giovedì 3 dicembre 2020

Apocalypse Now.

Il filone dei colossal apocalittici a cura delle major della “religione della salute” si sta arricchendo grazie alle previsioni di una categoria di profeti millenaristi che potrebbero far ammettere tra le scientiststar anche alchimisti, esoteristi, teosofi, veggenti e avventurieri del futuro, da Cagliostro a Nostradamus e, in omaggio alle quote rosa,  anche la Blavatsky.

 

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Tal Osterholm presentato da Repubblica come autorevolissimo epidemiologo appena nominato membro della Covid 19 Advisory Board non si sa a che titolo da un Biden già presidente non si sa a che titolo, annuncia urbe et orbi che è bene prepararsi: sarebbe in arrivo una nuova pandemia molto peggiore  di quella in corso.

Il numero uno dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus  ha recentemente invitato gli Stati  a investire nei loro sistemi sanitari pubblici, perché sono prevedibili  nuove e tragiche  emergenze. E sempre l’OMS ha lanciato i primi di settembre l’allarme su una malattia mortale che già circolerebbe e rischia di uccidere circa 11 milioni di persone nel mondo ogni anno, tra cui 2,9 milioni di bambini.

Perfino i giornalisti confindustriali si sono convinti che quello che viviamo non sia effetto di un cigno nero imprevedibile e e difficilmente ipotizzabile. Dobbiamo a due di loro la confezione in forma di instant book di quello che hanno definito un agile “manuale antipanico” intitolato appunto “La Prossima Pandemia”, per confermare che l’unico dubbio non è “se sarà” bensì “quando sarà”.

Le Cassandre si sa non incontrano il favore di pubblico e di critica, ma in questo caso qualcuno potrebbe essere rassicurato da questo esercizio previsionale. Conoscere in anticipo serve a prevenire e contrastare. Potremmo addirittura dire che l’esperienza del Covid 19 si deve impiegare, vedi mai, per aggiornare i piani di gestione delle epidemie invece di limitarsi a sbianchettare la data, a rafforzare il sistema di cura, profilassi e assistenza.

Sarebbe già qualcosa, anche se in realtà sarebbe più utile andare alle cause profonde e strutturali, per avviare interventi sul “sistema”. Perché se è solo plausibile  che la gestazione del Covid-19 sia avvenuta a margine di processi produttivi invasivi di tipo agro-industriale, come successe per le tre epidemie  che sconvolsero l’Inghilterra della prima rivoluzione industriale a seguito di importazione di bestiame, per la peste bovina in Africa alla fine del XIX secolo, alla Spagnola, influenza letale che tra il 1918 e il 1920 falcidiò un numero di persone stimato tra i 50 e i 100 milioni, e che con ogni probabilità partì da un allevamento di suini o pollame del Kansas, è invece certo che crisi climatica, consumo del suolo, inquinamento industriale e Coronavirus siano collegati. E chevi sia una stretta correlazione tra diffusione di agenti patogeni e il modo di produzione, la manipolazione della natura e lo stravolgimento degli assetti ecologici e della biodiversità che esso determina.

Sicché  il “progresso” che ci fa ritenere onnipotenti  e che permette che un chirurgo a Dallas  operi un paziente a Helsinky,  ci rende impotenti  di fronte ai suoi rischi  di “contagio” effetto della circolazione sempre più ampia degli esseri umani e delle merci, di un’urbanizzazione globale accelerata e spesso nociva, soprattutto delle disuguaglianze che investono la sicurezza sociale anche nei paesi sviluppati. 

A dir la verità gli allarmi si erano già ripetuti  in passato provenienti da scienziati, istituzioni, rapporti dell’OMS, della CIA, del Pentagono, da Bill Gates, Obama, gli stessi che hanno promosso e sostenuto idealmente  le politiche neoliberiste, la precarizzazione della sanità pubblica (soprattutto l’assistenza primaria e i servizi sociali), dando sempre più peso alle tecnologie e alla ricerca farmaceutica  senza investire in vigilanza, prevenzione, pianificazione, educazione,  strutture pubbliche. E che di fronte a questo parossismo provocato dalle loro politiche hanno scelto solo di ricorrere a una soluzione finale che ha prodotto migliaia di decessi tra la popolazione più esposta e vulnerabile, fatta di confinamenti disuguali e discrezionali, di  restrizioni di attività commerciali, sulla base di comandi impartiti da una comunità di imprenditori e di lobby potenti e trasversali e da una comunità scientifica largamente subordinata al profitto e esonerata dal controllo democratico, che ha tollerato e approfittato del fatto che ricerca e sperimentazione si sviluppino nelle aziende farmaceutiche  dove i guadagni si accumulano se la gente si ammala e resta ammalata.

È sicuro che anche queste profezie verranno assorbite dal concerto dodecafonico globale alimentato dalla perenne sorpresa di quelli che accolgono il prevedibile come una rivelazione inattesa. E difatti anche senza aspettare le condizioni per ricevere in forma di partita di giro l’elemosina europea concessa grazie ai nostri contributi alla manutenzione del sogno di Ventotene, sappiamo già come anticipato nella  Relazione tecnica allegata alla Legge di Bilancio, che  «il fabbisogno standard del Fondo sanitario nazionaleè normativamente stabilito solo fino all’anno 2021», che tradotto in termini semplici significa che da 2022 i finanziamenti subiranno un taglio di 300 milioni annui, «per effetto dei processi connessi alla riorganizzazione dei servizi sanitari anche attraverso il potenziamento dei processi di digitalizzazione».

Preferisco non esercitarmi a immaginare come sia possibile che una riduzione degli stanziamenti produca una miglioramento dei servizi e delle prestazioni erogate, a meno che non si perfezionino le diagnosi su Skype, e il “dica 33” al cellulare, il tracciamento con poderose app delle quali abbiamo già saggiato le performance.

Anche se possiamo immaginare, anche senza profeti di sventura, che gli unici potenziamenti prevedibili consistano nell’accelerazione del collasso del sistema di assistenza e cura e nella apoteosi di quello di criminalizzazione degli individui, giovani che vogliono sciare, ballare, incontrarsi e far l’amore, vecchi che vanno a spasso, fanno la spesa, si recano alla posta o finiscono la loro esistenza in case di ricovero pronte a trasformarsi in pericolosi focolai, poveri, quelli più colpiti dalle pandemie se è vero come è vero che già nella prima ondata della pandemia, circa il 70% dei decessi si sono verificati nelle residenze geriatriche, quelle che con totale impunità hanno precarizzato il personale, hanno risparmiato sui materiali di base e sulla manutenzione, hanno ridotto la qualità dei servizi e hanno peggiorato l’assistenza, le condizioni igieniche e di alimentazione.

Non occorre un veggente per sapere che domani avverrà come oggi, che la pandemia ha esaltato le disuguaglianze già esistenti in gruppi sociali che soffrivano già prima di molti problemi e bisogni. Non occorre un illuminato governante per trovare soluzioni che non consistano solo nella colpevolizzazione di comportamenti, stili di vita e in soluzioni biomediche.  Non occorre un visionario per ipotizzare che la vera salvezza non è un vaccino, ma scelte radicali, politiche redistributive, fiscalità progressive, rovesciamento dell’attuale modello privatistico  di welfare nella salute pubblica, nei servizi sociali e nelle cure, investimenti in educazione e sicurezza.

Nove mesi sono pochi per fare la rivoluzione, ma forse sarebbero sufficienti per spendere 120 miliardi per rafforzare la medicina di base e territoriale, per offrire un sostegno ai 450 mila nuovi poveri denunciati dalla Caritas e alle categorie economiche più colpite dai lockdown, per razionalizzare il sistema dei trasporti pubblici, impiegando i mezzi privati che non stanno circolando, scaglionando gli orari di apertura e chiusura di fabbriche, negozi, uffici, scuole.

Nove mesi sono abbastanza per mettere ordine in enti e istituzioni, dalle regioni ai comitati e agli organismi scientifici che hanno dimostrato criminale incapacità o interessi opachi, allo scopo di coordinare risorse umane e sforzi per mettere a punto protocolli di cura, anziché affidarsi alla funzione demiurgica e salvifica del vaccino.

Nove mesi sono pochi per ridare alla scuola la sua funzione pedagogica e il suo carattere educativo, sociale e civile, ma bastano per il rispetto di un diritto, quello all’istruzione,  fondamentale quanto quello alla salute e al lavoro.

Nove mesi dovrebbero bastare per diventare sospettisti, guardarsi dei regali dei filantropi tra miliardari e governi che hanno indirizzato da anni risorse verso il brand sanitario:  OMS-WHO hanno goduto  di finanziamenti privati che hanno superato largamente quelli pubblici, le multinazionali della distribuzione, Amazon in testa, oltre a costituire fondi e assicurazioni di settore per sfruttare due volte i dipendenti, hanno allargato banco e scaffali della farmacia online.

Nove mesi sono abbastanza per esigere una comunicazione politica e una informazione scientifica libere dalle dinamiche del terrore, della minaccia, del ricatto e della punizione, che per quelli bastava leggersi l’Apocalisse.

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