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il 27 dicembre del 2008, prendeva il via l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” contro la popolazione della Striscia di Gaza. Il bilancio del massacro-genocidio fu di 1.500 morti, molti dei quali bambini, e di circa 5.000 feriti, oltre una vasta distruzione.
Venne accertato l’impiego da parte di Israele di armi al fosforo ed altri ordigni contenenti metalli tossici, che causarono un ampio incremento nel numero di neonati affetti da una qualche patologia anche grave e/o deformante. Il ministero della Sanità a Gaza riferì che il numero dei feti malformati era raddoppiato in un anno.
Ai primi di febbraio del 2009, Israele ammise per la prima volta l’impiego di bombe al fosforo durante l’Operazione Piombo Fuso, adottando in seguito qualche blando provvedimento disciplinare nei confronti di alcuni ufficiali che avevano preso parte all’operazione. Ma nulla di più, e tutto senza reali conseguenze per i militari: solo un contentino in risposta alle proteste di alcuni paesi.
Il ministero palestinese della Sanità a Gaza diffuse vari comunicati sulle conseguenze dei disastri umanitari e ambientali nel territorio e rimarcando “l’impiego israeliano di armi contenenti metalli tossici e cancerogeni, altamente nocivi per i feti“.
Secondo vari rapporti medici, si registrò anche un significativo incremento di aborti spontanei tra le gestanti dopo l’ operazione “piombo fuso”.
Dopo le operazioni di Gaza, il Comitato di ricerca sulle nuove armi (Nrwc), un gruppo basato in Italia di scienziati e medici che studiano gli effetti delle armi non convenzionali e le ripercussioni a medio termine sui residenti in aree affette da conflitti, rilevò che furono effettivamente impiegati esplosivi contenenti fosforo bianco e un elemento metallico ad alto contenuto cancerogeno.
Ulteriori analisi sulle aree bombardate riscontrarono la presenza di metalli dannosi per i sistemi nervoso e riproduttivo degli esseri umani.
La Fondazione “Al Damer” per i diritti umani condusse studi che dimostrarono come le aree circostanti Jabaliya, Beit Hanoun e Beit Lahiya furono le più vulnerabili dal punto di vista delle patologie fetali e delle minacce alla salute.
Sono aree, queste, in cui l’intervento armato israeliano si concentrò più che altrove durante l’Operazione Piombo Fuso, facendo particolare uso di ordigni contenenti materiali tossici o radioattivi. Il ricorso ad armi al fosforo in aree densamente popolate da civili è ritenuto illegittimo, ma la comunità internazionale non mosse realmente un dito per contestarne l’impiego a Israele.
Da allora, Gaza continua a sperimentare una crisi umanitaria e ambientale molto seria, e il suo milione e mezzo di abitanti rimane esposto a gravi rischi per la propria salute.
Ricordiamo quell’ennesimo crimine impunito di Israele, attraverso le parole del libro-diario del giornalista e volontario italiano assassinato a Gaza nel 2011, Vittorio Arrigoni, scritto durante l’aggressione Piombo Fuso, “Gaza. Restiamo umani“, pubblicato da Infopal il 27/12/2013.
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