Il nostro 11 settembre è decisamente un altro. E ogni anno aumentano le ragioni per ricordarlo.
In
Cile fu cancellata nel sangue una svolta politica decisa e scelta dal
popolo di quel paese, sancita con regolari elezioni democratiche.
Talmente regolari da non sollevare obiezioni di nessun genere, nemmeno
da parte di chi – oggi – ciancia di “democrazia” indicando “presidenti
autonominati”.
Fu
un evento per molti versi decisivo. Si doveva riconoscere che c’era una
radicale differenza tra “prendere il governo” e “prendere il potere”;
che qualsiasi progetto di cambiamento radicale, riformatore o
rivoluzionario che fosse, doveva fare i conti con una realtà in cui il
volere degli Stati Uniti – cuore e motore del capitalismo delle
multinazionali d’allora – valeva più della volontà dei popoli.
In
qualsiasi parte del mondo, in America Latina come in Europa, in Africa
come in Asia (continenti in cui, in effetti, le rivoluzioni stavano
comunque vincendo, come in Angola o in Vietnam).
Si
poteva anche vincere le elezioni, col 51 o col 70%. Ma sarebbero
arrivati gli yankee e il loro complici golpisti “nazionali” (soprattutto
carabinieri, servizi segreti e parte dell’esercito professionale, in
Italia, oltre ai soliti fascisti che già avevano seminato stragi) a
impedire che da quella vittoria potessero discendere cambiamenti
effettivi nella società e nel modo di produrre.
Di
fatto, veniva azzerato il mito della “democrazia occidentale”. Le
uniche elezioni “regolari” sono quelle in cui vincono i servi delle
imprese e degli Stati Uniti. Da allora, abbiamo visto replicare questo format innumerevoli volte (Bolivia, Venezuela, Honduras, Paraguay, ecc).
Lì
la “sinistra comunista” si divise davvero e per sempre, ovunque, come
aveva fatto la Seconda Internazionale allo scoppio della Prima Guerra
Mondiale. Da una parte i riformisti, che abbandonavano qualsiasi
velleità di cambiamento radicale, sciorinando pensate come come
l’”eurocomunismo” o il “compromesso storico”, sulla via
dell’omologazione. Dall’altra i rivoluzionari, cui mancava qui in Europa
però un radicamento di massa sufficiente, nonostante il ’68.
Salvador
Allende era un socialista, che nelle categorizzazioni d’allora
significava “riformista”. Eppure la sua esperienza politica fu una
lezione di realismo e radicalità come raramente se ne sono viste al
mondo. Una coerenza senza infingimenti che lo portò dalla resistenza
popolare alla presidenza del Paese e infine alla morte in combattimento,
con in mano il mitra regalatogli da Fidel.
Decisamente più rivoluzionario di tanti “comunisti” di questo paese, non vi sembra?
Per celebrare degnamente questo 47° anniversario, vi proponiamo:
a) un articolo dell’edizione cilena di Le Monde che riassume la situazione politica prima delle elezioni vinte da Unitad Popular (4 settembre 1970);
b) il primo discorso di Allende come Presidente del Cile, che potete anche ascoltare in spagnolo, recitato da numerosi attivisti in questo video https://www.youtube.com/watch?v=qdOPO86LkrY&feature=youtu.be
c)
L’ultimo discorso su Radio Magallanes, a golpe già in corso e con i
militari ormai all’interno della Moneda, anche questo in video https://youtu.be/xZeEfXjTNu4
Ricordiamo infine che tra la sua guardia del corpo personale c’era allora un giovanissimo Luis Sepulveda.
*****
Salvador Allende e la via cilena al socialismo
di Marcos Roitman Rosenmann, agosto 2020
Ottobre
del 1969, il Cile entrava in dinamica elettorale. Le presidenziali, il 4
settembre del 1970. Governava il democristiano Eduardo Frei Montalva,
anticomunista appoggiato dagli Stati Uniti. Il suo trionfo, basato nella
campagna della paura e la guerra psicologica, gli diede la maggioranza
assoluta. “Rivoluzione
in libertà” fu il suo slogan per combattere i movimenti di liberazione
nati sulla scia della Rivoluzione cubana. I suoi sei anni, un cumulo di
frustrazioni. Logorato, con riforme inconcluse ed estrema violenza,
continuò il cammino del suo predecessore, di destra, Jorge Alessandri
(1958-1964).
Salvador
Allende descrive la successione di entrambi i governi: “(…) al
fallimento del capitalismo tipico di Alessandri succede implacabilmente
il fallimento del riformismo demagogico della Democrazia Cristiana e il
Governo di Frei” (1).
La
richiesta di una candidatura unitaria di sinistra era nell’aria. Dal
1952, comunisti e socialisti avevano unito le forze nelle tre ultime
presidenziali. Il loro candidato: Salvador Allende. Però l’alleanza veniva da lontano.
Entrambe
le organizzazioni parteciparono alla creazione del Fronte Popolare nel
1936. Coalizione guidata dal Partito Radicale, organizzazione laica e
progressista. Vinse nelle presidenziali del 1938. La congiuntura
richiedeva di frenare l’avanzare del nazi-fascismo e modernizzare il
paese.
Il
Fronte Popolare governò fino al 1952, però il suo ultimo presidente,
González Videla, tradì l’alleanza. Nel 1948, rese illegale il Partito
Comunista con la Legge di difesa della democrazia. Però nel 1970,
l’unità poli-classista conferiva protagonismo a socialisti e comunisti.
Salvador Allende: “Nel 1938, lottavamo per essere la sinistra di un
regime e di un sistema. Nel 1970 non lottiamo per essere la sinistra di
un regime capitalista, lottiamo per sostituire il regime capitalista…” (2).
La sinistra si ridefiniva. I non allineati, i carri armati a Praga. La guerra del Vietnam. L’antiimperialismo, il bloqueo a Cuba. L’assassinio
del Che e le dittature protette dalla dottrina della sicurezza
nazionale. In quel contesto, nasceva in Cile il MIR, Movimento di
Sinistra Rivoluzionaria, sostenitore dell’ insurrezione popolare.
Dall’altro
lato, la Unidad Popular definiva il suo progetto. Aprire un cammino non
percorso, rispettando l’istituzione vigente per spianare la transizione
al socialismo. Fu la cosiddetta via cilena. Il Che, conoscitore delle sue concezioni politiche, scrisse la seguente dedica nel suo saggio La guerra di guerriglia: “A Salvador Allende, che con altri mezzi cerca di ottenere la stessa cosa. Affettuosamente, Che”.
Così,
la via cilena ebbe la peculiarità dei “riunire una sindrome di elementi
definitori, politici, sociali, economici, militari, che la fanno
diventare l’esperienza fino ad oggi più moderna di rivoluzione
anticapitalista, contenendo i germi di una modalità di transizione al
socialismo mai prima sviluppata a un livello comparabile: piena vigenza
della democrazia come forma di vita in seno ai settori e organizzazioni
componenti il blocco sociale popolare, riconoscimento dei diritti
politici e civili uguali all’opposizione, rispetto dello Stato di
diritto come norma per regolare la vita collettiva, rifiuto della guerra
civile come via di risoluzione delle contraddizioni sociali, libero
esercizio delle libertà di organizzazione, coscienza ed espressione
senza altre restrizioni che quelle contemplate nel regime legale basato
sulla volontà nazionale manifestata mediante il suffragio universale,
libero, segreto e con pluralità di partiti” (3).
Salvador
Allende lo enfatizza: “Da lì l’importanza che ha la Unidad Popular che,
ripeto, è uno strumento del popolo del Cile, nato dalla sua esperienza e
dalla sua realtà, non è il prodotto della cabala di alcuni dirigenti
che cercano collocazione in funzione di vantaggi personali o di
possibilità elettoralistiche. È la responsabilità storica di noi che ci
rendiamo conto che questo paese o fa in modo di dare un passo avanti nel
processo di autentica democratizzazione, o cadremo in una dittatura
civile implacabile o in un golpe militare” (4).
Il
Cile era una società politicizzata. La destra era unificata nel Partito
Nazionale. Il movimento sindacale aveva forgiato la sua unità nel 1953,
nella Centrale Unica dei Lavoratori (CUT). La sinistra si raggruppava
principalmente intorno a socialisti e comunisti.
Il MIR,
fondato nel 1965, guevarista e insurrezionalista, decise di appoggiare
criticamente la candidatura di Allende. E la Democrazia Cristiana nel
1957, che proveniva dalla Falange, si abbeverò al pensiero di Jose
Antonio Primo de Rivera e Ramiro de Maeztu. Nel suo programma si legge:
“La Chiesa è al di sopra dei partiti (…) rifiutiamo il marxismo,
concezione materialista e anti-razionale della vita, che fomenta la
lotta di classe, conduce alla tirannia ed è fallita nelle sue
esperienze” (5).
Nel
1970, la mappa elettorale era definita. La destra conservatrice
presento il settantenne Jorge Alessandri; la Democrazia Cristiana,
Radomiro Tomic. E la sinistra? Cristiani, laici, marxisti, socialisti, comunisti, socialdemocratici erano confluiti. In
dicembre del 1969, si rese pubblico il programma della Unidad Popular.
Lo firmano il Partito Socialista, il Partito Comunista, il Partito
Radicale, il Movimento di Azione Popolare Unitario (MAPU), Azione
Popolare Indipendente (API) e il Partito Social Democratico (PSD).
Conosciuto
come le “quaranta misure di base”, vi spiccano la soppressione delle
grandi retribuzioni, pensioni giuste, previdenza sociale per tutti i
cileni, latte per tutti i bambini, alimentazione per i bambini in
situazione di esclusione, abitazioni degne, acqua ed elettricità,
riforma agraria reale, assistenza medica gratuita negli ospedali,
creazione di centri di assistenza primaria e consultori
materno-infantili, scioglimento dei corpi repressivi dei carabineros,
non più imposte sugli alimenti, creazione dell’istituto dell’arte e
della cultura, tra le altre.
La
Unidad Popular aveva un progetto. La sua ultima sfida: nominare il
candidato. Il Partito Radicale propose un insigne intellettuale: Alberto
Baltra; il MAPU, Jacques Chonchol, ex ministro di Frei e fautore della
sua riforma agraria; il Partito Comunista, il poeta Pablo Neruda; e
l’API, il senatore Rafael Tarud. Il Partito Socialista, sprofondato in
un dibattito interno, aveva due richiedenti: Salvador Allende e Aniceto
Rodríguez, a quel tempo segretario generale del partito.
Allende
avrebbe ottenuto 13 dei 27 voti, con 14 astensioni. Sostenitore di una
salda alleanza con i comunisti e la costruzione di ampie basi
d’appoggio, non contava sul benestare di un settore del suo partito. Consideravano che era “bruciato”. Il 22 gennaio del 1970, fu eletto candidato della Unidad Popular.
Il 4 settembre del 1970, vincerà su una destra divisa. Salvador Allende: 1.075.616 voti; Jorge Alessandri: 1.036.278 voti; Radomiro Tomic: 824.849 voti. Il
suo trionfo portò all’inizio di una cospirazione che sarebbe finita con
il bombardamento del Palazzo presidenziale l’11 settembre del 1973, con
l’imposizione del neoliberismo e un regime di terrore.
Salvador
Allende fu oggetto di ogni tipo di attacchi. Medico di professione, ex
ministro della Salute Pubblica nel 1938, presidente del Collegio Medico,
sostenitore del Servizio Nazionale di Salute, ex deputato ed ex
presidente del Senato, concentrava tutta l’antipatia e l’odio della
destra.
Il periodico della plutocrazia e della destra, El Mercurio,
il cui padrone, Agustín Edwards, andò a chiedere l’aiuto di Nixon e
Kissinger per impedire che Allende assumesse la presidenza, non perdeva
opportunità per calunniarlo. L’ha fatto proprietario di uno yacht di
lusso, e l’ha pubblicato in primo piano. La risposta fu immediata. Ha
rimorchiato la barca, una barca a remi, fino a Santiago e l’ha esposta
di fronte a La Moneda per tutti quelli che la volessero vedere. L’hanno pure accusato di negare la sua iscrizione massonica.
La
sua reisposta, laconica: “Ho ricevuto come unica eredità un nome
pulito, una vocazione a servire il popolo nata dalla formazione
massonica dei miei antenati”. E nel 1967, fu protagonista di uno degli
atti più nobili che si ricordano al Senato.
Il
ministro dell’Industria di Frei, Andrés Zaldívar, difendeva la legge
dei tagli salariali. Mentre interveniva, sua moglie fu ricoverata
d’urgenza per un parto prematuro. Allende, saputa la notizia, prese la
parola e disse ai senatori che il ministro aveva un grave problema
familiare e chiese di sospendere la sessione. Zaldívar riferisce che non
ha mai potuto dimenticare il gesto umano di Allende. Anche se non si è
fatto scrupoli ad avallare il colpo di Stato nel 1973.
Già
presidente, è tornato a mostrare la sua signorilità in difesa della
dignità del popolo del Cile. Andò alle Nazioni Unite per pronunciare il
suo discorso davanti all’Assemblea Generale nel dicembre del 1972.
George Bush, ambasciatore di Nixon, chiese di avere un colloquio con
Allende.
Questo fu il dialogo:
Allende:
“Voglio reiterare al suo Governo che il popolo del Cile desidera avere
le migliori relazioni nel mutuo rispetto. Non identifico il popolo degli
USA con le azioni della CIA nei fatti interni del mio paese”.
Bush: “Signor presidente, la CIA è anche il popolo degli USA”.
Allende, alzandosi dalla poltrona: “Signor ambasciatore, le chiedo di ritirarsi”.
Bush, arrossendo e confuso, balbetta: “Signor presidente, ho detto qualcosa d’inappropriato?
Allende: “L’intervista è terminata. Addio”.
E
così fino al giorno del colpo di Stato. Il generale dell’Esercito
Ernesto Baeza Michelsen chiamo alla Moneda chiedendo la resa del
presidente. Oswaldo Puccio, segretario personale del presidente,
riferisce la conversazione telefonica: “Chiese a Baeza come stesse la
sua signora e il generale gli rispose che stava bene… Continua
chiedendogli come stesse lui, visto che aveva avuto un infarto (…).
Allende gli consigliò di riguardarsi molto e di evitare qualsiasi
preoccupazione. In qualche modo, il generale ha messo insieme il
coraggio per trasmettere il messaggio del capo dei golpisti. Quello che
non si sa è se ce l’ha avuto per riportargli la risposta di Allende:
‘Gli dica che non faccia il figlio di puttana e che venga a cercarmi
personalmente’”.
Il
giorno della vittoria elettorale, la destra mise in marcia la sua
strategia. Primo, evitare che Allende assumesse la presidenza il 4 di
novembre del 1970. Senza maggioranza assoluta, i membri del Congresso
potevano parteggiare per una delle due maggioranze relative. Il piano
fallì con l’assassinio del generale in capo delle Forze Armate René
Schneider alcuni giorni prima della votazione.
Furono tre anni di strangolamento economico, attentati e cospirazioni. Allende
lo sottolinea nel suo ultimo discorso: “Lavoratori della mia patria:
voglio ringraziarvi per la lealtà che sempre avete avuto, la fiducia che
avete riposto in un uomo che è stato solo un interprete dei grandi
desideri di giustizia, che ha dato la sua parola che avrebbe accettato
la Costituzione e la legge, e così ha fatto. In questo momento
definitivo, l’ultimo in cui io possa dirigermi a voi, voglio che
facciate tesoro della lezione: il capitale straniero, l’imperialismo,
unito alla reazione, ha creato il clima per il quale le forze armate
rompessero la loro tradizione, quella ha insegnato Schneider e che ha
riaffermato il comandante Araya, vittime dello stesso settore sociale
che oggi starà nelle proprie case aspettando di riconquistare il potere
con mano straniera per continuare a difendere la proprie rendite e
privilegi”.
L’11
settembre del 1973, la decisione di Salvador Allende di rimanere a
combattere dimostra la forza dei suoi principi e convinzioni e mantiene
vivo il suo contributo al pensiero socialista, antimperialista e
anticapitalista (6)
(1) Salvador Allende, “Alocución en el templo de la Gran Logia de Chile el 14 de abril de 1970”; in Juan Gonzalo Rocha, Allende, Masón. La visión de un profano, Editorial Sudamericana, 2000, Santiago del Cile, pagina 41.
(3) Joan Garcés, Allende y la experiencia chilena. Las armas de la política, Editorial Siglo XXI, Madrid, 2013, pagina 15.
(5) AA.VV: Documentos del siglo XX chileno, Editorial Sudamericana, Santiago del Cile, 2001, pagina 178.
(6) Per questo periodo: Gonzalo Martner García, Los mil días de una economía sitiada, Ediciones Facultad de Economía. Universidad Central de Venezuela, Caracas, 1975. Joan Garcés, El estado y los problemas tácticos en el gobierno de Allende, Editorial Siglo XXI, Madrid, 1974. Víctor Pey (compilador), Salvador Allende: Obras escogidas, Fundación Presidente Allende, Madrid, 1996.
Marcos Roitman Rosenmann
Professore titolare nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociologia dell’Università Complutense di Madrid. Autore di Por la razón o la fuerza. Historia y memoria de los golpes de Estado, dictaduras y resistencias en América Latina, Siglo XXI, abril de 2019.
*****
Salvador Allende: Discorso della Vittoria Elettorale, 4 settembre del 1970
di Salvador Allende Gossens (Presidente del Cile)
Con
profonda emozione vi parlo da questa tribuna per mezzo di questi
limitati amplificatori. Com’é significativa -più che le parole- la
presenza del popolo di Santiago che, interpretando l’immensa maggioranza
dei cileni, si riunisce per riaffermare la vittoria che abbiamo
ottenuto chiaramente nella giornata odierna, vittoria che apre un
cammino nuovo per la patria, e il cui principale attore è il popolo del
Cile qui riunito!
Com’é
straordinariamente significativo che io possa dirigermi al popolo del
Cile e al popolo di Santiago dalla Federazione degli Studenti. Questo
possiede un valore e un significato molto alto. Mai un candidato
vincente per la volontà e il sacrificio del popolo ha usato una tribuna
che avesse maggior importanza. Perché tutti lo sappiamo: la gioventù
della patria è stata avanguardia in questa grande battaglia, che non è
stata la lotta di un uomo, ma la lotta di un popolo; è la vittoria del
Cile, ottenuta chiaramente questa sera.
Io
vi chiedo che comprendiate che sono solo un uomo, con tutti i limiti e
le debolezze che ha un uomo; e se ho potuto sopportare –perché avevo un
compito – la sconfitta di ieri, oggi senza superbia e senza spirito di
vendetta, accetto questo trionfo che nulla ha di personale e che devo
all’unità dei partiti popolari, alle forze sociali che sono state
insieme a noi.
Lo
devo ai radicali, socialisti, comunisti, socialdemocratici, alla gente
del MAPU e dell’API, e a migliaia di indipendenti. Lo devo all’uomo
anonimo e che si sacrifica della patria; lo devo all’umile donna della
nostra terra. Devo questo trionfo al popolo del Cile, che entrerà con me
alla Moneda il 4 di novembre.
La
vittoria ottenuta da voi ha un profondo significato nazionale. Da qui
dichiaro, solennemente, che rispetterò i diritti di tutti i cileni. Ma
dichiaro pure, e voglio che lo sappiate definitivamente, che arrivando
alla Moneda, e essendo il popolo governo, porteremo a termine l’impegno
storico che abbiamo contratto, di far diventare realtà il programma
della Unidad Popular.
L’ho
detto: non abbiamo e non potremmo avere alcun piccolo proposito di
vendetta, ma in nessun modo zoppicheremo e contratteremo il programma
della Unidad Popular, che è stata la bandiera del primo governo
autenticamente democratico, popolare, nazionale e rivoluzionario della
storia del Cile.
L’ho
detto, e lo ripeto: se la vittoria non era facile, difficile sarà
consolidare il nostro trionfo e costruire la nuova società, la nuova
convivenza sociale, la nuova morale e la nuova patria.
Ma
io so che voi, che avete fatto sì che il popolo sia domani governo,
avrete la responsabilità storica di realizzare quello che il Cile anela
per far diventare la nostra patria un paese incomparabile nel progresso,
nella giustizia sociale, nei diritti di ciascun uomo, di ciascuna
donna, di ciascun giovane della nostra terra.
Abbiamo
trionfato per sconfiggere definitivamente lo sfruttamento imperialista,
per finirla con i monopoli, per fare una seria e profonda riforma
agraria, per controllare il commercio d’importazione ed esportazione,
per nazionalizzare, infine, il credito, pilastri tutti che renderanno
fattibile il progresso del Cile, creando il capitale sociale che darà
impulso al nostro sviluppo.
Per
questo, questa notte, che appartiene alla Storia, in questo momento di
giubilo, io esprimo il mio emozionato riconoscimento agli uomini e
donne, ai militanti di partiti popolari e componenti delle forze sociali
che hanno reso possibile questa vittoria che ha proiezioni al di là
delle frontiere della stessa patria.
Per
quelli che stanno nella pampa o nella steppa, per quelli che ascoltano
dal litorale, per quelli che lavorano nella pre-cordigliera, per la
semplice donna di casa, per il cattedratico universitario, per il
giovane studente, il piccolo commerciante e industriale, per l’uomo e la
donna del Cile, per il giovane della nostra terra, per tutti loro,
l’impegno che io prendo davanti alla mia coscienza e davanti al popolo
-attore fondamentale di questa vittoria- è quello di essere
autenticamente leale nel compito comune e collettivo. L’ho detto: il mio
unico desiderio e quello di essere per voi il compagno presidente.
Sono
stati l’uomo anonimo e la donna ignorata del Cile quelli che hanno reso
possibile questo fatto sociale importantissimo. Migliaia e migliaia di
cileni hanno seminato il loro dolore e la loro speranza in quest’ora che
appartiene al popolo. Da altre frontiere, da altri paesi, si guarda con
soddisfazione profonda la vittoria ottenuta. Il Cile apre un cammino
che altri popoli d’America e del mondo potranno seguire. La forza vitale
dell’unità romperà le barriere delle dittature e aprirà il canale
perché altri popoli possano essere liberi e possano costruire il proprio
destino.
Siamo
lo sufficientemente responsabili per comprendere che ciascun paese e
ciascuna nazione ha i suoi specifici problemi, la propria storia e la
propria realtà. Davanti a quella realtà saranno i dirigenti politici di
quei popoli ad adeguare la tattica che dovrà essere adottata. Noi
vogliamo solo tenere le migliori relazioni politiche, culturali,
economiche, con tutti i paesi del mondo. Chiediamo solo che rispettino
–dovrà essere così- il diritto del popolo del Cile di essersi dato il
governo della Unidad Popular.
Siamo
e saremo rispettosi dell’autodeterminazione e del non intervento.
Questo non significherà tacere la nostra adesione solidale con i popoli
che lottano per la loro indipendenza economica e per rendere degna la
vita dell’uomo nei distinti continenti.
Voglio
solo mettere in rilievo davanti alla storia il fatto di fondamentale
importanza che voi avete realizzato, sconfiggendo la superbia del
denaro, la pressione e la minaccia; l’informazione deformata, la
campagna di terrore, dell’insidia e la cattiveria.
Quando
un popolo è stato capace di questo, sarà capace anche di comprendere
che solo lavorando di più e producendo di più potremo far sì che il Cile
progredisca e che l’uomo e la donna della nostra terra, la coppia
umana, abbia diritto autentico al lavoro, all’abitare, alla salute,
all’educazione, al riposo, alla cultura e allo svago.
Metteremo
tutta la forza creatrice del popolo in tensione, per rendere possibili
queste mete umane tracciate nel programma della Unidad Popular.
Insieme, con il vostro sforzo, realizzeremo i cambiamenti che il Cile reclama e necessita. Faremo un governo rivoluzionario.
La
rivoluzione non implica il distruggere, bensì il costruire; non implica
l’abbattere, ma l’edificare; e il popolo del Cile è preparato per
questo grande compito in quest’ora fondamentale della nostra vita.
Compagne
e compagni, amiche e amici: avrei desiderato che i mezzi materiali di
comunicazione mi avessero permesso di parlare più a lungo con voi, e che
ciascuno avesse ascoltato le mie parole, bagnate d’emozione, ma allo
stesso tempo ferme nella convinzione della grande responsabilità che
tutti abbiamo e che io assumo pienamente. Io vi chiedo che questa
manifestazione senza precedenti diventi la dimostrazione della coscienza
del popolo.
Voi
tornerete alle vostre case senza che ci sia il minimo segno di
provocazione e senza farvi provocare. Il popolo sa che i suoi problemi
non si risolvono rompendo vetri o colpendo un’automobile. Quelli che
hanno detto che domani i tumulti avrebbero caratterizzato la nostra
vittoria, si troveranno davanti la vostra coscienza e responsabilità.
Andrete al vostro lavoro domani o lunedì, allegri e cantando; cantando
la vittoria tanto legittimamente ottenuta, e cantando al futuro. Con le
mani callose del popolo, le tenere mani della donna e le risate del
bambino, renderemo possibile il grande compito che solo un popolo
cosciente e disciplinato potrà realizzare.
L’America
Latina e oltre la frontiera del nostro popolo, guardano il nostro
domani. Io ho piena fiducia che saremo sufficientemente forti,
sufficientemente sereni e forti, per aprire il cammino felice verso una
vita diversa e migliore; per cominciare a camminare per gli speranzosi
viali del socialismo, che il popolo del Cile costruirà con le sue stesse
mani.
Reitero
il mio grato riconoscimento ai militanti della Unidad Popular; a quelli
che sono dei partiti Radicale, Comunista, Socialista, Social
Democratico, MAPU e API; e alle migliaia d’indipendenti di sinistra che
sono stati con noi. Esprimo il mio affetto e anche il mio grato
riconoscimento ai compagni dirigenti di questi partiti, che al di là
delle frontiere delle loro collettività hanno reso possibile la forza di
questa unità che il popolo ha fatto sua. Poiché il popolo l’ha fatta
sua è stata possibile la vittoria, che è la vittoria del popolo.
Il
fatto che siamo speranzosi e felici non significa che trascureremo la
vigilanza: il popolo, questo fine settimana, prenderà il paese per la
vita e balleremo da Arica a Magallanes, e dalla cordigliera al mare, una
grande cueca, come simbolo della sana allegria della nostra vittoria.
Però
allo stesso tempo, manterremo i nostri comitati d’azione popolare, in
stato vigile, in attitudine responsabile, per essere predisposti a
rispondere a una chiamata -se è necessario- del comando della Unidad
Popular. Chiamata perché i comitati d’impresa, di fabbrica, di ospedale,
dei comitati di quartiere e nei quartieri e nelle popolazioni
proletarie vadano studiando i problemi e le soluzioni; perché
rapidamente dovremo mettere in marcia il paese. Io ho fiducia, profonda
fiducia, nella onestà, nella condotta eroica di ogni uomo e ogni donna
che ha reso possibile questa vittoria.
Lavoreremo di più. Produrremo di più.
Ma
lavoreremo di più per la famiglia cilena, per il popolo e per il Cile,
con orgoglio di cileni e la convinzione che stiamo realizzando un grande
e meraviglioso compito storico. Sento nell’intimo della mia fibra di
uomo, sento nella profondità umana della mia condizione di combattente,
quello che ciascuno di voi mi consegna. Quello che sta germogliando oggi è un lungo viaggio. Prendo solo in mano la fiaccola accesa da coloro che prima di noi hanno combattuto a fianco del Popolo e per il popolo.
Questo
trionfo dobbiamo tributarlo in omaggio a quelli che sono caduti nelle
lotte sociali e hanno irrigato con il loro sangue il fertile seme della
rivoluzione cilena che realizzeremo.
Prima
di terminare, ed è onesto farlo, voglio riconoscere che il governo ha
trasmesso le cifre e i dati conformemente ai risultati elettorali.
Voglio riconoscere che il capo della piazza, il generale Camilo
Valenzuela, ha autorizzato questa manifestazione di massa con la
convinzione e la certezza, data da me, che il popolo si sarebbe
radunato, com’è qui, in atteggiamento responsabile, sapendo che ha
conquistato il diritto a essere rispettato; rispettato nella sua vita e
rispettato nella sua vittoria; il popolo che sa che entrerà con me alla
Moneda il 4 di novembre di quest’anno.
Voglio
precisare che i nostri avversari della Democrazia Cristiana hanno
riconosciuto con una dichiarazione la vittoria popolare. Non chiederemo
alla destra di farlo. Non ne abbiamo bisogno. Non abbiamo animosità contro di essa. Però
essa non sarà mai capace di riconoscere la grandezza che ha il popolo
nelle sue lotte, nata dal suo dolore e dalla sua speranza.
Mai
come ora, ho sentito il calore umano; e mai come ora, la canzone
nazionale ha avuto per voi e per me tanto e così profondo significato.
Nel nostro discorso lo abbiamo detto: siamo i legittimi eredi dei padri
della patria, e insieme faremo la seconda indipendenza: l’indipendenza
economica del Cile.
Cittadine
e cittadini di Santiago, lavoratori della patria: voi e solo voi siete i
vincitori. I partiti popolari e le forze sociali hanno dato questa
grande lezione, che, ripeto, si proietta oltre le nostre frontiere
materiali.
Vi
chiedo di andare alle vostre case con l’allegria sana della chiara
vittoria ottenuta. Questa notte, quando accarezzate i vostri figli,
quando cercate il riposo, pensate al duro domani che avremo davanti,
quando dovremo mettere più passione, più amore, per rendere sempre più
grande il Cile, e sempre più giusta la vita nella nostra patria.
Grazie,
grazie, compagne. Grazie, grazie, compagni. Già l’ho detto un giorno:
il meglio che ho me l’ha dato il mio partito, l’unità dei lavoratori e
l’unità popolare.
Alla vostra lealtà, risponderò con la lealtà di un governante del popolo; con la lealtà del compagno presidente.
Pronunciato: La notte del 4 settembre del 1970, dal balcone del palazzo della Federazione degli Studenti del Cile a Santiago.
Questa edizione: Marxists Internet Archive, 2001.
Questa edizione: Marxists Internet Archive, 2001.
*****
Ultimo discorso di Salvador Allende (1908-1973)
Questo
ultimo discorso del Presidente Allende dal Palazzo della Moneda fu
trasmesso da Radio Magallanes alle 9:10 del mattino dell’11 Settembre
1973. Poco dopo, l’emittente fu distrutta dai golpisti.
Amici miei,
Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.
La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Portales e Radio Corporación.
Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.
Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.
Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.
La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.
In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i suoi profitti e i suoi privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.
Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.
Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.
Erano d’accordo.
La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più.
Non importa.
Continuerete a sentirla.
Starò sempre insieme a voi.
Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.
Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.
Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.
La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Portales e Radio Corporación.
Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.
Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.
Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.
La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.
In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i suoi profitti e i suoi privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.
Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.
Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.
Erano d’accordo.
La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più.
Non importa.
Continuerete a sentirla.
Starò sempre insieme a voi.
Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.
Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.
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