mercoledì 3 febbraio 2021

Due errori strategici nell’affrontare il Covid-19 di Thierry Meyssan

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Di fronte all’epidemia di Covid-19 i Paesi occidentali hanno ceduto al panico. In preda all’irrazionalità, hanno commesso due errori strategici: hanno isolato la popolazione sana, a rischio di distruggere l’economia, e hanno puntato tutto sui vaccini a RNA, trascurando le cure, anche a costo di esporsi alle controindicazioni che questa nuova tecnica vaccinale potrebbe causare.

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Il presidente francese Emmanuel Macron è stato il primo politico a paragonare l’epidemia di Covid a una guerra (16 marzo 2020). Il discorso marziale era finalizzato a drammatizzare la situazione e ottenere lo status di capo d’una nazione in guerra. È riuscito a turbare profondamente la popolazione, che subito ha ceduto al panico. Da allora una specie d’isteria collettiva si è sostituita al dibattito democratico.

Comunicazione: il Covid e la guerra

Il Covid-19 è una malattia virale che, nel peggiore dei casi, causa la morte dello 0,001% della popolazione. Nei Paesi sviluppati l’età media dei deceduti per Covid-19 è di circa 80 anni, a fronte d’un’aspettativa di vita di circa 83.

Facendo un confronto, la mortalità supplementare dei Paesi in guerra è da 5 a 8 volte superiore e colpisce soprattutto uomini di età compresa fra i 18 e 30 anni. A questo si aggiunga una migrazione per può arrivare fino al 50% della popolazione.

L’epidemia di Covid e la guerra sono situazioni non raffrontabili, nonostante la retorica apocalittica le confonda [1]. Peraltro, chi si è avventurato in questo drammatico confronto non ha risposto all’epidemia in termini di mobilitazioni di guerra. Al più si è precettato un ospedale militare mobile per qualche fotografia di uniformi in azione. L’unico risultato concreto è stato causare il panico nella popolazione, offuscandone lo spirito critico.

L’origine dell’errore di comunicazione

La comparazione con lo stato di guerra è stata fatta in base a informazioni errate. Uno statistico britannico, Neil Ferguson – i cui modelli matematici servirono a giustificare la politica europea di riduzione degli ospedali – aveva infatti previsto oltre mezzo milione di morti nel Regno Unito e altrettanti in Francia.

Ferguson ignorava che un virus è un essere vivente che non mira a uccidere il corpo umano che lo ospita, bensì ad abitarlo, come un parassita. Se uccide l’uomo che ha infettato, il virus muore con lui. Per questa ragione tutte le epidemie hanno inizialmente un alto tasso di mortalità, che diminuisce via via che il virus muta e si adatta all’uomo. È perciò assolutamente ridicolo estrapolarne la letalità dalle devastazioni delle prime settimane di epidemia.

I dirigenti politici non devono essere esperti in qualunque campo. Devono possedere una solida cultura generale, che permetta loro di valutare la qualità degli esperti di cui avvalersi nei diversi settori. Ferguson appartiene al genere di scienziati che si limita a dimostrare ciò che gli viene chiesto, senza sforzarsi di capire i fenomeni ancora inesplicati. Il curriculum vitae di Ferguson è soltanto una lunga serie di errori commissionati da responsabili politici e smentiti dai fatti [2]. Alla fine è stato congedato dal comitato britannico Cobra (Cabinet Office Briefing Rooms), però uno dei suoi discepoli, Simon Cauchemez dell’Istituto Pasteur, siede tuttora nel Consiglio scientifico francese.

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Le strade deserte di Parigi durante il confinamento.

Primo errore strategico: il confinamento, variabile di aggiustamento delle politiche sanitarie

Di fronte al flagello Covid, i Paesi sviluppati hanno reagito decretando blocco delle frontiere, coprifuoco, chiusura forzata d’imprese, addirittura confinamenti generalizzati.

Fatto inedito nella Storia: mai prima d’ora si è ricorsi a confinamenti generalizzati – ossia all’isolamento di popolazioni sane – per lottare contro un’epidemia. Si tratta di un provvedimento politico costosissimo sul piano educativo, psicologico, medico, sociale ed economico, la cui efficacia si limita all’interruzione della catena di trasmissione in famiglie ancora sane, al prezzo della diffusione in famiglie ove una persona è già stata contaminata. Una volta levato il confinamento, riparte immediatamente la propagazione nelle famiglie sane.

Siccome dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica tutti i Paesi sviluppati hanno progressivamente ridotto le proprie ricettività ospedaliere, la maggior parte dei governi ha adottato misure di confinamento, non già per combattere la malattia – contro cui l’isolamento è impotente – bensì per scongiurare la saturazione degli ospedali. Vale a dire che, per proseguire nel sistema di gestione della sanità pubblica fin qui adottato, i governi considerano come unica variabile possibile di aggiustamento il confinamento. Tuttavia il costo dei confinamenti è molto superiore a una gestione più onerosa degli ospedali. Anche perché si può prevedere che, con l’invecchiamento della popolazione, negli Stati sviluppati sopravvenga una crisi di saturazione degli ospedali ogni tre-quattro anni, in armonia con l’andamento ciclico di ogni epidemia. All’atto pratico, il ricorso al confinamento condanna i Paesi ad avvalersene sempre più spesso: per epidemie di Covid, d’influenza o di molte altre malattie mortali.

Uno studio comparativo dell’Università di Stanford, pubblicato il 12 gennaio 2021, dimostra che gli Stati che hanno adottato misure quali chiusure di attività, coprifuoco e confinamenti generalizzati non hanno ottenuto una riduzione della diffusione della malattia (soltanto differita) rispetto a Paesi che hanno invece rispettato la libertà dei cittadini; al più l’hanno soltanto differita [3].

Contrariamente a una credenza diffusa, non si tratta di scegliere tra saturazione degli ospedali e confinamento, bensì tra mobilitazione, o addirittura requisizione di cliniche private, e confinamento. Tutti gli Stati sviluppati dispongono infatti di un sistema sanitario privato largamente in grado di accogliere l’eccedenza di malati.

L’origine dell’errore strategico

All’origine del confinamento vi è la CEPI (Coalizione per le innovazioni in materia di preparazione alla lotta contro le epidemie), associazione creata a Davos durante il Forum Economico Mondiale del 2015 e diretta dal dottor Richard J. Hatchett, di cui non troverete la biografia né su Wikipedia né sul sito della CEPI: l’ha fatta rimuovere.

Quest’uomo progettò per conto del segretario USA alla Difesa, Donald Rumsfeld, l’isolamento delle persone sane [4]. Nel 2005, quale membro del Consiglio per la Sicurezza nazionale del presidente George W. Bush, Hatchett ricevette l’incarico di adattare le procedure previste per le forze armate USA alla popolazione civile, nel quadro di un piano di militarizzazione della società USA. In caso di attacco biologico, I GI’s di stanza all’estero devono confinarsi nelle basi militari. Hatchett immaginò, in caso di attacco batteriologico sul suolo americano, di confinare la popolazione civile in modo analogo, nelle proprie case. Questo progetto di stampo militare fu respinto unanimemente dai medici statunitensi, capeggiati dal professor Donald Henderson dell’università John Hopkins, che sottolinearono come mai fosse accaduto che dei medici avessero confinato persone sane.

Durante un’intervista su Channel 4, avvenuta pochi giorni prima dell’intervento del presidente Macron, il professor Richard J. Hatchett per primo paragonò l’epidemia di Covid-19 a una guerra. Naturalmente la prima elargizione che fece fare alla CEPI fu a favore dell’Imperial College di Londra. A capo di questa venerabile istituzione c’è Alice Gast, che è britannica, non statunitense. Oltre a essere amministratrice della multinazionale Chevron, Gast lavorava negli Stati Uniti con il dottor Hatchett per la mobilitazione degli scienziati contro il terrorismo. Ha sostenuto scritti propagandistici che volevano dimostrare che quanto scrissi a proposito degli attentati dell’11 Settembre erano scempiaggini. Inoltre, uno dei più celebri professori dell’Imperial College è Neil Ferguson, autore delle previsioni affabulatrici sulla diffusione dell’epidemia.

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I vaccini ARN-messaggero hanno in comune con i vaccini classici soltanto la denominazione “vaccino”. Non comportano l’inoculazione di una piccola quantità di virus per stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi, ma la manipolazione del materiale genetico dei pazienti, affinché non siano più ricettivi al virus.

Secondo errore strategico: la ricerca indirizzata esclusivamente sui vaccini

I medici hanno dovuto affrontare questa nuova epidemia senza avere terapie a disposizione. I governi occidentali hanno immediatamente indirizzato la ricerca sui vaccini.

Considerati i quattrini in ballo, gli Stati hanno destinato i loro budget alla ricerca di vaccini genetici, bloccando le ricerche su patologia e cure.

La tecnica vaccinale fondata sull’ARN scelta da Moderna/NIAID, Pfizer/BioNTech/FosunPharma e CureVac, non dovrebbe causare gli effetti secondari dei vaccini classici, ma non per questo è esente da pericoli. Finora si è guardato a questa tecnica con grande prudenza perché manipola il patrimonio genetico dei pazienti. Per questa ragione, in assenza di sufficienti sperimentazioni, le aziende produttrici hanno preteso dai loro clienti, cioè gli Stati, di essere sollevate da ogni responsabilità giuridica.

Per contro, i medici che vogliono esercitare la propria professione curando i malati secondo il giuramento d’Ippocrate sono perseguiti dalle istituzioni disciplinari di categoria: lungi dall’essere apprezzate, le cure sperimentate sono state ridicolizzate, persino vietate.

In questo consiste il secondo errore strategico.

I medici occidentali, che salvo rare eccezioni non hanno mai dovuto affrontare una medicina di guerra né di catastrofe, si sono talvolta lasciati prendere dal panico. All’inizio dell’epidemia, di fronte ai primi sintomi alcuni di loro non hanno fatto nulla, limitandosi ad aspettare l’arrivo di una tempesta di citochine, di una brutale infiammazione per poi mettere i pazienti in coma artificiale. Risultato: sono state spesso le cure inappropriate più che la malattia a uccidere i primi malati. Gli esiti disastrosi di alcuni ospedali rispetto ad altri della stessa regione lo attestano, piaccia o no al tacito divieto fra colleghi di criticare i medici incompetenti.

I budget faraonici assegnati ai vaccini obbligano a non ricercare trattamenti efficaci perché rischierebbero di causare il fallimento delle multinazionali farmaceutiche.

Un’inflessibile censura s’è così abbattuta su ogni ricerca nel settore. Tuttavia in Asia è stato sperimentato un cocktail di farmaci che fluidificano il sangue e stimolano il sistema immunitario, antivirali e antinfiammatori in grado di curare ogni tipo di paziente, se somministrati ai primi sintomi. In Venezuela l’autorità sanitaria e farmacologica ha approvato un farmaco, il Carvativir, giudicandolo efficace su tutti i malati, purché somministrato ai primi sintomi [5].

Non essendo competente, non mi pronuncio sulla validità di queste terapie, ma mi sbalordisce che i medici occidentali non ne siano informati e non abbiano la possibilità di valutarle

A settembre 2020 l’Istituto Pasteur di Lille e la società APTEEUS hanno dal canto loro individuato un farmaco desueto, che impedisce la diffusione del virus. La notizia non è stata pubblicizzata per non incorrere nella reazione dell’industria del vaccino. La sperimentazione ora è terminata e in Francia è ripresa la produzione, sicché il farmaco, in origine una supposta per bambini, potrebbe essere presto pubblicizzato [6].

La censura dei farmaci non-occidentali non solo è inammissibile perché va a scapito della salute umana, ma anche perché imposta da poteri non-eletti: Google, Facebook, Twitter e via elencando. Il problema non è sapere se questi trattamenti siano o no efficaci, ma liberare la ricerca affinché possa studiare le molecole e valutare se abbandonarle, approvarle o migliorarle.

L’origine del secondo errore strategico

Sia detto per inciso, c’è contraddizione strategica tra rallentare la contaminazione attraverso il confinamento di persone sane e accelerarla con la generalizzazione di vaccini attivi o inattivati. Si tratta di un’osservazione non pertinente per i vaccini ad ARN, destinati a prevalere in Occidente.

Il secondo errore strategico trae origine da una convinzione collettiva. I responsabili politici immaginano che soltanto il progresso scientifico porterà soluzione a problemi al momento irrisolvibili. Nel caso del Covid, se si scopriranno vaccini efficaci con una nuova tecnica fondata non più sui virus ma sull’ARN-messaggero, si riuscirà a vincere l’epidemia. A nessuno più passa per la testa che il Covid si possa curare senza investimenti tanto gravosi.

È l’ideologia del Forum Economico Mondiale di Davos e della CEPI. È quindi nell’ordine delle cose che i governi non reagiscano quando le multinazionali censurano le ricerche della medicina asiatica o venezuelana, impedendo la libertà della ricerca scientifica.

Traduzione
Rachele Marmetti
Giornale di bordo

 

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