mercoledì 29 dicembre 2021

USA. Ospedali in mano ai militari: i medici se ne vanno, e arriva la Guardia Nazionale

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guardia nazionale

L’hanno chiamata “the great resignation“, ovvero la stagione delle dimissioni. Milioni di americani hanno lasciato il loro posto di lavoro, un po’ perchè costretti dalla chiusura dei vari comparti produttivi, un po’ perchè l’obbligo vaccinale ha avuto i suoi effetti. Tra questi molti cittadini hanno semplicemente cambiato datore di lavoro, reinventandosi secondo la migliore tradizione statunitense.  Ecco che alcuni analisti hanno infatti respinto il termine dimissioni, sostituendolo con la stagione della migrazione (“the great migration”).

Tuttavia, c’è un punto che resta fermo e su cui difficilmente anche gli esperti si troveranno in disaccordo. Ci sono lavori e lavori, figure professionali più specifiche e figure professionali più duttili e adattabili. Più facile sostituire un commesso in un negozio, meno facile sostituire un medico in corsia. Per quanto rimescoliamo la forza lavoro, vediamo che comunque una parte dei posti rimane scoperta necessitando di  sostituti qualificati. Ed è esattamente quello che sta avvenendo adesso negli ospedali di diversi  stati americani.

La soluzione, se di soluzione si può parlare,  è stata temporaneamente  individuata nel dispiegare la guardia nazionale. All’aumentar dei pazienti, aumenta proporzionalmente il numero dei militari inviati. La guardia nazionale, si ricordi, è una divisione dell’esercito che risponde sia al presidente, sia ai governatori dei singoli Stati, per cui è di utilizzo ottimale in caso di emergenze locali. Lo stesso Biden ha dichiarato ieri che “(…) non c’è piu’ una soluzione federale al problema Covid, ma solo locale(…)”,  affermazione che molti hanno letto come aperta ammissione del fallimento delle proprie politiche e strategie antivirus tanto decantate a inizio mandato.

I compiti dei militari sono i piu’ svariati, dal servizio ambulanze, al monitoraggio dei pazienti a rischio, dal servire il cibo ai degenti, al supportare il testing dei nuovi possibili pazienti, oltre ovviamente, per coloro che ne hanno i requisiti, sostituire medici e staff infermieristico. Diversi gli stati che hanno optato per questa gestione, ricordiamo New York, Massachussets, Ohio, Maine, Indiana,  New Hampshire, Oregon, Kentucky, California  anche se il numero è sicuramente destinato a crescere.

E in Italia come vanno le cose? Anche da noi molti ospedali lavorano sott’ organico, una situazione già grave da tempo che l’obbligo vaccinale per i sanitari non ha fatto altro che acuire ed esasperare. Sono infatti anni che i giovani medici fuggono all’estero dove ricevono  tutele  e stipendi migliori, e oggi parlare di  soluzioni rapide ed efficaci è pura utopia.

Anche le proposte che si fanno non riescono comunque a dare una boccata d’ossigeno al sistema nell’immediato, o addirittura ne ostacolano la ripresa. Si pensi al  caso dell’accordo della regione Sicilia con una università argentina, che manderà i suoi medici solo dopo che questi avranno terminato la loro formazione, oppure al nonsense tutto italiano dell’ostacolare medici stranieri che desiderano lavorare negli ospedali italiani, seppur aventi diritto con iter burocratico semplificato. “Siamo davvero in emergenza?”, verrebbe da chiedersi.

Anche qui qualcuno vèntila di seguire l’esempio statunitense e chiamare l’esercito,  ma si ricordi che per quanto i militari svolgano il loro compito al meglio, per lo meno negli Stati Uniti, ci sarà comunque un giorno in cui i pazienti vorranno rivedere camici bianchi e non uniformi in corsia. E quel giorno è davvero molto vicino.

MARTINA GIUNTOLI

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