martedì 28 dicembre 2021

Financial Times: il reddito minimo universale è utile e poco costoso.

Se prendesse la forma di una deduzione sulle tasse e fosse accompagnato da un paio di semplici riforme di ottimizzazione fiscale, il basic income potrebbe essere versato alla totalità della popolazione e garantire 8.500 euro l’anno a tutti, con l’ulteriore vantaggio di abbattere l’elusione e l’evasione delle imposte. Ecco la ricetta per un reddito universale sostenibile, basato sull’economia del Regno Unito […]


infosannio.com (DI MARTIN SANDBU)

In due semplici mosse, si può portare il costo netto del reddito minimo universale (Universal basic income) a circa il 5% del prodotto interno lordo di un Paese, garantendo comunque un importo significativo ai cittadini. I calcoli qui di seguito dimostreranno in che modo, lo stesso ragionamento è spiegato in un video pubblicato sul sito del Financial Times.

L’idea da cui partire è considerare il reddito minimo universale come un’imposta negativa sul reddito, ossia come deduzione fiscale piatta rimborsabile. Un pagamento “rimborsabile” significa che le persone che non hanno reddito, o hanno un imponibile molto basso, riceverebbero l’importo del reddito minimo, o comunque la differenza tra il valore del reddito e le tasse, in contanti.

Facciamo un esempio. Supponiamo che il reddito universale venga pagato a tutti gli adulti. Per la maggior parte delle persone il pagamento avverrebbe in busta paga, nella forma di una deduzione fiscale sulle imposte in busta paga o nella dichiarazione dei redditi. Il pagamento in contanti scatterebbe soltanto quando il carico fiscale comprensivo del reddito di base diventasse negativo. A seconda della loro situazione fiscale e lavorativa, le persone potrebbero scegliere liberamente di ricevere la deduzione del reddito di base su base annuale oppure di riscuoterlo in contanti tutti i mesi e poi pagare un consuntivo al momento della dichiarazione dei redditi. Tutti gli adulti residenti avrebbero, naturalmente, un modo semplice per registrarsi se per qualunque ragione non facessero già parte del sistema fiscale nazionale. Anzi, il reddito di base darà loro un incentivo a farlo.

Ora, parlando dell’importo, quale potrebbe essere un valore decente per un reddito minimo universale in un’economia come quella inglese, per esempio? La mia proposta è che dovrebbe valere un terzo del reddito medio disponibile pro capite. Ovvero un terzo dell’importo che le famiglie britanniche spendono al netto di tasse e trasferimenti, diviso per la popolazione. Il che equivale a poco più di 7.150 sterline l’anno, o quasi 600 sterline al mese, usando il valore del reddito familiare disponibile pro capite del 2019, pari a 21.475 sterline, per escludere qualsiasi effetto della pandemia.
Il reddito familiare disponibile rappresenta il 64% del Pil britannico, che nel 2019 era di 33.568 sterline pro capite. Infine, il 79% della popolazione del Regno Unito ha 18 anni o più, quindi il reddito minimo universaleproposto in questo esempio ammonterebbe a 0,79 x 0,64 x (1/3), ossia circa il 17% del Pil.

Messa così la cifra è sconvolgente: nessun governo scriverebbe mai un disegno di legge con una misura del genere. È a questo punto che bisogna notare che, nel progetto di reddito universale come imposta negativa sul reddito, gran parte della spesa pubblica non apparirebbe in realtà come un esborso diretto dello Stato, ma come una riduzione delle tasse. Quando il reddito minimo universale è versato nella forma di una deduzione fiscale, infatti, è denaro che lo Stato non prende, non qualcosa che paga attivamente. Le tasse verranno incassate da tutti i contribuenti che dovranno all’erario una somma più alta del valore dell’importo del reddito che portano in deduzione.

Questo meccanismo renderebbe superflua una misura che esiste in tutti i sistemi di imposizione fiscale sul reddito che conosco: la soglia di guadagno sotto la quale non è dovuto versare nessuna imposta o oneri sociali. La logica di queste “esenzioni” è che le persone che guadagnano poco vanno risparmiate dall’obbligo di pagare imposte dirette (va aggiunto che difficilmente gli Stati estendono questo atteggiamento caritatevole alle imposte indirette). Una detrazione fiscale rimborsabile ottiene lo stesso risultato. Quindi ecco la mia prima proposta: facciamo sì che il reddito minimo sostituisca le fasce d’imposta zero sul reddito, così tutti riceveranno il reddito minimo universale come deduzione ma saranno tassati dal primo centesimo in più guadagnato. Nel contesto del Regno Unito, ciò significherebbe eliminare l’indennità personale dell’imposta sul reddito e le soglie dell’assicurazione nazionale.

I dati più recenti che sono riuscito a trovare sul sistema fiscale britannico dicono che Londra valuta il peso di queste “spese fiscali” (ossia il denaro che non prende in tasse sul reddito e sull’assicurazione nazionale, ma che potrebbe ricevere se non esistessero le fasce fiscali a zero per cento di imposizione) in circa 150 miliardi di sterline nel 2016, ovvero circa il 7,5 per cento del Pil di quell’anno. Questo calcolo include anche la cosiddetta “soglia superiore”, legge che fa pagare ai più ricchi residenti del Regno Unito un tasso molto più basso di assicurazione nazionale rispetto ai redditi medi.

Questo 7,5% di Pil è un gettito fiscale che non è stato incassato per via delle soglie minime di reddito, e che con il reddito minimo universale universale invece continuerà a non essere incassato per via dell’introduzione del reddito di base come deduzione fiscale. In altre parole, non solo questa riorganizzazione fiscale non è un costo netto del passaggio al sistema del reddito universale, ma anzi riduce la stima del costo netto del passaggio al modello di reddito universale a meno del 10% del Pil.

Passo successivo: in alcuni casi, il reddito minimo potrebbe sostituire altri benefici esistenti. Questa possibilità è controversa, e infatti molte persone sono contrarie al reddito minimo universale perché temono che possa riservare ad alcuni un trattamento peggiore dell’attuale. Per questo motivo propongo solo uno delle diverse riforme possibili. La mia proposta è che con il reddito detraibile il Regno Unito elimini la pensione statale minima. Perché proprio la pensione? In parte perché il livello di questo sussidio è quasi esattamente lo stesso del reddito di base che lo sostituirebbe (7.155 sterline per 52 settimane); in parte perché la maggior parte dei beneficiari della pensione minima hanno probabilmente pochi altri redditi da lavoro e quindi non avrebbero beneficiato in precedenza delle fasce defiscalizzate. In altre parole, gli attuali percettori di una pensione minima verrebbero sussidiati allo stesso modo dallo Stato anche dal reddito di base.

Secondo l’Office for Budget Responsibility, il costo della pensione statale minima al livello nazionale si aggira intorno al 5% del Pil del Regno Unito. Ecco dunque che togliendo questo sussidio, quindi, il costo netto della mia proposta di riforma del reddito universale si riduce ulteriormente e scende al 5% del Pil. Siamo arrivati alla cifra enunciata all’inizio dell’articolo.

A questo punto, la questione è dove trovare i soldi per finanziare questo 5% del Pil nazionale. Si può pensare di ottenerlo con l’aumento delle tasse: sarebbe una riforma ingente ma concepibile. Per esempio, una tassa sulle grandi ricchezze netta dell’1% calcolata sul 10% più ricco del Paese raccoglierebbe, da sola, circa il 2% del Pil. Ma senza dubbio ci sono anche altri benefici che questo livello di reddito minimo universale potrebbe rendere superflui, da usare per ammortizzare il conteggio, come il sussidio per chi è disoccupato in cerca di lavoro, che ha un importo molto basso in Gran Bretagna.

Ma lo scopo del mio esempio, al di là dei calcoli, è soprattutto illustrare in modo concreto due idee di fondo. La prima è che, anche se i numeri utilizzati si basano sull’economia del Regno Unito, la maggior parte dei sistemi fiscali dei Paesi ricchi sono strutturati allo stesso modo e quindi potrebbero calcolare lo stesso rapporto di costi. I regimi di indennità e di esenzioni esistenti nei regimi fiscali occidentali sono variegati ed estesi in tutti i Paesi, perfino negli Stati Uniti, e rappresentano dei costi nascosti per il sistema. La seconda questione è che un reddito minimo universale concepito come una deduzione fiscale che sostituisce le spese fiscali esistenti costa molto meno in termini netti di quanto spesso si pensi. È ancora una misura costosa, certo, ma nella giusta prospettiva acquisisce una dimensione che rientra nell’ambito di quello che si può, e si dovrebbe, discutere tra persone serie. È ora di cominciarla, questa discussione seria.

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