sabato 6 febbraio 2021

L'effetto Mario Draghi fa brindare le banche: +10% dopo l'incarico.

Piazza Affari chiude in bellezza la settimana dell'ex presidente Bce. Spread sotto quota 100, ipotetico risparmio di 1 miliardo.

Draghi

L’incarico da premier affidato a Mario Draghi fa brindare Piazza Affari, ma a stappare la bottiglia sono i titoli bancari. Nonostante la parte finale della seduta abbia visto una inversione di tendenza, l’ultimo giorno della settimana Milano ha chiuso in positivo a +0,8%, a metà tra l’apertura e il massimo intraday. Il principale indice borsistico chiude così una settimana registrando +7%, mentre da mercoledì - cioè da quando è stato affidato l’incarico all’ex presidente della Banca Centrale Europea di formare un nuovo governo  - un +4,6%. Un rialzo molto più marcato per le banche quotate, rimaste toniche anche oggi, in scia all’effetto Draghi, che fanno decisamente meglio, con un salto in avanti del 9,5% solo tra mercoledì e venerdì.

Anche nell’ultimo giorno di contrattazioni i titoli degli istituti finanziari sono stati i protagonisti, con Bper che ha chiuso in testa con un progresso del 4,7%. Bene anche Intesa Sanpaolo (+2,6%), dopo i conti 2020 che hanno registrato un utile netto contabile pari a 3,27 miliardi e con la proposta del ceo Messina ai soci di dividendi in contanti per 694 milioni “pari al massimo consentito dalla raccomandazione della Bce”. Banco Bpm ha guadagnato l′1,05% e Mediobanca l′1,36%. Giornata positiva anche per Unicredit (+2,17%) nel giorno in cui il presidente “designato” Pier Carlo Padoan ha indicato che Unicredit crescerà anche per linee esterne e non ha escluso che sarà valutata anche l’acquisizione di Monte Paschi di Siena, come si ipotizza da tempo in borsa. Il titolo di Mps, fuori dal segmento FTSE MIB, ha quindi registrato un rialzo del 7,22%. Banca Generali, del gruppo assicurativo, chiude invece a +1,7%.

Numeri e percentuali che indicano come l’effetto Draghi (già presidente Bce e di Bankitalia e con un breve passaggio nella banca d’affari Goldman Sachs), abbia spinto gli investitori a puntare molto sui titoli degli istituti italiani, anche in ottica di spinta alle fusioni che potrebbe venire con il nuovo Governo. Di certo l’incarico affidato dal Capo dello Stato Sergio Mattarella all’ex presidente della Banca Centrale Europea ha rassicurato i mercati sul debito pubblico italiano, con lo spread che si è assestato sotto la quota psicologica dei 100 punti base, per la prima volta dal 2015. Anche la discesa dei rendimenti dei titoli di Stato italiani ha contribuito al balzo dei titoli bancari visto che una quota consistente di Btp emessi dal Tesoro è in pancia ai principali istituto di credito e assicurativi. Si stima che solo Intesa, Unicredit e Generali detengano circa 200 miliardi del debito italiano attraverso btp e altri strumenti finanziari. Unicredit e Intesa da sola sfiorano i 130 miliardi, secondo le stime di Equita, e nel complesso il mondo bancario possiede circa 420 miliardi di debito.

Il calo (o l’aumento) dello spread può avere un impatto sui titoli bancari, soprattutto in termini di fiducia negli istituti finanziari, esposti più che in altri Paesi al rischio sovrano (e direttamente anche sui requisiti patrimoniali Cet1, in caso di movimenti molto più rilevanti). Rischio che comunque va gradualmente calando dal marzo scorso quando la presidente succeduta a Draghi all’Eurotower, Christine Lagarde, ha dispiegato il Pepp, il programma di Quantitative easing che, in quanto a potenza e flessibilità, è molto più accomodante del “bazooka” del predecessore.

Secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici di Carlo Cottarelli, il calo dei rendimenti ha per ora prodotto un risparmio teorico per lo Stato di quasi un miliardo. La stima fatta dall’Osservatorio sui Conti Pubblici riguarda i minori interessi che il Tesoro dovrà pagare sui circa 500 miliardi di titoli da rinnovare nel 2020 se si guarda al picco toccato dal rendimento del Btp con l’esplodere della crisi di governo. Nel confronto col rendimento della prima metà di gennaio il risparmio annuale è invece di 100 milioni di euro.

A ben vedere, l’unica “banca” che non brinda per l’effetto Draghi è il Mes o Fondo Salvastati, società finanziaria di diritto lussemburghese che ha aperto delle linee di credito per finanziare le spese sanitarie dei Paesi europei a tasso agevolato colpiti dalla pandemia, ma che nessuno Stato europeo ha deciso di attivare. Un risparmio ipotetico e condizionato per l’Italia, e che si è lentamente deteriorato sempre di più dopo l’acquisto massiccio di titoli di Stato da parte della Bce di Lagarde. Proprio il ricorso al Mes si è imposto come una “questione dirimente” al centro della crisi di Governo innescata da Matteo Renzi che ha portato alla caduta del governo Conte e l’arrivo del “tecnico” Draghi.

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