C’è un episodio del Satyricon che Petronio sembra aver scritto con l’occhio puntato ai giorni nostri, cioè con una capacità profetica che solo i grandi possiedono.
glistatigenerali.com TERESA D’ERRICO
Durante la Cena Trimalchionis, tra scenografiche portate e goffe, volgari, esibizioni poetiche del padrone di casa, come in un simposio degradato, i convitati – parvenu, liberti arricchiti, cafoni di varia e dubbia estrazione – discettano di politica, società, cultura con la sicurezza tipica di chi crede che le proprie perle di saggezza davvero servano a dare un contributo al discorso pubblico, un po’ come accade oggi sui social, “piazze” virtuali in cui la presunzione di alcuni davvero si spinge al punto da ritenere che il proprio post velenoso possa indirizzare le scelte di chi governa. C’è da chiedersi, poi: chi governa davvero vuole ascoltare le esigenze di chi è governato?
A un certo punto durante il banchetto degli eccessi, prende la parola Echione, uno straccivendolo, professione oggi del tutto ininfluente nel sistema economico nazionale, ma nell’antica Roma esisteva un mercato degli stracci con una sua funzione specifica: il collegium centonarum (associazione dei pompieri), usava gli stracci (centones) per spegnere gli incendi; ergo, gli straccivendoli contavano economicamente. Dopo le chiacchiere piene di luoghi comuni su tutto quello che nella Roma neroniana sta andando alla deriva (non c’è più religione, la politica è tutto un “magna magna”, chi sta al potere è bravo se organizza spettacoli con gladiatori superstar rispetto ai quali oggi Ronaldo è una matricola), Echione, lo straccivendolo, appunto, dice una frase spiazzante. Rivolto all’unico intellettuale presente al banchetto, Agamennone, maestro di retorica (oggi corrispondente a un docente universitario) gli chiede, con il suo linguaggio sgrammaticato fatto di verbi usati male: quia tu, qui potes loquere, non loquis? (“perché tu che sai parlare non parli?”).
Ecco Echione, lo straccivendolo, tocca un punto nevralgico attualissimo: il silenzio degli intellettuali, il loro snobismo, la loro solita presuntuosa convinzione di essere un élite.
Monica Quirico, Gianfranco Ragona e Roberto Salerno sulla rivista lavoroculturale.org notano giustamente: il fatto che anche a sinistra chi esprime dei dubbi sulla gestione della pandemia (e non perché gli sia mancata la mezz’ora di jogging o la cena al ristorante!) sia zittito in nome delle migliaia di morti e tacciato di spregio per la vita umana è indice del pessimo stato in cui versa la democrazia oggi. Solo parole, zero analisi, niente sintesi, nessuna proposta, pensiero unico, abuso di criptici acronimi di cui “CIAO” è solo l’ultimo atto, il più icastico.
Come alla Cena Trimalchionis oggi tutti parlano: virologi si esprimono sulla scuola, anche se non ci hanno mai più messo piede dai tempi in cui l’hanno lasciata; epidemiologi si lanciano in riflessioni politiche e forse sono costretti a farlo perché chi ha il potere ormai sembra non essere più in grado di dare risposte e si limita a elargire bonus come Nerone faceva con gli spettacoli circensi; le star della comunicazione gestiscono il sistema dell’informazione orientandolo per manipolare l’opinione pubblica in base alle opportunità; i comici fondano movimenti politici; l’uomo della strada, chi non era nessuno, ora è ministro o parlamentare e tiene in pugno le sorti di un Paese intero senza interrogarsi (spesso non ne ha le competenze) sulle esigenze serie della gente che lo compone. E nascono parole nuove che descrivono questo stato confusionale della nostra vita: la malattia diventa una guerra da combattere; i medici sono eroi; riaprire la scuola è percepita dalla ministra dell’Istruzione come una “sfida” da vincere anche a costo di non tener conto dei tragici dati sui contagi da Covid-19 e soprattutto senza aver fatto niente per garantire la sicurezza che propaganda; i sostegni in denaro vengono definiti – chissà perché -“ristori” e noi cittadini dobbiamo “mantenere alta la guardia” visto che chi ci governa non ha aggiornato i “piani pandemici” che era tenuto a monitorare, controllare, rinnovare, adeguare alla realtà: “guerra”, “eroi”, “guardia”, “sfida”, “piani pandemici”. La lingua descrive un mondo in lotta, una società che purtroppo ha bisogno di eroi – perché evidentemente l’ordinario non basta – una dimensione in cui l’azione deve assumere i tratti della “sfida”, come ai tempi di Achille, dell’azione eclatante, mediaticamente d’effetto e il Potere diventa una forza agonistica per cui a vincere non è il migliore, ma quello che è più “likkato”, “cuorato”, sui social, il nuovo bacino dei consensi elettorali.
Tutti parlano: medici che fanno i politici e politici che non sanno che cosa dire, ma parlano, parlano, parlano.
E gli intellettuali? Platone voleva i filosofi al governo. E ora, i filosofi che fine hanno fatto? Come si spiega questo silenzio dirompente da parte di chi delle scienze sociali dovrebbe fare lo strumento di analisi per capire come sia stato possibile che l’uomo, lo stesso che è andato sulla Luna, si è fatto stendere da un virus. E – ammesso che esista una spiegazione a questa aporia – perché nessun intellettuale esamina coraggiosamente i motivi profondi che hanno fatto sì che tale epidemia dilagasse senza limiti e che in piena crisi economica e sanitaria ci si concentrasse, incomprensibilmente, su inutili monopattini e sedie a rotelle per rinnovare gli arredi scolastici?
Ecco, Echione, lo straccivendolo che paga le tasse, questo vorrebbe sapere da Agamennone, l’intellettuale.
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