F. Q.
Pubblicato sulla rivista Nature, il risultato offre un laboratorio unico per studiare le prime fasi dello sviluppo di un essere vivente. L’embrione, è stato sviluppato nell’Istituto di Medicina rigenerativa dell’Università di Maastricht, dal gruppo guidato da Nicolas Rivron.
Il punto di partenza sono state due famiglie di cellule staminali: quelle che danno origine alla placenta e quelle da cui si forma l’organismo. In provetta le cellule hanno formato una struttura simile a quella di un embrione nella fase iniziale dello sviluppo chiamata blastocisti, in cui si forma la sacca che racchiude le cellule staminali. L’embrione artificiale che ha raggiunto una struttura analoga è stato chiamato ‘blastoide’ ed è una sferetta fatta di sottili strati. Uno studio che rappresenta un laboratorio senza precedenti per studiare le fasi iniziali dello sviluppo dell’embrione, quelle in cui si forma la placenta e avviene l’impianto nell’utero e che, in molti casi, sono all’origine del fallimento di molte gravidanze.
Per Novelli l’autentica protagonista della ricerca pubblicata su Nature è quindi la placenta, ossia la struttura embrionale che la genera, chiamata trofoblasto: l’obiettivo è “capire come si forma il trofoblasto, come dialoga con l’utero e quali geni si attivano”. Una placenta ottenuta con le cellule staminali, infine, secondo Novelli non potrà mai portare a un embrione perché deve contenere informazioni da entrambi i sessi: “È per questo – ha concluso – che gli pseudo-embrioni non vanno avanti“.
La prospettiva di poter un giorno arrivare alla creazione interamente in laboratorio di un uomo ‘artificiale’, “desta molti dubbi in merito a quale possa essere, ammesso che sia, la reale finalità a fin di bene dell’’uomo artificialè” sottolinea con l’Ansa il presidente onorario del Comitato nazionale di bioetica (Cnb) Francesco D’agostino, secondo il quale il rischio sarebbe invece quello di arrivare a creare esseri umani di laboratorio finalizzati a scopi non etici. “Premesso che si tratta ancora di uno studio sui topi – ha affermato il bioeticista – mi chiedo se abbia senso creare un uomo artificiale. Il rischio, invece, è che possa alla fine rivelarsi un essere umano di laboratorio pensato come sottoposto o schiavo o prodotto, ad esempio, al fine di fornire organi da trapiantare. Il che sarebbe inaccettabile“. Tuttavia, “prima di giungere a tale conclusione – rileva – bisogna dare fiducia alla scienza e agli scienziati”. La bioetica infatti, spiega D’Agostino, “deve sempre ribadire due principi fondamentali: il primo è che la conoscenza ha sempre il primato sull’ignoranza e, dunque, qualunque tentativo degli scienziati di conoscere maggiormente la realtà del vivente va considerata positivamente. Sono dunque contrario a qualunque visione bioetica – afferma – che esalti l’ignoranza“. Il secondo principio, prosegue, “è che però la conoscenza deve essere orientata sempre al bene dell’essere umano”. Pertanto, conclude D’Agostino, “non bisogna essere catastrofisti: non si deve avere paura del nuovo, a patto che il nuovo sia orientato al bene dell’essere umano”.
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