteva essere d’accordo o o meno, era indubbia la passione.
S’indignava Mario Farinella, giornalista e poeta, nato un secolo fa, nel luglio 1922 a Caltanissetta, e morto a Palermo nel ’93. Firma di punta del giornale L’Ora, fu autore con Felice Chilanti della prima grande inchiesta sulla mafia. Era uno capace di adirarsi ancora, in un corsivo sull’Ora, per il costo del pane, il pane dei poveri, dei braccianti, degli zolfatari, di chi ha solo pane. Farinella era della schiatta di Carlo Levi, Chilanti, Sciascia, Bruno Caruso, Vincenzo Consolo, Giuliana Saladino. Da giovane aveva dato vita a Caltanissetta al giornale Vita siciliana, su cui esordì Sciascia nel 1944 con un articolo sul poeta Salvatore Quasimodo.
La poesia di Farinella era di denuncia, come in Tabacco nero e terra di Sicilia; così i suoi libri, tra cui La zolfara accusa. Lettera da Lercara Friddi, e il giornalismo. Scrisse sull’Ora, nel ’68: “Ma io, modesto ma partecipe cronista di questa terra siciliana, che cosa ho da raccontare, quali sensazioni e quali ricordi ho da allineare, che non siano di desolazione, di sofferente miseria, di disperazione e di sangue? Sono stanco di vedere morti rattrappiti lungo le strade, stanco di descrivere la vita dei poveri negli sconsolati paesi siciliani e di dover poi ritornarvi, quasi a data fissa, quasi sospinto da un destino immutabile, per enumerare cadaveri: e sono sempre poveri corpi massacrati da chi comanda: dai padroni della zolfara, ieri, e poi dagli agrari, dalla mafia in privato, e poi sempre pubblicamente, impunemente dalla polizia lanciata con ira irragionevole, con nemica intenzione”.
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