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“Se non puoi contestare un argomento, delegittima chi lo sostiene”. In questo motto potremmo rinvenire le radici di un certo, non trascurabile, numero di epiteti e definizioni, creati soprattutto dai media negli ultimi decenni.
In questo articolo mi ripropongo di istituire la definizione di “fideismo” per designare l’atteggiamento assunto da molte persone, nei confronti delle informazioni o idee eteronome (cioè di provenienza esterna all’individuo). Cercherò di fornire un inquadramento sistematico della categoria, dimostrando al tempo stesso l’inesistenza della categoria dei cosiddetti “complottisti”.
Non occorrono profonde nozioni psicologiche, per realizzare quanto l’essere umano abbia bisogno di sentirsi omologato a tutti gli altri suoi simili, e di quanto possa patire, allorché ciò non si verifica. Già in altri articoli abbiamo esaminato la sostanziale persistenza di condotte dittatoriali anche in quei regimi che si definiscono “democratici”, osservando però come la principale differenza rispetto a ciò che viene inteso comunemente come dittatura risieda nella natura occulta delle pratiche. Insomma, prima si sopprimeva la libertà di espressione, mentre oggi si agisce a monte, veicolando il pensiero e indirizzandolo in modo subliminale. Questa è l’essenza stessa del marketing, disciplina di comunicazione finalizzata alla persuasione occulta del pubblico, affinché questo voti, acquisti o pensi a comando.
Naturalmente, in una società basata sulla coercizione occulta del pensiero, chi non è influenzabile rappresenta un’anomalia, una singolarità: una sorta di buco nero che non si può controllare. Ciò che non si può controllare deve essere messo al bando, ed ecco quindi nascere le definizioni pilotate, che mirano a delegittimare aprioristicamente chiunque eserciti spirito critico, o, peggio ancora, tenti di diffonderlo. “Complottista” è forse l’esempio migliore di questa pratica. Con quest’espressione si può zittire chiunque, a qualunque proposito, semplicemente precludendo ai suoi interlocutori di prenderlo in considerazione, aprioristicamente, poiché tutto ciò che questi affermerà sarà da intendersi quale manifestazione di un vizio mentale, e dunque da respingere in toto.
Ma, poiché le definizioni e la loro diffusione nascono generalmente da chi governa e dagli organi di informazione che vi sono legati a doppio filo, ben si comprende che non vi sia alcuna neutralità ideologica nell’invenzione o nella propagazione: al contrario, sarebbe ingenuo ipotizzare che chi esercita il potere resti indifferente a quelli che lo mettono in discussione. Né, d’altronde, si potrebbe immaginare un governo che dichiari apertamente ostilità ai suoi cittadini: occorre, semmai, seminare la contrapposizione tra cittadini. Generalmente farlo è semplice, poiché le persone – contro qualsiasi logica – tendono a credere ai propri governanti. In generale, c’è sfiducia nei confronti della politica, in tutto l’occidente (o quasi). I cittadini non hanno alcun problema ad attribuire ai propri governanti egoismi, ruffianerie, arricchimenti indebiti e occulti, corruzione o incompetenza. Eppure, come magicamente, appena questi sollevano una campagna di odio o paura, tutti i governati credono alla buona fede dei governanti.
Si tratta di un atteggiamento che potremmo definire senza indugio “fideistico”, cioè di chi crede in qualcosa a prescindere da qualsiasi spiegazione o motivazione razionale.
Il fideismo può essere generale e diffuso, oppure specifico e selettivo: c’è chi tende a credere a tutto, dalla religione alla televisione, e c’è chi, invece, magari pratica il fideismo in singole manifestazioni, ma lo ripudia in altre. Si può osservare come il fideismo sia “trasversale”, e, cioè, riguardi indistintamente sia coloro che amano definirsi “conservatori”, che i cosiddetti “progressisti”. Il fideismo indotto fa leva sui più vari sentimenti: in primo luogo il bisogno di appartenenza e di omologazione, comune a tutti in genere. Poi il bisogno consolatorio di credenze, di molti. Chi segue una religione, non avrà problemi a lasciarsi andare a confidare in un organo di governo. Ma anche chi si professa razionalista, allettato dall’idea che tutti quelli che mettono in discussione la “parola di stato” siano dei creduloni, tenderà facilmente ad aderire al “credo comune”, per sentirsi una spanna più in alto di quelli che la propaganda descrive come ingenui o ignoranti.
Il caso dei vaccini è un esempio da manuale di quanto stiamo esaminando, che può essere così schematizzato:
1) Creazione di un legame economico-politico,
2) Azione politica (quindi apparentemente super partes) di creazione di una paura (le malattie),
3) Creazione di un bisogno inesistente (vaccinazioni per malattie debellate, marginali o non gravi),
4) Offerta di un rimedio a pagamento (i soldi delle tasse),
5) Veto del diritto di espressione degli scienziati non allineati,
6) Denigrazione sistematica degli oppositori e accusa di incompetenza.
Insomma, dopo aver ridotto al silenzio forzato tutti gli esperti, dietro minacce di azioni giudiziali o di espulsione dalle professioni, e dopo aver escluso dal dibattito i pochi superstiti, mediante un bando mediatico, si sono prese di mira le persone non dotate di titoli specifici, tacciandole di ignoranza e dabbenaggine. Ed ecco che sia l’acculturato di sinistra che il conservatore di destra possono trovare ottime ragioni per aderire al “credo” e prendere le distanze da quelli che, con l’ennesima trovata di marketing, sono definiti “no-vax”.
Ma quelli che accettano per buone le tesi “ufficiali”, quasi mai le hanno prima messe in discussione, o hanno compiuto ricerche personalmente. Esattamente il contrario di quelli che, invece, le contestano. Sarebbe sufficiente questo dettaglio, per dimostrare che in realtà non soltanto non esiste ciò che viene definito “complottismo”, ma che – per quanto ciò possa apparire paradossale – sono proprio quelli accusati di tale pratica a essere razionali, poiché mettono in discussione informazioni e fatti. Al contrario, tutti gli altri, dovrebbero essere rigorosamente definiti fideisti, per la loro innata disponibilità ad aderire acriticamente alle tesi maggioritarie.
Se è vero che i “complottisti” vengono accusati di paranoia, è però evidente che il problema sia antitetico: mettere tutto in discussione, infatti, è uno dei più antichi precetti filosofici, e già Euripide ammoniva i suoi studenti in tal senso. Il semplice fatto che nelle nostre società si possa suggerire il contrario, e, cioè, che chi compie tale pratica sia un paranoico, fornisce la prova del successo del marketing di governi ed economia.
Ma accanto al precetto Euripideo si colloca quello romano del Sapere aude! (abbi il coraggio di conoscere).
In conclusione, ritengo sia opportuno contrastare l’ascesa di termini strumentali quale “complottismo” mediante l’introduzione del termine “fideismo” per designare coloro i quali, aprioristicamente, si fidano e affidano alle verità ufficiali, senza osare metterle in discussione, e, soprattutto, senza esercitare spirito critico, né compiere verifiche o confronti. Per contro, l’espressione “complottista” dovrebbe essere cancellata dall’uso, e sostituita con quella di “razionalista”.
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