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di Davide Gionco
In un precedente articolo ci siamo occupati del debito buono e del debito cattivo.
Un debito è generalmente buono quando è sostenibile dal debitore,
diventando uno strumento per investimenti produttivi, per la
realizzazione di cose utili per il debitore.
Un debito è sempre cattivo quando non è sostenibile dal debitore. In tal
caso può generare debiti a catena nella società, creando grave danno
(si pensi ai debiti subprime della Lehman Brothers che portarono alla
crisi economica del 2008). Oppure il debito insolvibile viene perpetuato
nel tempo, trasformandosi in un meccanismo di schiavitù nei confronti
di persone, classi sociali o interi popoli.
Nel presente articolo vogliamo occuparci specificamente del debito pubblico.
Come per il debito privato, anche il debito pubblico è una cosa molto utile alla nazione che lo emette, naturalmente.
Possiamo dire che il debito pubblico è bellissimo. A patto che, naturalmente, sia sostenibile.
Quali sono le funzioni utili del debito pubblico sostenibile?
Il debito pubblico è uno strumento di risparmio
La prima funzione è consentire ai risparmiatori di investire in
modo sicuro, al riparo dei rischi della borsa e della speculazione
finanziaria. La Costituzione della Repubblica Italiana cita testualmente
“La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue
forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare…”
Quale modo migliore di garantire il risparmio dei cittadini che quello
di garantire la restituzione del capitale, con un tasso di interesse
stabilito? Lo Stato è a tutti gli effetti una cassa di risparmio pubblica,
alla quale i cittadini affidano i propri risparmi e la quale garantisce
che vengano restituiti con gli interessi, al tempo pattuito. Mentre
nelle banche private questo avviene scrivendo sui libri della banche
l’importo versato dal cittadino, nella banca pubblica questo avviene
consegnando al cittadino un certificato di deposito, denominato titolo di stato.
Ma non solo questo. Il tasso di interesse riconosciuto sui titoli di
stato diventa inevitabilmente un punto di riferimento per tutti gli
altri investimenti finanziari.
Se lo Stato garantisce il 3% di interessi sui titoli, chi mai andrebbe
ad investire i propri risparmi in azioni in borsa, il cui rendimento
viene stimato al massimo al 2%.
Nello stesso tempo se i titoli di stato garantiscono un rendimento netto
del 2%, un imprenditore riterrà conveniente investire i propri fondi
nella propria azienda in cui si prospetti un rendimento
dell’investimento del 3-4%.
Il fatto che lo Stato possa emettere titoli ad un tasso di interesse
determinato risponde appieno a quanto richiesto dall’art. 47 della
Costituzione.
Il debito pubblico mette in circolazione i capitali a vantaggio degli investimenti pubblici
Una seconda funzione del debito pubblico è mettere in
circolazione i capitali dei risparmiatori, che diversamente resterebbero
immobili e improduttivi o che verrebbero investiti su mercati esteri.
Questa funzione era particolarmente importante prima del 1971, quando vigeva ancora il gold standard,
ovvero quando la quantità di denaro che poteva essere emessa era
limitata dalla quantità d’oro delle riserve della banca centrale. In
questa situazione tenere delle banconote ferme nella cassaforte era uno
“spreco”, in quanto quel denaro avrebbe potuto essere usato per degli
investimenti, consentendo di produrre beni e servizi utili, che non
sarebbero stati prodotti se quei soldi fossero stati conservati
inoperosi nei forzieri.
Un caso storico esemplare è l’unico caso che si ricordi in cui uno stato
ha pagato tutto il proprio debito pubblico. Nel 1584 la Repubblica di
Venezia decise di estinguere il proprio debito pubblico, con l’obiettivo di risparmiare l’oneroso pagamento degli interessi, che ammontavano al 16% annuo.
Contrariamente alle aspettative del provveditore sopra i beni comunali
Zuan Francesco Priuli, i risultati dell’estinzione del debito pubblico
furono molto diversi da quelli attesi: i ricchi commercianti veneziani,
non avendo più un luogo sicuro “pubblico” in cui investire i propri
risparmi, si indirizzarono verso le banche private o verso titoli
pubblici emessi in altri stati del tempo (Ducati di Ferrara, Mantova,
Modena, Milano; Repubblica di Genova o di Firenze). Se prima la
liquidità prestata alla Serenissima veniva utilizzata per investimenti
pubblici, come ad esempio la costruzione di navi da guerra per fare
fronte all’avanzata dell’Impero Ottomano, ora la liquidità veniva
investita secondo gli interessi di altri stati o delle banche private,
che erano diversi dall’interesse pubblico.
Le conseguenze della riforma proposta dal Priuli furono il declino
politico della Repubblica di Venezia, causa mancanza di investimenti
pubblici.
Il debito pubblico consente di diminuire le tasse
Una terza funzione del debito pubblico, quella che il Priuli
non aveva compreso, è consentire allo Stato di finanziare il proprio
funzionamento raccogliendo meno tasse.
Prendiamo come esempio il bilancio previsionale dello Stato per il 2020, presentato prima della crisi del coronavirus, che ha evidentemente mandato all’aria ogni previsione.
La previsione per il 2020 era di fare fronte 660 miliardi di spesa
pubblica avendo delle entrate pari a 536 miliardi di euro. Se avessimo
dovuto finanziare tutto il bilancio del 2020 pagando le tasse, avremmo
dovuto pagare ben (660-563 =) 124 miliardi di tasse in più sui 512
miliardi di tasse previste, pari al 24% di tasse in più che dovremmo in
caso di assenza del debito pubblico.
La sostenibilità del debito pubblico
Da che mondo è mondo i grandi debiti non sono mai stati pagati.
Quando il debito è grande, non è più un problema del debitore, ma dei
creditori.
Già nel 1339 re Edoardo III d’Inghilterra dichiarò bancarotta e si
rifiutò di rimborsare i prestiti che aveva ricevuto dai Bardi, banchieri
fiorentini. Il fatto si ripeté molte volte nei secoli successivi, da
parte dei vari re di Francia, di Spagna, d’Asburgo. Peraltro i banchieri
che cosa avrebbero potuto fare? Armare un esercito e dichiarare guerra
ai sovrani? In realtà a volte lo facevano, finanziando le guerre di
nazioni avversarie dei loro debitori, ma non sempre la manovra
finanziaria funzionava.
Questo vale anche per i grandi debiti privati. E’ noto che i grandi (?) imprenditori italiani (Debenedetti, Montezemolo, Lotito, Benetton, ecc.) abbiano facilità di accesso al credito, anche se sono già molto indebitati, mentre la difficoltà di accesso al credito è in genere un problema che riguarda le piccole e medie imprese o le famiglie. Tanto per fare un esempio, nel caso del fallimento del Monte dei Paschi di Siena, poi salvato con fondi pubblici, Sorgenia di Carlo Debenedetti era debitrice di ben 665 milioni di euro. Uno dei molti grandi debiti mai ripagati.
I grandi debiti possono quindi essere cancellati, con grande sventura dei creditori, oppure rinnovati in modo da renderli sostenibili e garantire quantomeno la rendita (gli interessi) ai creditori.
Il debito pubblico, trattandosi di un grande debito, non è quindi
qualcosa destinato ad essere ripagato (anche ricordando la sfortunata
decisione di Zuan Francesco Priuli del 1584), ma qualcosa destinato ad
essere rinnovato. La sostenibilità del debito, quindi, non dipende dal
suo importo, né dal rapporto fra i debito ed il prodotto interno lordo
(PIL).
Non è un caso che i debiti pubblici più alti del mondo, come quello
statunitense e quello giapponese, siano considerati unanimemente
sostenibili e quotati con la “tripla A” dalle società di rating.
Viceversa vi sono debiti pubblici molto bassi, come quello del
Venezuela, che sono considerati a maggior rischio.
La solvibilità di un debito pubblico dipende dalla facilità di un paese di procurarsi il denaro necessario per rinnovare il debito ovvero di pagare gli interessi. In teoria uno stato deve anche essere in grado di rimborsare il capitale dei titoli che ha emesso, ma, statisticamente parlando, se il servizio di risparmio fornito è affidabile, sempre ci saranno degli investitori interessati ad acquistare le nuove emissioni di titoli. L’importante è garantire la possibilità di convertire i titoli in scadenza nel denaro versato per acquistarli, con l’aggiunta degli interessi.
Moneta sovrana e non sovrana
Ora, vi sono sostanzialmente due tipi di debito pubblico: il
debito pubblico denominato in moneta non sovrana e il debito pubblico
denominato in moneta sovrana.
Per “moneta sovrana” si intende una moneta di cui uno
stato è in grado di controllare l’emissione ovvero di emettere nuova
moneta nella quantità e nei tempi desiderati, senza vincoli. Uno stato
con moneta sovrana non potrà mai restare a corto di moneta, al limite ne
potrà stampare troppa.
Viceversa per “moneta non sovrana” si intende un mezzo di pagamento di
cui lo stato non può disporre a proprio piacimento. Era ad esempio il
caso di Edoardo III d’Inghilterra, che non aveva alcun modo di
procurarsi i fiorini d’oro necessari per rimborsare i Bardi. Oppure è
stato a più riprese il caso di paesi latinoamericani come l’Argentina,
indebitati in dollari con le banche americane. Oppure di molte ex
colonie francesi, indebitate in franchi CFA con le due banche centrali controllate dal governo francese, quindi in una valuta fuori dal controllo dei loro governi.
Ed è il caso dell’Italia, indebitata in euro, moneta emessa dalla BCE, fuori dal controllo del governo italiano.
Sono invece paesi a moneta sovrana i paesi in cui la banca centrale, che
emette denaro, è controllata ufficialmente, o sostanzialmente, dal
governo: Cina, USA, Giappone, Canada, Corea (del Nord e del Sud), Iran,
Cuba, Svizzera, ecc.
In realtà vi sono anche delle situazioni “intermedie” in cui la banca
centrale è “indipendente” dal potere politico, pur emettendo la moneta
ufficiale dalle nazione in cui si trova, per cui non collabora
pienamente con il governo nel garantire le emissioni di moneta ritenute
politicamente necessarie.
Uno stato a moneta a sovrana, per intenderci, è uno stato ha la “macchina che stampa i soldi”, il quale sempre sarà in grado di stampare il denaro sufficiente a pagare gli interessi ed eventualmente i capitali in scadenza. Ed è risibile la contestazione di chi sostiene che “stampare denaro genera sempre inflazione”, in quanto il nuovo denaro stampato viene destinato a ripagare i risparmiatori (denaro che non destinato ad acquistare beni e servizi, ma a risparmiare) e in quanto un governo accorto sa regolare la spesa pubblica in modo da evitare eccessi di inflazione.
Se il debito pubblico non è espresso in moneta sovrana, diventa un
“debito cattivo”, in quanto i creditori, pur non avendo l’interesse che
venga tutto ripagato (perché ci vogliono guadagnare gli interessi per
lungo tempo), avranno un forte potere contrattuale verso uno stato che
si può finanziare solo tramite i creditori ed i contribuenti, senza
poter stampare una propria moneta. E questo potere contrattuale lo
utilizzeranno per trarre i massimi benefici per loro, naturalmente ai
danni dei cittadini, che pagheranno più tasse, per garantire il
pagamento di interessi più elevati.
In questo caso, come in quello del debito privato impagabile, il debito
pubblico impagabile diventa un meccanismo permanente di sfruttamento, da
parte dei creditori, nei confronti della nazione che lo detiene.
A dire il vero ci sono nazioni povere del mondo che hanno la necessità di indebitarsi in valuta estera per poter acquistare tecnologie e competenze estere di cui non dispongono. In questi casi deve valere sempre la stessa regola: il debito deve essere sostenibile, diversamente diventa uno strumento di imperialismo
E’ solo una scelta politica
Se il debito pubblico sia uno strumento utile ai cittadini, per
le ragioni sopra espresse, oppure se sia un meccanismo di sfruttamento
del popolo, dipende unicamente da due fattori: la denominazione del
debito (in moneta sovrana o non sovrana) e dal controllo pubblico sulla
banca centrale che la emette.
Si tratta di due scelte a costo zero, puramente politiche. Infatti un
paese libero e democratico ha tutto il potere di scegliere se emettere
titoli di stato nella propria valuta o se emetterli in una valuta fuori
dal proprio controllo. Ed ha tutto il potere giuridico di stabilire il
controllo pubblico della banca centrale, affinché stampi il denaro
necessario a garantire la sostenibilità del debito.
Dopo di che, evidentemente, non tutti i paesi sono liberi e
democratici. Un paese sotto il controllo di una potenza straniera (una
colonia) emetterà debito in una valuta confacente agli interessi della
potenza straniera, garantendole un potente meccanismo di controllo, come
lo è il debito pubblico estero della maggior parte dei paesi del Terzo
Mondo, costantemente impagabile, costantemente nelle mani di
stati/banche dei paesi più ricchi del mondo.
Un paese che emette titoli di stato in euro, moneta emessa da una banca
centrale di cui non ha il controllo, sarà sottoposto ad un meccanismo di
potere da parte di chi controlla la BCE, che si imporrà sulle decisioni
del Parlamento.
Si tratta solo di una decisione politica: se l’Italia desidera essere
un paese libero e democratico, dove il debito pubblico è un servizio di
risparmio per i cittadini, questo deve essere denominato in valuta
nazionale e la Banca d’Italia deve essere posta sotto controllo pubblico
(oggi non lo è). Diversamente l’Italia continuerà ad essere soggetta al
potere di coloro che controllano la banca centrale che emette gli euro,
la BCE, i quali sono sempre più ricchi, proprio mentre il popolo
italiano è sempre più povero, secondo lo stesso meccanismo applicato da
decenni ai paesi poveri del Terzo Mondo.
E’ quanto spiega Guido Grossi nel suo video Il furto del debito pubblico.
C’è anche chi sostiene che il problema lo si potrebbe risolvere
imponendo il controllo pubblico degli “stati europei” sulla Banca
Centrale Europea. Da punto di visto tecnico-economico si tratta
certamente di una soluzione funzionale. Il problema, però, è la
fattibilità politica. Si tratta di una decisione che dovrebbe essere
presa all’unanimità da 27 governi, molti dei quali sottoposti ai ricatti
ed alle infiltrazioni da parte dei poteri finanziari che controllano la
stessa BCE e ne traggono profitto.
Le probabilità che una riforma del genere avvenga in pochi anni sono
prossime allo zero, mentre gli effetti di impoverimento dell’Italia sono
già in corso da anni e continuano pesantemente.
La via più percorribile, quindi, è che lo stato italiano cominci ad
emettere titoli espressi in una valuta parallela all’euro, emettendo
esso stesso questa valuta. In questo modo il debito pubblico
ritornerebbe a svolgere la funzione “buona” di supporto al risparmio e
cesserebbe di essere uno strumento di potere della finanza
internazionale sull’Italia.
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