“Facciamo un semplice esempio – scrivono gli
studiosi di Confindustria – se lo Stato garantisse un reddito di €800 al
mese, sarebbe forte il disincentivo ad accettare un’offerta o mantenere
un lavoro che paga meno di questa cifra”.
Senza tanti giri di parole i
padroni fanno capire che una misura di questo tipo andrebbe a colpire
proprio la diffusione dei bassi salari e spingerebbe verso l’alto tutto
il sistema delle retribuzioni.
Il
documento di Confindustria è anche molto chiaro sulla vera natura del
REI, la misura introdotta dal governo Gentiloni, che invece ai padroni
piace proprio perché è bassa e quindi non competitiva con eventuali
offerte di lavoro anche a basso salario. Sono gli stessi ricercatori a
riconoscere che i 2,1 miliardi stanziati per il REI non andranno a
coprire che appena la metà dei poveri assoluti stimati in Italia ormai
vicini ai 5 milioni. Confindustria non dice che per ora il REI è
arrivato ad appena 317mila persone e che in media sono stati distribuiti
sussidi per 297 euro mensili. Ma riconosce però che la povertà in
Italia è cresciuta molto e che è legata a doppio filo con la ”bassa
partecipazione al mercato del lavoro”.
Quindi
la ricetta che propone il padronato è piuttosto chiara: sviluppiamo il
REI, perché qualcosa ai poveri bisognerà pur darla (siamo rimasti
l’unico paese in Europa che non prevede forme di sostegno al reddito),
ma teniamolo basso e condizioniamolo all’accettazione di un qualche
lavoro, a bassissimo salario, consentendo il cumulo tra sussidio e
salario. In questo modo, paradossalmente, il REI diventerebbe un
incentivo ai bassi salari, una integrazione (che paga lo Stato) alle
basse retribuzioni.
La
parte progressiva contenuta nella proposta del Movimento Cinque Stelle,
cioè l’idea di contrastare efficacemente la povertà facendo in modo che
nessuno si trovi più al di sotto della soglia minima individuale di 780
euro mensili, verrebbe così spazzata via. E il reddito, da misura
effettiva di contrasto alla precarietà, al sottoimpiego ed alle
retribuzioni da fame, si trasformerebbe in uno sprone ulteriore ad
allargare la fascia dei lavoratori a bassissimo reddito.
L’allargamento
della povertà nel nostro paese è legato alla mancanza di lavori
degnamente retribuiti e non semplicemente alla mancanza di lavoro tout
court. Di lavoro a basso costo, al nero e/o decontrattualizzato invece
ce n’è sempre di più e l’introduzione di un’elemosina come è il REI non
può che avere l’effetto di incentivare questa dinamica. Un reddito
dignitoso e incondizionato avrebbe invece l’effetto di redistribuire
parte delle ricchezze e metterebbe migliaia di persone in una condizione
di minore ricattabilità.
Prendere
l’iniziativa per rivendicare un cambio di rotta nell’agenda di governo
ed una lotta seria alle disuguaglianze sociali è una urgenza non più
rinviabile, come è stato riaffermato nell’assemblea nazionale di Napoli
del 29 aprile u.s. organizzata dalla Federazione del Sociale.
Il quaderno della Federazione del sociale “ Reddito di base contro reddito di inclusione”
è scaricabile gratuitamente al link: https://bit.ly/2jLI7FF
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