martedì 1 settembre 2020

Naji Al Ali, ovvero l’arte della resistenza

Il Fatto Quotidiano

Ho conosciuto Naji Al Ali una sera d’estate, a Cagliari. Spesso è definito vignettista, ma è molto più, è un autore satirico la cui forza espressiva non trova eguali in Italia (o forse sì, ma era Giuseppe Scalarini, al quale i fascisti chiesero di consegnare le armi e lui, Scalarini, rispose porgendo le sue matite). Nato nel 1936 ad Asciagiara in Galilea, sfolla nel 1948 quando Israele decide che quella non è né casa sua né dei palestinesi. Naji Al Ali allora disegna sui muri di un campo profughi libanese, Ain al-Hilwa. Nel ’48 Naji ha l’età di Handala, la sua creatura che disegnerà di lì a poco, divenendo la sua firma, il bambino che ferma il tempo all’inizio ufficiale della persecuzione, simbolo della resistenza palestinese, che volge le spalle al mondo esattamente come il mondo ha voltato le spalle alla Palestina. Naji trova nel disegno il modo per sfogare una rabbia che non lo abbandonerà più, come non abbandonerà la causa dei più poveri, dei più deboli.
Conosco Naji e il suo “Filastin-L’arte di resistenza” una sera d’estate al Al Ard (Doc) Film Festival, in terra sarda, che non a caso ha maturato affinità con i palestinesi, ostinazione anticoloniale, ospitando una rassegna di produzioni palestinesi e del mondo arabo, giunta alla XVII edizione, film che altrimenti non andrebbero mai oltre i check point che ne vietano la voce. Il Festival batte il tempo nell’urgenza di riuscire anche nell’edizione 2020, anno famoso per il virus e la difficoltà di continuare ad esserci, soprattutto con la cultura, e “Al Ard Festival” resiste.

 
“Per me la caricatura è un linguaggio per comunicare con la gente, per incitare, per criticare, non per divertire. Mi considero uno che graffia. Qual è il ruolo dell’intellettuale? Dire la verità è un dovere, è necessario e l’intellettuale deve stare in prima linea a incitare la gente.” dice Naji. Prendere posizione, col suo linguaggio semplice, simbologia tanto comprensibile al contadino quanto al medico. Niente compromessi. Non buca lo schermo, ma le coscienze.
Rileggo quanto scriveva Edward Said: “L’intellettuale è sempre al bivio fra solitudine e allineamento, l’intellettuale deve sempre schierarsi dalla parte dei più deboli.” Non è di sola cultura che è fatto un intellettuale, ma dell’onestà di non tradire le proprie promesse: “Uno può redigere tanti bei poemi sull’ulivo, ma se non ama il contadino che l’ha piantato…” e Naji amava entrambi.
Sono ospite in questo festival che nel 2021 sarà maggiorenne, arrivo come sconosciuto, sono accolto come fossi di casa, fra registi di diverse nazionalità, docenti, gente comune, volontari, persone. Prendo la parola, parlo di Naji e dei suoi disegni in mostra, ma lui non c’è, fermo a quell’agosto 1987 di Londra quando un colpo di pistola alla tempia lo uccide su commissione. Perde molto sangue, quel giorno, ma non abbastanza per coprire i fiumi d’inchiostro che ha disegnato e ancora oggi troppo scomodo per fare di lui una sagoma di cartone.
Naji Al Ali inchioda la Storia su ogni pezzo di carta e lascia un’eredità disegnata innegabile: ignorarla vuol dire essere complici. Anche così l’Al Ard (Doc) Film Festival ha il coraggio, come scriveva Edward Said, di “trovare la propria ragion d’essere nel fatto di rappresentare tutte le persone e le istanze che solitamente sono dimenticate oppure censurate”.

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