Si sa che anche il nepotismo è disuguale. Proprio dopo aver citato
casati influenti parlando della dinastia dei Letta, mi sono imbattuta
in un’altra famiglia, quella di tal Natale Errigo, imparentato con
esponenti della cosca De Stefano di Archi, a Reggio Calabria, il cui
zio acquisito, Totò Saraceno, è stato condannato per ‘ndrangheta nel
maxi-processo “Olimpia” in qualità di affiliato alla famiglia mafiosa
dei De Stefano-Tegano.
Anna Lombroso
Pare che gli elementi a carico del giovane e promettente analista, che presta servizio in Invitalia, siano pesanti: di lui si parla nel corso delle indagini dell’Operazione Basso Profilo per aver stipulato un “patto di scambio” nel 2018 con l’allora candidato al collegio uninominale di Reggio Calabria della Camera dei Deputati Francesco Talarico, consistente nella promessa di “entrature” per l’ottenimento di appalti per la fornitura di prodotti antinfortunistici erogati dalla sua impresa e banditi da enti pubblici economici e società in house, attraverso la mediazione – secondo le accuse – dell’europarlamentare Lorenzo Cesa in cambio della promessa di un “pacchetto” di voti. Talarico, oggi agli arresti, non fu eletto ma venne poi “premiato” con la nomina a assessore esterno al bilancio e politiche del Personale della Regione Calabria nella giunta Santelli.
Le colpe degli zii non devono ricadere sui nipoti, per carità, ma sapendo che il rampante giovanotto è stato accuratamente estratto dall’allevamento dall’Ad Arcuri, per essere anche inserito nella sua task force, è legittimo porsi qualche interrogativo sulla selezione del personale e sulla non casuale rimozione del famoso teorema Craxi di Di Pietro, che considerava responsabile, in quanto informato, un leader e un dirigente politico delle mascalzonate dei suoi cari.
L’unico Natale “tutto l’anno” come nella canzone di Dalla, infatti, una volta entrato a far parte della struttura del Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19, è uno degli incaricati della gestione strategica dell’approvvigionamento e della distribuzione della merceologia del brand pandemico (mascherine, dispositivi per la sicurezza individuale, ventilatori, container refrigerati per “immunoprofilassi”, il vaccino) nonché del contatto con i fornitori e con le strutture destinatarie.
Sono le occasioni nelle quali è lecito domandarsi a cosa servono i Servizi, oltre a costituire un terreno di scontro tra potentati, una merce di scambio tra leader che li trattano come i regali di fidanzamento che non si vogliono restituire finito l’amore con gli elettori, e una banca dati di rapporti cui attingere per passare qualche indiscrezione al cronista amico.
I nostri spioni sono forse troppo occupati con il terrorismo jihadista infiltrato nei barconi, o con le infiltrazioni degli anarco insurrezionalisti nelle file dei No Tav per svolgere qualche indagine preventiva sui soggetti chiamati a occuparsi della tutela dei cittadini?
La vigilanza sulle transazioni finanziarie, sulla rintracciabilità di certe operazioni che mobilitano le risorse del bilancio statale, sulle relazioni che intercorrono tra operatori, investitori e imprese non merita una vigilanza superiore a quella a porte chiuse effettuata da quegli organi di controllo che hanno dimostrato in passato opaca tolleranza e sospetta indulgenza?
E non sarebbe ora di interrogarsi su quali meriti abbiano maturato rendano inviolabili e intoccabili le autorità cui si sta consegnando l’economia del paese nel momento della sua più grave sofferenza?
Conte come certe balie infedeli che avvicinavano i neonati urlanti alla macchina del gas, ogni tanto si propone di tranquillizzare il riottoso mercato, che non si accontenta dei suoi cedimenti e delle nostre rinunce, a proposito dell’intervento dello Stato, richiamando all’opportunità di scelte della mano pubblica in grado di distinguere gli “asset nevralgici”, ridimensionando e chiudendo le aziende che non reggono la concorrenza, affinché altre più innovative possano aprire.
E difatti verte su questo l’incarico affidato a Patrimonio destinato, lo strumento gestito da Cassa depositi e prestiti con una disponibilità di 44 miliardi e una potenziale platea di quasi 3000 imprese. Ed è previsto faccia lo stesso il Fondo del Ministero dello Sviluppo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e l’attività d’impresa, che prevede che lo Stato, attraverso la sua controllata Invitalia, possa entrare nel capitale delle aziende in difficoltà per un massimo di 10 milioni, restando in minoranza e per un tempo non superiore ai 5 anni, con una dotazione 300 milioni con ulteriori 250 milioni per il 2021, 100 milioni per il 2022 e 100 per il 2023 destinati alle sole imprese titolari di marchi storici. Come fa già, si racconta, Invitalia, appunto, società controllata al 100% dal ministero dell’Economia, che, si potrebbe dire un po’ sbrigativamente, offre assistenza a aziende, con preferenza per le multinazionali, che vogliono attestarsi in Italia con l’intento prioritario di sgombrare il mercato dalla molesta concorrenza di competitor e contenenti, acquisendo quote per poi strangolarli, come nel caso di Arcelol Mittal.
Ecco, avete ragione, non servono i servizi segreti per cogliere una singolare coincidenza, quella della presenza fissa dietro a tutto questo formicolare di attività -che potrebbero non essere trasparenti, potrebbero configurare conflitti di interesse – sempre dello stesso personaggio, ormai irrinunciabile e insostituibile in tutti i ruoli, multitasking come un sistema operativo della nuova era digitale e poliedrico homo faber rinascimentale, quel Domenico Arcuri, assurto a meme dell’emergenza, un golem che incarna perfettamente il processo di trasformazione da scialbo boiardo a feroce boia.
E non servono gli investigatori nemmeno per arrivare alle conclusioni cui era arrivata la Direzione Antimafia ai primi di ottobre quando mise in guardia dal rischio che l’emergenza sanitaria rappresentasse una formidabile opportunità per il business della criminalità organizzata pronta a insinuarsi nel settore profilattico, dalle mascherine, agli appalti per la fornitura dei dispositivi medici, all’ingresso e alla presenza in strutture assistenziali private. E che le misure governative si sarebbero rivelate provvidenziale per quelle “imprese”, dalla camorra a Amazon, talmente strutturate e attestate sul mercato da superarne gli effetti senza danno e addirittura trarre giovamento dalla cancellazione di interi comparti e attività minori, che le nuove povertà indotte dalla pandeconomia avrebbero creato nuovi target per i racket illegali come per gli strozzini a norma di legge, banche e finanziarie.
Magari invece servirebbe, che ne so, un’altra autorità istituita in veste di spaventapasseri ma rivelatasi più inutile dei fantocci in mezzo ai campi di grano, a ripensare alla dichiarazione di impotenza nel caso delle infiltrazioni nell’Expo. Così potremmo scoprire qualcosa che è davanti agli occhi di tutti quelli che passando per le strade di Roma avevano modo di osservare con quanta sfrontatezza prendessero il caffè notabili locali con Buzzi e Carminati, o apprendere che i veneziani e ospiti si erano accorti della sfilata di illustri rappresentanti del mondo di impresa impegnati a interagire con amministratori pubblici, controllori, tecnici, per stabilire fertili alleanze. E che dire delle recenti prestazioni della Regione Lombardia in tema di cognatismo e familismo allargato, dei calcoli sbagliati che inducono cromatismi sorprendenti, delle sue strutture per anziani trasformate da lager in camere a gas, senza che l’esecutivo intervenga per commissariare il motore d’Italia?
Il fatto è che alla faccia di Augias non c’è una questione calabrese, a confermare che sarebbe fisiologico che proprio là si debba misurare la colpa antropologica per via della quale ogni azione si macchia di intrigo, delitto, sopruso così da far disperare sul futuro di intere popolazioni, contagiate e affette da certe malattie ereditarie che si concentrano come una condanna divina in alcune zone e tra alcune popolazioni. Sicché per ogni inchiesta che scoperchia un pentolone altri ce ne sono ben chiusi da Nord a Sud a ribollire veleni, oggi in particolare, quando un virus permette il rinvio della democrazia a tempi migliori e della legalità a mai, perché che tempi potrebbero essere più favorevoli di questi.
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