martedì 22 settembre 2020

“I pazienti devono poter coltivare la cannabis di cui hanno bisogno”, l’appello di Franco Casalone

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“Chiedo scusa per non essermi fatto vivo prima, ma ho ancora il mio computer sotto sequestro, e devo andare da un amico per avere la linea…”. Inizia così il messaggio che ci è arrivato da Franco Casalone, che racconta di essere imputato per gli art.73 e 80 della legge 309/90 per aver coltivato cannabis “senza previa autorizzazione” (art.17 legge 309/90).

La vicenda è quella che vi avevamo raccontato tempo fa, e per la quale è ancora attiva la raccolta fondi per pagare le sue spese legali. Ad ogni modo Casalone non si ferma e ha scritto un appello nel quale ripercorre tutti i motivi per i quali, secondo lui, i pazienti che utilizzano cannabis per le proprie patologie dovrebbero avere il diritto a coltivare la cannabis di cui necessitano.

Ricordiamo che ad oggi, stati come il Canada o l’Argentina, permettono ai propri pazienti di avviare delle coltivazioni di cannabis seguendo le regole decise dallo stato. In Italia invece questa possibilità non c’è. Le cure a base di cannabis nel nostro paese sono legali da anni, ma i problemi per i pazienti sono sempre gli stessi: l’alto costo della terapia e la carenza ciclica di cannabis. Le soluzioni potrebbero essere quelle di mettere la cannabis gratuita a livello di servizio sanitario nazionale e non regionale e poi di dare le autorizzazioni ad aziende private per la coltivazione. Nel frattempo, se i pazienti potessero iniziare a coltivare cannabis, si potrebbe avere una soluzione a breve termine in grado di tamponare l’emergenza.

APPELLO PER RICHIESTA AUTORIZZAZIONE
A tutti i bisognosi di cannabis e a tutte le Associazioni che si occupano di cannabis, con particolare riferimento a quelle che si occupano di cannabis terapeutica:
– visto il riconoscimento internazionale del valore terapeutico della cannabis e la sua non pericolosità,
–  visto l’uso in ambito terapeutico sempre più diffuso per sempre più problemi di salute,
– visto la crescente domanda da parte di pazienti bisognosi di tale sostanza e la reticenza da parte di alcuni medici e del sistema sanitario nel fornirla (reticenza data dalla non conoscenza della sostanza, dovuta a un secolo di proibizionismo e di conseguenti
informazioni errate),
–  visto l’articolo 32 della Costituzione Italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana.”
–  visto la non preparazione riguardo alla produzione, conservazione ed uso (essendo vietata non è mai stata insegnata “ufficialmente”) del personale addetto alla cannabis terapeutica reperibile legalmente in Italia, con conseguenti lamentele da parte di pazienti riguardo alle preparazioni cannabiche mediche prodotte in Italia (non efficacia del prodotto, reazioni fisiche negative come nausea, reazioni allergiche, ecc.), FM1 e FM2,
– vista la difficile reperibilità in farmacia di prodotti cannabici, le difficoltà burocratiche per ottenerli e prescriverli da parte di medici, farmacisti e pazienti,
– vista la reticenza da parte di molti medici nel prescrivere una sostanza che spesso non conoscono e la stessa reticenza nell’informarsi senza pregiudizi ideologici,
– vista la situazione italiana, dove moltissimi bisognosi di cannabis, non trovandola in farmacia sono costretti a rivolgersi ad un mercato nero
– vista la continua ricerca, che ci dice che gran parte degli effetti terapeutici della cannabis non sono dovuti soltanto ai cannabinoidi ma in gran parte al fitocomplesso, terpeni e flavonoidi,
– vista la enorme quantità di diverse varietà di cannabis, con spettri di fitocomplessi diversi e la ridotta disponibilità di varietà ad uso terapeutico,
– visti i metodi di produzione delle varietà “terapeutiche”, riconosciuti da chi usa la sostanza come “non adatti ad un prodotto con valore terapeutico” (uso di substrati riconosciuti cancerogeni, di fertilizzanti
sintetici, sterilizzazione, trinciatura del prodotto, ecc.),
– visto il maggior interesse nella produzione e utilizzo di prodotti di qualità sia da parte del paziente che da parte di altri soggetti coinvolti,
–  vista l’incapacità dello stato e del sistema sanitario nazionale di garantire la continuità terapeutica a tutti i malati: si stimano più di un milione – fino a cinque milioni (ricerca indipendente di Google)– di pazienti che potrebbero trarre beneficio dalla cannabis.

Si propone:

a tutti i malati che utilizzano cannabis a scopo terapeutico:
– di farsi rilasciare, da un medico di fiducia, una prescrizione di cannabis rispondente ai suoi reali bisogni, in quantità e varietà (tipo di cannabis a THC predominante, tipo a THC/CBD 1:1, tipo a CBD predominante), dalla quale dedurre la quantità di cannabis da crescere ad ogni ciclo di coltivazione. Ricordo a tutti i possessori di ricetta che non possono togliervi la patente, proprio perché usate la cannabis per scopi terapeutici
– di presentare domanda, al Ministro della Salute, di autorizzazione a coltivare cannabis per proprio esclusivo uso personale e terapeutico, per quantità compatibili, per ogni ciclo di coltivazione, con le quantità indicate in ricetta, indicando lo “stato di necessità e urgenza”.

A tutte le Associazioni che si occupano di cannabis terapeutica:
– di costituire una rete di medici prescrittori che non abbiano timore di difendere la propria professionalità e i diritti loro e dei propri pazienti,
– di dare assistenza tecnica a tutti quei pazienti iscritti che intendano coltivarsi la propria medicina, la varietà più consona alla loro cura per quantitativi equivalenti ai loro bisogni (con riferimento alla ricetta personale),
– di avere uno o più legali comuni di riferimento, pronti a intervenire nella difesa di pazienti che subiscano tentativi di sequestro della propria medicina o, peggio, limitazioni della libertà personale. A tal scopo ogni associazione dovrebbe garantire un minimo di denaro necessario a coprire le eventuali spese legali di chi venisse colpito (si propone un intervento comune),
– di presentare domanda, al Ministero della Salute, di autorizzazione a coltivare cannabis per esclusivo uso personale e terapeutico dei propri associati che, fisicamente, non possono dedicarsi alla coltivazione, per quantità compatibili, per ogni ciclo di coltivazione, con le quantità indicate in ricetta, indicando lo “stato di necessità e urgenza”.
– di promuovere la conoscenza della cannabis anche con conferenze, eventi, corsi e seminari. L’Associazione potrebbe mantenere un registro (segreto) con i nominativi, le ricette, le varietà e le quantità di cannabis da coltivare. Siamo convinti che la cura sia il primo passo verso un miglioramento che inizia quando si pensa di mettere un seme nella terra. Ci saranno pazienti che, fisicamente, non saranno in grado di occuparsi delle piante. Sarà nei compiti dei membri dell’associazione con conoscenze e capacità aiutare i bisognosi (ad es. nell’allestimento di impianti e cura delle piante). Chiaramente almeno le spese dovranno essere pagate da chi richiede i lavori. L’Associazione si prenderà cura della tutela legale anche di chi fornisce aiuto. Per questo, e per evitare abusi, chi fornisce aiuto avrà una fotocopia delle ricette dei bisognosi (da cui dedurre le quantità e le varietà
coltivabili, da mantenere segreto per la privacy del paziente) e una dichiarazione, rilasciatadall’Associazione, che sta aiutando il paziente XXX (segreto, da esibire solo in caso di tentativo di sequestro) .
Come primo passo bisogna arrivare al riconoscimento che ogni persona bisognosa possa avere una ricetta con quantità e qualità adatte ai suoi bisogni (cercare, informare e creare una rete di medici prescrittori.). Ogni possessore di ricetta deve potersi coltivare un quantitativo annuo equivalente (un poco superiore per eventuali scarti, come per ogni prodotto) al suo bisogno in ricetta. Chi coltiva per altri (con ricetta, riconosciuto dall’Associazione) non deve subire conseguenze penali.

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