lunedì 27 dicembre 2021

A cosa serve il panico?

La sola idea che si valutasse l’obbligo di tampone per poter accedere agli eventi natalizi anche per le persone vaccinate ha sorpreso molti, inclusi alcuni scienziati al di sopra di ogni sospetto. Strenui sostenitori dell’ecumenismo vaccinale forzato esteso anche ai bambini, essi ora parlano di professionisti del panico, politici paurosi e calcolatori e media catastrofisti che vivono solo di brutte notizie. Non si può – dicono – mandare messaggi sbagliati al popolo. A cosa serve il panico?


comune-info.net Sergio Porta

E a me non rimane, alla fine dell’anno di grazia 2021, che stupirmi dello stupore. Mi chiedo se davvero si possa pensare che persone di questo livello non sappiano il valore che il panico ha per mantenere il potere e cosa ci sia dietro questa strategia. Ogni cosa che essi dicono dalla posizione che occupano ha un valore principalmente politico così come la loro posizione sui vaccini. Il potere insegue la vaccinazione di massa dei bambini sani anche per ragioni simboliche e politiche: occorre indirizzare la narrazione pandemica a formare la massa su ritualità fondamentalmente identitarie.

Imporre restrizioni e chiusure draconiane sarebbe impensabile senza questo passaggio, di cui sono parte integrante l’individuazione del nemico da avviare alla discriminazione – l’untore no-vax, e la proposta salvifica – comunità dei mascherati e vaccino. E a chiunque pensi si stia indulgendo in capziosi intellettualismi, basti la lettura della recente testimonianza di Elena Stancanelli su Repubbica, dove la potenza di questo meccanismo si rappresenta in forma cristallina, perfino parodistica nella sua perfetta, lucidissima cecità: evocare i tamponi, chiude Stancanelli, “sminuisce, simbolicamente, il vaccino, che è stato il nostro rito di passaggio, che ci ha dato accesso a questa nuova comunità, che si è attrezzata per contrastare il Covid. Deve rimanere la nostra unica password per la serenità”. 


 

Ora in molti si chiedono quali motivi sanitari ci siano che supportino questa escalation apparentemente senza fine. Sappiamo bene che questo virus ha rappresentato un’emergenza sanitaria in determinati specifici momenti e a discapito di specifici gruppi di persone, che sappiamo caratterizzare molto chiaramente per età e fragilità. Molti si interrogano su quali siano le ragioni mediche per arroccarsi su un messaggio massimalista riguardo ai vaccini, che cioè la vaccinazione vada imposta con la forza a tutta la popolazione. E perché farlo con modalità talmente aggressive da ledere gravemente la tenuta sociale e istituzionale del paese?

A me pare evidente che una gestione saggia e disinteressata avrebbe consigliato al contrario una proposta di “protezione focalizzata”, nell’ottica della prevenzione personalizzata. Ci si chiede quindi se questa proposta sia stata osteggiata con decisione perché avrebbe determinato da un lato la radicale riduzione del business vaccinale: i vaccini sarebbero stati destinati prevalentemente a una parte della popolazione e avremmo avuto una radicale riduzione del business della migrazione digitale. Infatti senza lockdown e didattica a distanza la spinta verso la digitalizzazione sarebbe stata praticamente inavvertibile.

Infine – cosa che più direttamente conta per le élites – la protezione focalizzata avrebbe reso impossibile la regolazione “a rubinetto” della circolazione del denaro nell’economia reale attraverso la combinazione paura/lockdown/green pass e la conseguente compressione dei consumi: una strategia, questa, cruciale per il grande capitale, l’unica possibile per continuare politiche di colossale espansione monetaria ed evitare al contempo la tempesta inflattiva [leggi anche Paradigma Covid: collasso sistemico e fantasma pandemico].

Per tutte queste ragioni, nessuna delle quali medica e tutte invece strettamente inerenti l’esercizio del potere, la protezione focalizzata (inclusa la protezione vaccinale focalizzata), così come i trattamenti medici a domicilio e il rafforzamento del sistema sanitario nazionale sia nella sua parte territoriale che in quella ospedaliera, non avrebbero mai potuto essere prese in considerazione dal potere, il quale infatti su questi fronti è stato sempre silente se non apertamente ostile. Il punto è questo: nel momento in cui questi scienziati da subito, pubblicamente e in modo estremo, hanno chiuso la porta in faccia alla protezione focalizzata per sedersi comodi sulla sella della “cavalleria dei vaccini”, anche se lo hanno fatto per convinzione scientifica, di fatto hanno contribuito in modo decisivo a sdoganare un’intera agenda politica che è concentrata essenzialmente sull’escalation della paura e sul mantenimento di uno stato di emergenza permanente. Sul sistema del panico di cui ora a gran voce si lamentano.

È possibile che sfuggano loro questi collegamenti tra il sistema sanitario, il sistema economico/finanziario, il sistema di potere e il sistema simbolico e della psicologia della massa? Eppure ascoltammo da loro riflessioni sagge sulla natura propriamente sindemica del problema pandemico, una natura che obbligherebbe le politiche pubbliche ad alzare lo sguardo dalla questione puramente medica e a navigare con saggezza tra i vari scogli seguendo la rotta per l’uscita dalla pandemia. Vorrei dire loro, però, che sullo scoglio del terrore e del massimalismo tecno-scientista ci siamo andati a sfasciare già da tempo. Le conseguenze di questo naufragio saranno inimmaginabili. E io credo fermamente che molti di essi non si rendano conto nel modo più assoluto di dove saremo tra cinque-dieci anni lungo questa strada.


Sergio Porta è Professore di Progettazione Urbana, Direttore della Urban Design Studies Unit e co-Direttore della Strathclyde Research centre of Urban Policy and Technology alla University of Strathclyde di Glasgow, UK.

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