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“Chiedo scusa per non essermi fatto vivo prima, ma ho ancora il mio
computer sotto sequestro, e devo andare da un amico per avere la
linea…”. Inizia così il messaggio che ci è arrivato da Franco Casalone,
che racconta di essere imputato per gli art.73 e 80 della legge 309/90
per aver coltivato cannabis “senza previa autorizzazione” (art.17 legge
309/90).
La vicenda è quella che vi avevamo raccontato tempo fa, e per la quale è ancora attiva la raccolta fondi per pagare le sue spese legali. Ad ogni modo Casalone non si ferma e ha scritto un appello nel quale ripercorre tutti i motivi per i quali, secondo lui, i pazienti che utilizzano cannabis per le proprie patologie dovrebbero avere il diritto a coltivare la cannabis di cui necessitano.
Ricordiamo che ad oggi, stati come il Canada o l’Argentina, permettono ai propri pazienti di avviare delle coltivazioni di cannabis seguendo le regole decise dallo stato. In Italia invece questa possibilità non c’è. Le cure a base di cannabis nel nostro paese sono legali da anni, ma i problemi per i pazienti sono sempre gli stessi: l’alto costo della terapia e la carenza ciclica di cannabis. Le soluzioni potrebbero essere quelle di mettere la cannabis gratuita a livello di servizio sanitario nazionale e non regionale e poi di dare le autorizzazioni ad aziende private per la coltivazione. Nel frattempo, se i pazienti potessero iniziare a coltivare cannabis, si potrebbe avere una soluzione a breve termine in grado di tamponare l’emergenza.
APPELLO PER RICHIESTA AUTORIZZAZIONE
A tutti i bisognosi di cannabis e a tutte le Associazioni che si
occupano di cannabis, con particolare riferimento a quelle che si
occupano di cannabis terapeutica:
– visto il riconoscimento internazionale del valore terapeutico della cannabis e la sua non pericolosità,
– visto l’uso in ambito terapeutico sempre più diffuso per sempre più problemi di salute,
– visto la crescente domanda da parte di pazienti bisognosi di tale
sostanza e la reticenza da parte di alcuni medici e del sistema
sanitario nel fornirla (reticenza data dalla non conoscenza della
sostanza, dovuta a un secolo di proibizionismo e di conseguenti
informazioni errate),
– visto l’articolo 32 della Costituzione Italiana: “La Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno
può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti
imposti dal rispetto della persona
umana.”
– visto la non preparazione riguardo alla produzione, conservazione ed
uso (essendo vietata non è mai stata insegnata “ufficialmente”) del
personale addetto alla cannabis terapeutica reperibile legalmente in
Italia, con conseguenti lamentele da parte di pazienti riguardo
alle preparazioni cannabiche mediche prodotte in Italia (non efficacia
del prodotto, reazioni fisiche negative come nausea, reazioni
allergiche, ecc.), FM1 e FM2,
– vista la difficile reperibilità in farmacia di prodotti cannabici, le
difficoltà burocratiche per ottenerli e prescriverli da parte di medici,
farmacisti e pazienti,
– vista la reticenza da parte di molti medici nel prescrivere una
sostanza che spesso non conoscono e la stessa reticenza nell’informarsi
senza pregiudizi ideologici,
– vista la situazione italiana, dove moltissimi bisognosi di cannabis,
non trovandola in farmacia sono costretti a rivolgersi ad un mercato
nero
– vista la continua ricerca, che ci dice che gran parte degli effetti
terapeutici della cannabis non sono dovuti soltanto ai cannabinoidi ma
in gran parte al fitocomplesso, terpeni e flavonoidi,
– vista la enorme quantità di diverse varietà di cannabis, con spettri
di fitocomplessi diversi e la ridotta disponibilità di varietà ad uso
terapeutico,
– visti i metodi di produzione delle varietà “terapeutiche”,
riconosciuti da chi usa la sostanza come “non adatti ad un prodotto con
valore terapeutico” (uso di substrati riconosciuti cancerogeni, di
fertilizzanti
sintetici, sterilizzazione, trinciatura del prodotto, ecc.),
– visto il maggior interesse nella produzione e utilizzo di prodotti di
qualità sia da parte del paziente che da parte di altri soggetti
coinvolti,
– vista l’incapacità dello stato e del sistema sanitario nazionale di
garantire la continuità terapeutica a tutti i malati: si stimano più di
un milione – fino a cinque milioni (ricerca indipendente di Google)– di
pazienti che potrebbero trarre beneficio dalla cannabis.
Si propone:
a tutti i malati che utilizzano cannabis a scopo terapeutico:
– di farsi rilasciare, da un medico di fiducia, una prescrizione di
cannabis rispondente ai suoi reali bisogni, in quantità e varietà (tipo
di cannabis a THC predominante, tipo a THC/CBD 1:1, tipo a
CBD predominante), dalla quale dedurre la quantità di cannabis da
crescere ad ogni ciclo di coltivazione. Ricordo a tutti i possessori di
ricetta che non possono togliervi la patente, proprio perché usate la
cannabis per scopi terapeutici
– di presentare domanda, al Ministro della Salute, di autorizzazione a
coltivare cannabis per proprio esclusivo uso personale e terapeutico,
per quantità compatibili, per ogni ciclo di coltivazione, con le
quantità indicate in ricetta, indicando lo “stato di necessità e
urgenza”.
A tutte le Associazioni che si occupano di cannabis terapeutica:
– di costituire una rete di medici prescrittori che non abbiano timore
di difendere la propria professionalità e i diritti loro e dei propri
pazienti,
– di dare assistenza tecnica a tutti quei pazienti iscritti che
intendano coltivarsi la propria medicina, la varietà più consona alla
loro cura per quantitativi equivalenti ai loro bisogni (con riferimento
alla ricetta personale),
– di avere uno o più legali comuni di riferimento, pronti a intervenire
nella difesa di pazienti che subiscano tentativi di sequestro della
propria medicina o, peggio, limitazioni della libertà personale. A tal
scopo ogni associazione dovrebbe garantire un minimo di
denaro necessario a coprire le eventuali spese legali di chi venisse
colpito (si propone un intervento comune),
– di presentare domanda, al Ministero della Salute, di autorizzazione a
coltivare cannabis per esclusivo uso personale e terapeutico dei propri
associati che, fisicamente, non possono dedicarsi alla coltivazione, per
quantità compatibili, per ogni ciclo di coltivazione, con le quantità
indicate in ricetta, indicando lo “stato di necessità e urgenza”.
– di promuovere la conoscenza della cannabis anche con conferenze,
eventi, corsi e seminari. L’Associazione potrebbe mantenere un
registro (segreto) con i nominativi, le ricette, le varietà e
le quantità di cannabis da coltivare. Siamo convinti che la cura sia il
primo passo verso un miglioramento che inizia quando si pensa di mettere
un seme nella terra. Ci saranno pazienti che, fisicamente, non saranno
in grado di occuparsi delle piante. Sarà nei compiti dei membri
dell’associazione con conoscenze e capacità aiutare i bisognosi (ad es.
nell’allestimento di impianti e cura delle piante). Chiaramente almeno
le spese dovranno essere pagate da chi richiede i lavori. L’Associazione
si prenderà cura della tutela legale anche di chi fornisce aiuto. Per
questo, e per evitare abusi, chi fornisce aiuto avrà una fotocopia delle
ricette dei bisognosi (da cui dedurre le quantità e le varietà
coltivabili, da mantenere segreto per la privacy del paziente) e una
dichiarazione, rilasciatadall’Associazione, che sta aiutando il paziente
XXX (segreto, da esibire solo in caso di tentativo di sequestro) .
Come primo passo bisogna arrivare al riconoscimento che ogni persona
bisognosa possa avere una ricetta con quantità e qualità adatte ai suoi
bisogni (cercare, informare e creare una rete di medici prescrittori.).
Ogni possessore di ricetta deve potersi coltivare un quantitativo annuo
equivalente (un poco superiore per eventuali scarti, come per ogni
prodotto) al suo bisogno in ricetta. Chi coltiva per altri (con ricetta,
riconosciuto dall’Associazione) non deve subire conseguenze penali.
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