sabato 12 settembre 2020

Regolarizzazione: definiti i contributi forfettari che devono versare i datori di lavoro

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La procedura di regolarizzazione dei migranti, conclusasi in piena calura estiva ferragostana, ha registrato un numero di domande molto inferiore a quello annunciato: 207.542 per la precisione, molto meno delle 600 mila attese.

Nella grande maggioranza dei casi (oltre 176mila), le domande riguardano la regolarizzazione delle cosiddette “colf e badanti”. Ma questa contorta e mal riuscita procedura continua a far parlare di sé, anche dopo la chiusura della procedura, mostrando con tutta evidenza i ritardi e i suoi limiti.

E’ stato, infatti, pubblicato soltanto due giorni fa, sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 223 dell’8 settembre 2020 il decreto 7 luglio 2020 del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (disponibile qui) che determina il contributo forfettario per le somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale, relativamente alla procedura di “emersione” dei rapporti di lavoro irregolare, in attuazione dell’ art. 103, comma 7, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34.

Nel dettaglio il contributo è stato stabilito in:

a) 300,00 euro, per i settori dell’agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse;

b) 156,00 euro, per i settori dell’assistenza alla persona per sé stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o disabilità che ne limitino l’autosufficienza;

c) 156,00 euro, per il settore del lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.

Un terzo dei soldi versati saranno allocati sul bilancio dello Stato, a titolo fiscale. Gli altri due terzi finiranno nelle casse dell’Inps, metà a titolo contributivo e metà per il successivo accreditamento al lavoratore, a titolo retributivo. Il versamento dovrà essere fatto a mezzo F24 prima della convocazione del lavoratore presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione (SUI) in Prefettura, pena la mancanza di rilascio del contratto di soggiorno. Esclusa la possibilità di avvalersi della compensazione, il versamento, secondo la norma istitutiva, è dovuto entro 10 giorni dalla pubblicazione del decreto: quindi entro il 18 settembre 2020, ma la scadenza non è menzionata.

Potrebbero, inoltre, giungere ulteriori chiarimenti con l’annunciata risoluzione dell’Agenzia delle entrate con il codice tributo e istruzioni per la compilazione del modello F24.  Inoltre, l’INPS dovrà provvedere a definire gli ulteriori adempimenti previdenziali relativi ai    lavoratori interessati. Il decreto precisa, infine, che in caso di inammissibilità, archiviazione o rigetto della dichiarazione di emersione, ovvero di mancata presentazione della stessa, non si procederà in alcun modo alla restituzione delle somme versate.

Il Decreto si attendeva da tempo, ma concretamente, oggi, va ad aggiungersi alle numerose note dolenti di questa regolarizzazione, senza calcolare le lungaggini burocratiche e i già numerosi preavvisi di rigetto delle domande.

La verità è che soprattutto nel settore agricolo, la procedura di “emersione” non ha funzionato. I pochi braccianti che sono riusciti a rientrare nella regolarizzazione facendo emergere pregresse situazioni di lavoro nero, sono finiti nelle grinfie di loschi personaggi che, a fronte dei costi da sostenere, hanno chiesto di essere “ricompensati”. Sono migliaia i migranti che sono stati ricattati con la promessa del lavoro regolare e la vendita di contratti di regolarizzazione con cifre anche fino a 8.000 euro. Non è una novità e si poteva prevedere.

Ma tutta la procedura di regolarizzazione ha presentato dei dejà vu che si sarebbero potuti ampiamente evitare facendo tesoro di esperienze passate, ascoltando di più le istanze delle numerose associazioni che hanno esposto i vari limiti, e soprattutto con un po’ di sano buon senso.

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