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mila pernice
A trent’anni dagli inizi e in occasione dell’uscita del nuovo disco-cofanetto “1990-2020”, abbiamo incontrato Luca Mascini e ripercorso insieme la storia di musica e di lotte degli Assalti Frontali.
Luca, innanzitutto non tutti sanno cosa significa la “A” di Militant A…
Viene da Avana, perché pensavo che sarei andato un giorno a vivere a L’Avana, nel paese più bello che poteva esserci al mondo, quello della Rivoluzione dei Barbudos. Il mio sogno era proprio vivere a Cuba. In un libro che doveva uscire l’anno scorso ma di cui abbiamo dovuto rimandare la pubblicazione a causa del lockdown, racconto che negli anni del liceo ero il più piccolo di tutti nel mio giro, perché stavo sempre coi compagni più grandi, che mi chiamavano Luchino.
Sono stato “er Luchino” per anni e poi, quando mi sono sentito pronto, da Luchino sono diventato Militant A. Militant perché mi sentivo militante di base, era un omaggio a tutti i compagni che mandano avanti le occupazioni, le manifestazioni… senza di loro non succedono le cose. E “A”, appunto, per Avana.
Da lì sono passati 30 anni. Buon compleanno quindi ad Assalti, questi ultimi trent’anni li abbiamo passati insieme, nelle piazze, nelle strade, nelle manifestazioni, nei concerti. Per celebrarli è uscito a dicembre il nuovo disco-cofanetto, “1990-2020”, con doppio CD/LP, con una selezione di 16 pezzi della storia di Assalti Frontali, sei singoli per la prima volta su supporto fisico e due pezzi nuovi, Porta per volare e Compagno Orso. Il disco è già alla seconda ristampa e si può ordinare su www.assaltifrontali.it. Hai detto che non si tratta di una semplice raccolta..
Non è un disco nostalgico, è un disco che racconta 30 anni di attività ininterrotta. Un terzo è stato scritto negli ultimi 3 anni, Simonetta, Fuoco a Centocelle, Città Fantasma; questi pezzi simboleggiano anche un po’ quello che voglio fare io con il rap, cioè raccontare la realtà anche elevandola a leggenda, raccontare un’epopea.
Ci sono alcune persone che sono state fondamentali per la vita collettiva, come Simonetta Salacone, oppure momenti importanti come è stato quello in cui venivamo attaccati nel quartiere, a Centocelle, quando bruciavano le librerie, i locali e non si capiva bene cosa fosse. Tutto il quartiere in quei giorni era per strada e c’era bisogno anche della musica e della poesia.
Questo disco è un viaggio nel tempo, dagli anni ‘80, quando crollò il muro di Berlino e sembrava che la storia fosse finita. Invece spuntavano migliaia di ragazzi che chiedevano di avere voce, che volevano buttare giù tutti i muri e quindi occupavamo l’università e gli spazi in periferia e nascevano i centri sociali. Sembrava che la storia fosse finita e invece c’era ancora tanto da fare e da dire.
Poi è arrivata la resistenza culturale a Berlusconi, ai fascisti in doppiopetto, poi Genova 2001 e tutto quello che è venuto dopo. La selezione dei pezzi è stata abbastanza difficile, ho scelto le canzoni più rappresentative, che fossero evocative e di ricordo per chi le ha vissute.
Anche per le nuove generazioni, Assalti è ancora un punto di riferimento nel panorama musicale. Siete molto presenti nelle playlist delle occupazioni delle scuole..
Si, il disco è pensato anche per dare subito un’idea di quello che è il nostro lavoro ai giovani che si avvicinano alla nostra musica.
In questi giorni hai portato il sostegno ai ragazzi del Kant in occupazione, hai cantato le lotte studentesche in Cattivi maestri, e poi la storia di Simonetta, del Lago che combatte, la Roma Meticcia, Mappe della libertà, le vicende raccontate in Fuoco a Centocelle. C’è sempre uno stretto rapporto tra Assalti Frontali e le lotte a Roma.
Io ci sono cresciuto nelle lotte e ho pensato, adesso guardandomi indietro, che effettivamente ho vissuto in una grande confusione generale, scambiando un giorno per l’altro, scambiando il giorno per la notte. Ma era ciò che dava ordine a tutto: partecipare alle lotte, guardare la bellezza della natura e fare hip hop. Queste sono le tre cose che hanno sempre messo ordine nella mia vita e che mi avvicinano a quel concetto di felicità che ognuno di noi in qualche modo insegue.
Chi ci critica dice che siamo troppo politici. Effettivamente siamo nati in un altro contesto, un contesto molto acceso e quando ho cominciato a fare rap non lo faceva nessuno, al contrario di adesso che è ovunque. Per me l’arte doveva essere in qualche modo utile e lo penso ancora. Stiamo parlando di rap, di ritmo e poesia che trasmettono emozioni e sono convinto che non c’è cultura senza emozione, l’emozione è il primo passo per arrivare a una consapevolezza più grande.
Gli studenti che stanno lottando, che si stanno riprendendo la scuola, vivono situazioni nuove, vedono le cose in modo diverso da prima, cambiano orizzonte e la musica in tutto questo ha un ruolo. La mia idea di Assalti Frontali è questa, portare una luce nuova attraverso l’emozione. Alcuni compagni mi hanno detto: “nei momenti in cui ci siamo sentiti piccoli, tu ci hai fatto grandi”.
Il primo pezzo nuovo, che apre il disco, Porta per Volare, racconta non solo nel testo ma anche nelle sonorità le atmosfere in cui nacque Onda Rossa Posse. Come nacque l’idea di calcare il terreno inesplorato dell’hip hop in italiano?
Porta per volare è l’idea che l’hip hop è una porta da aprire per prendere il volo. E per me lo è stato. Sono cresciuto negli anni ‘80 che erano un momento di passaggio: gli anni ‘70 erano vicini, con la storia delle grandi lotte che c’erano state, il conflitto nei quartieri, e noi vivevamo una realtà di repressione, i compagni erano in galera, c’era l’idea che ormai la rivoluzione era stata sconfitta e quindi eravamo all’angolo.
Quando ero piccolo a San Lorenzo vedevo questa scritta grandissima “Nessuno può fermare la rivoluzione comunista” e capivo che serviva un nuovo linguaggio. Io ascoltavo il punk e la musica che arrivava da New York e cercavo di raccontarla nelle trasmissioni a Radio Onda Rossa, ma i testi in inglese e la musica che poteva essere scambiata per “disco”, non creavano un vero interesse. Io invece ne ero innamorato.
L’hip hop veniva dai ghetti, dai discendenti degli schiavi, che non avevano niente, disperati e poveri, e avevano cominciato a cambiare la loro vita con l’arte. Finita la scuola sono stato negli Usa, poi a Kingston in Giamaica, a Londra, a Brixton, a vederli coi miei occhi e quando sono tornato volevo portare questo nuovo linguaggio nel movimento. Abbiamo cominciato a fare le prime rime in radio, poi una canzone, poi un concerto, poi il primo disco.
Con il testo di Batti il tuo tempo ho pensato che volevo fare il manifesto di quell’epoca. E’ uscita una canzone perfetta: quando c’è stata l’occupazione della Pantera il pezzo, dove raccontavo di una nuova generazione in campo, era già pronto. Era questa nuova generazione di ragazzi, che non erano più quelli che avevano fatto gli anni ‘70, ma erano venuti dopo e volevano prendere nuovi spazi: quindi raccontavo le occupazioni, il Leoncavallo, l’equilibrio tra il legale e l’illegale.
Con Batti il tuo tempo volevo proprio dire “stai sul tuo tempo, prenditelo, svegliamoci”. Dalla nascita di questo nuovo linguaggio, siamo saliti sui camion, nei sound system delle manifestazioni, questo dava una carica inclusiva. Con la Pantera vincemmo proprio sul piano del coinvolgimento e della radicalità.
L’altro nuovo pezzo, che chiude il disco, è Compagno Orso, di cui a breve uscirà il video: un pezzo bellissimo, che racconta la storia di Lorenzo Orsetti, scritto insieme al giovanissimo Er Tempesta e a Nummiriun.
Si, è l’idea della poesia per raccontare le nostre leggende, quelle delle persone che hanno combattuto per la libertà, è quasi una “epica del movimento”. Quella di Lorenzo è una storia che ha colpito tutti per la sua determinazione: in questo mondo senza punti di riferimento ci sono dei ragazzi che vanno a morire a migliaia di chilometri da casa per una causa di libertà degli altri popoli, che è la causa di tutti. Il video che uscirà tra poco è fatto con delle tavole di vari illustratori romani.
Mi sono anche reso conto che tanti giovani non sanno proprio chi sia Lorenzo Orsetti e così ho pensato di fare una canzone proprio insieme ai ragazzi: Er Tempesta ha 17 anni, l’ho conosciuto nei miei laboratorio rap e gli ho detto “tu vieni con me…”, e Nummiriun, che ho incontrato durante i concerti a Zona 22, a San Vito Chietino, da subito mi ha impressionato per quanto è potente. Questa canzone è una delle più belle che ho fatto nella mia carriera, anche se mi piace pensare sempre che la più bella sarà quella che viene dopo.
Chiudo strappandoti una promessa: che quando l’emergenza Covid sarà finita ci incontreremo tutti in un grande concerto di Assalti Frontali.
Non vedo l’ora, ne abbiamo bisogno. Stiamo soffrendo tanto la mancanza di socialità, di occasioni per stare insieme sia come dimensione umana e sociale, sia professionale, perché mancando i concerti manca un pezzo grandissimo del lavoro dei musicisti. Lo prometto, ci riabbracceremo sopra e sotto al palco.
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