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Un sistema sociale subordinato al “mercato” e agli interessi privati è un sistema inchiodato. Sterile, senza visione, incapace di progettare. Ma cerca di apparire l’opposto (decisionista, autorevole, lungimirante).
La riprova – l’ennesima – l’abbiamo in questi giorni, quando ad un aumento vertiginoso dei contagi (e sostanzioso anche nelle morti, nonostante i vaccini) si cerca di rispondere con la riduzione dei tempi di quarantena (una sostanziale abolizione) per contagiati, guariti, “venuti a contatto con contagiati”.
Una resa all’incapacità di contenere la pandemia, in nome della “necessità di non bloccare l’economia”.
In altre parole: accada quel che deve accadere, muoia chi deve morire, ma qui bisogna continuare a produrre. Inutile far notare che questo significa far dilagare il virus, favorire l’insorgere di “varianti”, bloccare comunque massicciamente la produzione nel momento in cui milioni di febbricitanti comunque dovranno restare a casa.
Inutile far notare che per molte attività – turismo, ristorazione, spettacolo, cultura, alberghiero, ecc – comunque è già venuta a mancare “la clientela” (perché malata o terrorizzata). E che, quindi, più si va avanti così più si blocca quell’economia che si vorrebbe salvare.
Un sistema asservito agli interessi privati ragiona sui tempi brevissimi, più spesso sul passato, mai su prospettive e conseguenze. Don’t look up!
La stessa cosa accade con il debito pubblico di tutti gli Stati, cresciuto enormemente – e giustamente – proprio a causa della pandemia. Logica vorrebbe che questa massa di debito “eccezionale”, dovuta a ragioni extra-economiche e non a “colpe” di tizio o caio, venisse gestita con criteri altrettanto eccezionali; una tantum, se non altro.
Manco per idea.
A livello dell’Unione Europea – il vero “governo” con cui dobbiamo fare i conti – si sta pensando invece di gestirlo con le regole già esistenti, appena modificate con quel tanto di “pragmatismo” che l’eccezionalità richiede.
L’analisi puntuale di questa intenzione, che si va già già traducendo in disposizioni operative, viene fatta da Guido Salerno Aletta su TeleBorsa. E parte proprio dall’inusuale lettera a quattro mani di Draghi e Macron al Financiale Times (invece che in una sede istituzionale).
Il problema da affrontare è effettivamente enorme: la massa di debito, vecchio e nuovo, che grava sugli Stati. Va ricordato che la crescita abnorme del debito è diretta conseguenza della decisione (presa nel 1981, per quanto riguarda l’Italia) di impedire alle banche centrali nazionali (e poi anche alla Bce) di comprare titoli di stato del proprio paese già all’atto dell’emissione.
In questo modo, anziché realizzare la “virtuosa” riduzione della propensione statale a far debiti e dunque “costringerli” a ridurre la spesa pubblica, si sono resi gli Stati dipendenti dai finanziamenti privati da reperire sul mercato finanziario, concorrendo tra loro con tassi di interesse più alti.
Non stranamente, questo “divieto” è stato in parte aggirato con l’esplosione della crisi del 2007-2008, da cui l’Occidente non si è mai effettivamente ripreso. Il quantitative easing della Bce (e della Federal Reserve Usa), al di là delle chiacchiere, si è concretizzato esattamente nell’acquisto di titoli di stato, oltre che di titoli privati “deteriorati”, ossia pressoché privi di valore.
In questo modo, però, la Bce – per la parte europea – si è riempita di titoli che ora deve in qualche modo smaltire, aumentati peraltro dal “debito pandemico”. Un repulisti che si può fare in molti modi, decisamente diversi tra loro. Sia nello stabilire chi ci rimette e chi ci guadagna, sia nel peso che possono avere sullo sviluppo stesso dell’economia.
Il modo più malsano è quello di passare questa massa di debito dalla Bce al Mes, il cosiddetto “fondo salva-stati” cui nessun paese vuol far ricorso perché implica “condizionalità” tali da legargli le mani per sempre.
E quindi è proprio questa la “soluzione” per cui propendono i soliti e molto presunti paesi “virtuosi” d’Europa (Germania, Olanda, ecc).
Questo ritorno in grande stile del Mes – era scomparso dagli schermi un anno fa, quando Renzi e altri pretendevano che vi facesse ricorso il governo Conte II, ma non se ne parlò più non appena Mario Draghi entrò a Palazzo Chigi – è il ritorno feroce della peggiore austerità.
Aggravata, in questo caso, perché le condizionalità proprie del Mes si andrebbero a sommare con quelle del Pnrr – 528, tra “riforme”, “impegni”, ecc – e con le rigidità insostenibili previste dal Fiscal Compact (tagliare il debito pubblico del 5% annuo per 20 anni, in modo da portarlo al 60%; che è poi, curiosamente, il livello del debito italiano quando, nel 1981, si decise di separare la Banca d’Italia dal ministero del Tesoro per… ridurre il debito!).
Per la parte analitica vi lasciamo al testo di Salerno Aletta. Il giudizio politico più generale è quello da cui siamo partiti: un sistema sociale subordinato al “mercato” e agli interessi privati è un sistema inchiodato. Sterile, senza visione, incapace di progettare.
Che si scava la fossa mentre dichiara di voler decollare…
Buona lettura.
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La Nuova Troika: MES, PNRR, Fiscal Compact
Guido Salerno Aletta – Agenzia Teleborsa
Tutto è cominciato con la lettera a doppia firma al Financial Times del Presidente francese Emmanuel Macron e del Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, in cui si auspicava una profonda revisione delle regole europee in materia di disciplina fiscale, visto che quelle contenute nel Fiscal Compact si sono dimostrate per un verso oscure e complesse e per l’altro inefficaci a sostenere la crescita economica.
Inutile dire che queste critiche alla eccezionale severità imposta ai bilanci europei sin dai tempi del Trattato di Maastricht che risale al 1992, cioè a trent’anni fa, arrivano tardi, solo dopo l’ennesima crisi economica sistemica determinata dalla epidemia di COVID-19, dopo quella globale che si era già scatenata a partire dal 2008 a seguito del fallimento della Lehman Brothers.
Ora non è il momento di recriminare: bisogna guardare avanti, e considerare congiuntamente i seguenti dati:
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I debiti pubblici europei sono aumentati a dismisura, di circa il 20% in rapporto al PIL, in modo pressoché omogeneo in tutti i Paesi, per via delle spese adottate per sostenere le famiglie e le imprese durante le fasi più dure della pandemia. L’Italia è arrivata nel 2021 ad un rapporto debito/PIL pari al 159,8%, la Francia ad oltre il 120%: l’obiettivo di ridurre questa percentuale al 60% in 20 anni, al ritmo del 5% l’anno come è prescritto dal Fiscal Compact è irraggiungibile. L’Italia dovrebbe ridurlo quindi del 5% l’anno, una percentuale quasi tripla rispetto a quella della crescita economica: per raggiungere questo obiettivo si dovrebbe imporre ogni anno una imposta patrimoniale, saccheggiando i risparmi.
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La BCE, già sul finire del 2019, aveva ripreso gli acquisti di titoli pubblici (PSPP) sulla base del Quantitative Easing che era stato sospeso a fine dicembre 2018. Alla fine di novembre scorso, le detenzioni di titoli pubblici sono ammontate complessivamente a 2.618 miliardi di euro. Per i principali Stati dell’Eurozona, le detenzioni sono le seguenti: Germania 632 miliardi, Francia 512 miliardi, Italia 430 miliardi, Spagna 304 miliardi, Belgio 91 miliardi.
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In totale, a fine novembre, la BCE ha detenzioni di titoli pubblici dell’Eurozona per 4.116 miliardi di euro. Ipotizzando un PIL nominale nel 2021 pari a 12 mila miliardi di euro, si tratta dunque del 34%.
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Per quanto riguarda l’Italia, la BCE ha in portafoglio titoli pubblici per 651 miliardi: considerando che il PIL nominale del 2021 dovrebbe essere di 1.779 miliardi, si tratta di una percentuale pari al 36%. Se si tiene conto che ad ottobre scorso il debito pubblico complessivo dell’Italia è stato pari a 2.710 miliardi, ne deriva che la BCE ne detiene il 24%.
Dagli esperti di Palazzo Chigi e dell’Eliseo viene ora lanciata una proposta, volta a dare una sistemazione a queste enormi detenzioni da parte della BCE di debiti pubblici “pandemici”: in un periodo pluriennale, tra il 2022 ed il 2026, dovrebbero essere ceduti al MES, il Fondo Europeo Salva Stati.
Per
l’Italia, al ritmo di 68 miliardi di euro l’anno, si tratta di un
totale di 340 miliardi. E’ una somma pari al 19,2% del PIL, in pratica
al maggior debito pubblico contratto per contrastare gli effetti della
pandemia naturalmente, la cessione riguarderà, con modalità pressoché
analoghe, i debiti pubblici “pandemici” di tutti gli altri Stati
dell’Eurozona.
Questa proposta mira a sgravare la BCE, e dunque la politica monetaria, dalla gestione di questa immensa mole di debiti pubblici che deve invece rispondere alla politica fiscale.
In pratica, il MES comprerebbe dalla BCE i titoli di Stato “pandemici” che ha in portafoglio emettendone sul mercato di nuovi, per un importo corrispondente, avendo la caratteristica di debito comune europeo, e dunque di safe asset, il risparmio nell’onere degli interessi sarebbe consistente, soprattutto per Paesi come l’Italia.
L’Idea è pericolosa per tre motivi:
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Si pianifica un tapering micidiale, (una riduzione della liquidità dei mercati) senza tener conto delle tensioni inflazionistiche in atto e dell’andamento dello spread che già sta penalizzando i titoli italiani sin dallo scorso inverno. Infatti, mentre nel progetto si dichiara di voler sgravare la politica monetaria di una incongrua incombenza, al contrario si interferisce con la politica monetaria della BCE.
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Infatti, visto che la BCE cederà al MES i titoli che ha in portafoglio, dovrà ottenere in cambio la liquidità corrispondente al loro valore, liquidità che a sua volta il MES deve ricevere dal mercato: questa è una stretta monetaria in piena regola.
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Per evitare la stretta monetaria, la BCE dovrebbe a sua volta “prestare liquidità” al MES: e potrebbe farlo solo comprando i nuovi titoli emessi dal MES che hanno come sottostante i titoli di Stato nazionali che la BCE gli ha appena venduto. Un inutile pasticcio.
L’Italia non ci guadagnerebbe affatto dalla emissione di titoli da parte del MES, su cui si dice che pagherebbe un tasso inferiore rispetto a quello che grava sulle proprie emissioni, anzi ci perderebbe assai.
Bisogna precisare infatti che, per evitare che un default del debito di uno Stato gravi sulla BCE e quindi su tutti gli Stati dell’Eurozona, i titoli acquistati per ragioni di politica monetaria dalla BCE sono iscritti come attività nel conto del patrimonio dalla Banca d’Italia, che opera in nome e per conto della BCE.
E’ la Banca d’Italia ad essere creditrice del Tesoro, e dunque a sopportare le perdite per un eventuale default; ed è sempre la Banca d’Italia che retrocede annualmente al Tesoro l’ammontare degli interessi incassati sui titoli che ha in bilancio, al netto delle spese di gestione e negoziazione.
Invece, il MES restituirebbe agli Stati solo la differenza tra gli interessi pagati dagli Stati al MES sui titoli pubblici che il MES ha comprato e gli interessi pagati al mercato dal MES sui titoli di propria emissione.
Ben diversa era la proposta formulata tempo fa da Paolo Savona, secondo cui l’accordo multilaterale per la stabilizzazione dei debiti pubblici eccessivi doveva essere fatto direttamente tra gli Stati interessati ed il MES: in questo caso, a fronte di idonee garanzie, i singoli Stati avrebbero potuto cedere al MES la propria posizione debitoria sui titoli già emessi, ed il MES ne avrebbe emessi di propri ritirando dal mercato quelli già emessi dagli Stati.
Essendo di migliore qualità e di minor rischio in considerazione dell’emittente, i nuovi titoli avrebbero pagato interessi inferiori a quelli dei singoli Stati. Questa proposta, flessibile e modulare, era stata elaborata prima di dar vita al PNRR e non andava ad incidere sulla liquidità e dunque sulla politica monetaria: era sostanzialmente uno swap tra titoli con diverso grado di rischio.
Se
passa questa proposta, oltre ai vincoli alla politica fiscale del
futuro Fiscal Compact ed agli impegni già assunti per ottenere i
prestiti del PNRR, l’Italia dovrà fornire altre garanzie al MES.
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