Un
dossier (di AEA) con proposte per uscire dalla guerra invisibile, la
lettera di Vito Totire alla casa editrice Giunti, un articolo di «Contro
la crisi» e Giorgio Nebbia sugli omicidi bianchi del capitalismo.
Oggi
la AEA – associazione esposti amianto e rischi per la salute – ha
diffuso un documento sulla situazione planetaria relativa all’amianto
con le proposte per la fuoriuscita dalla guerra dichiarata e subita dai
lavoratori e dai cittadini. La foto è relativa a un graffito spontaneo disegnato in via Irnerio a Bologna.
Manifesto per la fuoriuscita mondiale dall’amianto
L’amianto
è una guerra e un crimine di pace.
Dal 1993 al 2012 in Italia, solo per
il mesotelioma, ha causato 21.463 morti (censiti ufficiali). Per un
vero percorso di pacificazione bisogna bandire l’amianto in tutto il
mondo, manifestare rispetto e intenzioni serie di risarcire le vittime.
Senza giustizia non ci sarà mai pace.
Bilancio di attività della AEA-associazione esposti amianto e rischi per la salute
In
occasione della ricorrenza del 28 aprile (giornata mondiale delle
vittime dell’amianto e delle vittime del lavoro) è congruo fare il
quadro della situazione a livello mondiale e anche dell’attività
–modesta ma lungimirante – di AEA.
Situazione a livello mondiale
Non
si intravedono segnali – dovrebbero/potrebbero essere veicolati
dall’OMS, cioè l’Organizzazione mondiale della sanità – favorevoli a un
bando mondiale dell’amianto. Si è consolidata una situazione
inaccettabile di bando, per quanto con “modalità gruviera”, nei Paesi
“ricchi” associata alla pressoché totale indifferenza in gran parte (non
tutti) dei Paesi “poveri”. Vi sono eccezioni ovviamente: in alcuni
Paesi poverissimi l’amianto è stato messo fuori uso ma la sostanza
ripropone la storica discrepanza tra nord e sud del mondo sia per quel
che riguarda la produzione e l’uso, sia per quel che riguarda la pessima
gestione dei rifiuti. Addirittura assistiamo a trasferimenti di
materiali coibentati in amianto anche tra Paesi che formalmente sono
benissimo a conoscenza della nocività dei materiali amiantiferi come è
successo tra Spagna e Argentina con la recente vendita di carrozze della
metropolitana. Se permangono pratiche di questo tipo è a causa di
complicità e omertà diffuse che hanno consentito, fino ad oggi, persino
di aggirare norme di legge e divieti, per non dire della etica e della
giustizia sociale. Il criterio del “diritto alla salute per tutti” è
ancora una chimera e non certo per la sola questione amianto bensì per
tutte le merci prodotte e commercializzate. Recenti osservazioni
confermano che il consumo di una merce nociva come il tabacco segue
confini che con assoluta evidenza comportano una strage sempre più
ingravescente in Paesi poveri.
Ovviamente
le differenze non riguardano solo continenti e Paesi lontani. Basta
interloquire con gli immigrati provenienti dall’est europeo per prendere
atto di come in tutta l’area vicina economicamente e politicamente alla
Russia l’amianto non sia considerato un problema di sanità pubblica.
Frequentemente, persino in convegni scientifici, ricercatori russi hanno
sostenuto apertamente che l’amianto russo (alludevano esplicitamente al
crisotilo) sarebbe “innocuo”. Come AEA abbiamo sviluppato un carteggio
con operatori della Bosnia Erzegovina, abbiamo tentato una estensione
della rete informativa internazionale anche attraverso l’uso
dell’esperanto: tentativo al momento non molto produttivo ma che abbiamo
programmato di rilanciare. Molto utile è continuare, come stiamo
facendo, a rafforzare i rapporti con immigrati che, oltre ad essere
fonte di informazione e di aggiornamento per noi, aiutano a riverberare
dati e notizie verso i loro Paesi di provenienza.
Situazione in Europa
In
linea di massima nei Paesi della UE la legislazione si va uniformando,
come dire, nelle intenzioni… Questa tendenza non riguarda i paesi
dell’Est nei quali l’amianto viene usato “normalmente” e senza
particolari misure di prevenzione. Abbiamo avuto in passato contatti con
medici de lavoro bosniaci e altre informazioni ci derivano da contatti e
scambi di notizie con muratori moldavi operanti in Italia. Anche nella
Europa occidentale comunitaria esistono discrepanze e capacità di
gestione diverse. Ecco alcuni esempi: a) il Belgio,salvo che non abbia cambiato la sua legge, non vieta la “esportazione”; b)
la Francia ha adottato una norma “intelligente” ed ergonomica –nota
come legge Cassez- la quale prevede che una compravendita di un immobile
è impossibile se lo stesso non è bonificato dall’amianto (la
precauzione riguarda anche il piombo delle tubazioni dell’acqua poiché
in Francia si sono riscontrati danni alla salute anche a causa del
piombo rilasciato dalle tubazioni e, in questo caso come in altri nel
mondo, in particolare in quartieri poveri e popolati da immigrati); c)
Germania e Austria evidenziano una gestione dell’amianto non più
arretrata di quella italiana, dimostrano invece una sorprendente
capacità di gestione di rifiuti amiantiferi; pare che alcune mitiche
ex-cave di salgemma o di altri materiali che già 5-10 anni fa
accoglievano rifiuti provenienti dall’Italia ma che stavano per esaurire
la loro capienza, questa capienza … non la esauriscano mai; pare, al
contrario, il “miracolo” della grotta di San Paolo a Malta… senza offesa
per quei credenti che anzi come noi credono che un mondo migliore sia
possibile. Occorre fare chiarezza sul traffico di rifiuti per due
ragioni soprattutto: 1) non risulta legale la esportazione di
rifiuti contenenti amianto in quanto formalmente ma anche logicamente
vietata dalla legge 257/92; 2) la destinazione finale dei rifiuti
deve essere comunque monitorata a partire dal momento iniziale del
piano di lavoro compilato per la bonifica, in quanto fare fin troppo
prevedibile che una parte,almeno, di questi rifiuti possano avere una
destinazione tutt’altro che sicura , perdersi per strada o raggiungere
mete diverse da quelle dichiarate.
Necessità
in Europa: omogeneizzare le normative adottando come obiettivo il
livello più “alto” e garantista adottato da singoli Paesi.
Situazione in Italia
A
26 anni di distanza dal varo della legge 257/92 il ritardo delle
istituzioni in Italia è semplicemente vergognoso con particolare
riferimento a: 1) tempi delle bonifiche ambientali e monitoraggio dello
stato di salute degli ex-esposti; 2) riconoscimenti di malattie
professionali e ambientali; 3) tempi dei censimenti e delle bonifiche
Situazioni locali
La
situazione di grave ritardo non è omogenea o simile dappertutto. Si
riscontrano disparità inaccettabili in materia di censimenti, bonifiche e
monitoraggio delle condizioni di salute. Un esempio per tutti: in
diversi comuni viene garantita la gratuità dello smaltimento
dell’amianto di provenienza “domestica”; nella stragrande maggioranza
dei comuni italiani invece il messaggio concreto è “arrangiarsi” (una
volta si disse che “arrangiarsi” era un verbo italiano).
L’iter
e i tempi delle bonifiche sono fortemente differenziati da sito a sito;
in alcuni contesti è “sufficiente” che un gruppo di cittadini o una
associazione si mobilitino dopo aver individuato un sito da bonificare
per giungere entro tempo ragionevole a un buon risultato. Ovviamente,
per fortuna, c’è anche una movimento spontaneo di interventi di bonifica
anche grazie a varie forme di incentivo economico o energetico e grazie
alla più diffusa consapevolezza della natura del problema. Ma vi sono
anche situazioni di grave ritardo nella procedure: una di queste situazioni si trova a Trani (una
delle città più belle del mondo) dove un combattivo coordinamento di
cittadini , associazioni e professionisti sta portando avanti una
iniziativa finalizzata a bonificare una tettoia di un edificio dismesso
lì collocata dal 1936 e che evidentemente gli enti locali e le
istituzioni sanitarie non hanno ancora ritenuto essere nella condizione
di una ordinanza sindacale per la bonifica integrale;verrebbe da
chiedersi se sia più eternit la tettoia o il sindaco! I cittadini hanno
dovuto fare ricorso alla Procura della Repubblica; un ricorso certo
fondato e pertinente ma innescato dalla evitabile inerzia degli enti
locali.
La
stessa disparità che a livello territoriale esiste sul problema dei
censimenti e delle bonifiche si ritrova per le potenzialità di
monitoraggio dello stato di salute e di possibilità di formulare
diagnosi precoci e di fare terapie mirate e tempestive; diagnosi precoci
e terapie mirate che stanno cominciando a dare risultati non
trascurabili tranne che per il mesotelioma. Le opportunità vanno
potenziate e i percorsi vanno velocizzati e maggiormente mirati.
Questione salute occupazionale degli ex-esposti
Il
monitoraggio della salute degli ex-esposti comincia con gravissimo
ritardo. Va sottolineato che fin dal 1991 il decreto 277 dello stesso
anno definiva la necessità di informare i lavoratori sulla necessità di
effettuare esami e controlli per monitorare i possibili effetti di quei
rischi occupazionali che possono avere effetti negativi dopo lunga
scadenza: è il caso ovviamente soprattutto dei cancerogeni.
Pilatescamente il legislatore non si preoccupava di chiarire chi avrebbe
dovuto gestire e pagare questi controlli. Solo i processi penali hanno
richiamato l’attenzione dei decisori politici a destinare risorse alle
agenzie sanitarie istituzionali per consentire l’effettuazione di
programmi di monitoraggio a favore di lavoratori che, già privati del
diritto alla prevenzione primaria, si trovano oggi coinvolti in
programmi raffazzonati (tentativi) di diagnosi precoce. Si cominciò
ovviamente con il cvm dopo il processo per il petrolchimico di Porto
Marghera. Prendiamo atto di come la conferenza Stato-Regioni nel
febbraio 2018 abbia finalmente “capito” che l’anagrafe degli ex-esposti
non debba essere ricostruita sulla base della adesione dei singoli ma
che i singoli debbano essere invitati a farne parte. La differenza è
fondamentale e noi fin dall’inizio abbiamo contrastato l’idea della
“adesione su domanda”: questo metodo tende a escludere proprio i più
deboli , i meno informati e quindi tende a riproporre lo storico
problema della difficoltà di accesso ai servizi da parte dei soggetti
più marginali. “Finalmente” la conferenza Stato-Regioni ha capito quello
che a chiare lettere noi diciamo quantomeno dal 1991!
Soddisfatti? No in quanto il fattore tempo e i ritardi nel campo della prevenzione sono di importanza esiziale.
Nel merito di protocolli essi ovviamente devono: a)
non essere invasivi e calibrare con estrema chiarezza costi e benefici
in relazione alla speranza di salute, di vita e di vita priva da
disabilità; b) comportare supporto psicologico, ove utile e richiesto, per gli ex-esposti e per i loro familiari.
Questione risarcimenti in sede penale, civile e assicurativa
Constatiamo
una situazione estremamente grave in tutti i campi. Certo la più grave è
quella relativa al riconoscimento delle responsabilità penali. Ultima
in ordine di tempo la sentenza di appello “Olivetti” mostra l’assurda
tendenza ad assolvere gli imputati sulla base di tesi fantascientifiche o
addirittura inventate. Mai nessuno tra le parti civili delle vittime ha
sostenuto la tesi dell’importanza della dose cumulativa e della
esposizione prolungata nel tempo nel ridurre il tempo di latenza del
mesotelioma. Quello che le parti civili hanno sempre sostenuto è
piuttosto l’importanza della dose cumulativa e dunque anche della
esposizione prolungata nel tempo che inevitabilmente comporta un aumento
della dose. L’aumento della dose cumulativa aumenta il rischio di
incidenza con un meccanismo, nella persona “sensibile” da “tutto o
nulla” (per quanto riguarda il mesotelioma e il tumore in generale. Mai
abbiamo sostenuto che l’aumento della dose cumulativa accorcia la
latenza in quanto questo è effettivamente incerto e comunque non
rilevabile in quanto reazione di gruppo. Diversi tribunali hanno voluto
aderire a questa tesi rimuovendo quella da noi sostenuta (Iwatsubo e
altri ) e comunque universalmente condivisa dalla comunità scientifica.
Risulta evidente che settori della magistratura, via via che le
conseguenze penali cominciavano ad essere pesanti, sviluppavano maggiore
“sensibilità” rispetto ai dubbi favorevoli agli imputati arrivando in
diversi casi a “riscrivere” a uso giudiziario (assolutorio) la medicina e
l’oncologia con buona pace di migliaia di ricercatori indipendenti che
inorridiscono alla scienza così interpretata nei tribunali.
Per
quel che ci riguarda continueremo ostinatamente a ribadire quanto
l’osservazione scientifica indipendente è in grado oggi di affermare in
termini di ragionevole certezza e continueremo a chiedere la condanna
degli imputati come stiamo facendo nel processo Enichem di Ravenna che
ci ha impegnati per alcuni anni e che non ci trova concordi circa la
sentenza di assoluzione in primo grado:
Diversa è la situazione in sede civile. In
questo caso la “parte resistente” rischia di meno e il confronto è, per
certi versi, meno accidentato ma con discrepanze notevoli da caso a
caso, anche con enormi variabili territoriali;
Dobbiamo
sottolineare la vicenda, in un tribunale della Romagna che ha
riguardato un cosiddetto “mesotelioma paralavorativo”ai danni di una
donna: questi i connotati della vicenda.
La signora ha lavato due volte alla settimana la tuta del marito
Ha contratto un mesotelioma
La Ctu ha riconosciuto il nesso di causa
Il
giudice ha disconosciuto la ctu e condannato la parte ricorrente alle
spese del procedimento e delle perizie (ctu e controparte) per quasi
20.000 euro.
Per
questa “incomprensibile” vicenda abbiamo ipotizzato una iniziativa di
sostegno economico ai familiari e, nel caso non dovessimo riuscire
nell’intento, dobbiamo comunque cercare di tenere la vicenda (come tante
altre) “aperta” nell’ipotesi di aprire un tavolo nazionale di
discussione e contrattazione per i giusti risarcimenti dei danni subiti.
Per
quel che riguarda le altre patologie tumorali in sede civile pare, in
genere, alquanto sicuro il percorso per quelle polmonari. Per i
mesoteliomi occupazionali il percorso è spesso “semplice” a differenza
del “caso” paralavorativo prima citato. Invece le notizie su
procedimenti riguardanti tumori extrapolmonari sono scarse e alcuni
elementi di “incertezza” alimentati anche da istituzioni sanitarie
pubbliche rendono il terreno ancora più precario. Pare delinearsi negli
orientamenti dei giudici la fondata convinzione secondo cui la
parenchima polmonare non sia un prerequisito necessario per
l’attribuzione di un tumore polmonare all’amianto. Per la comunità
scientifica questo dato è acquisito da decenni. Nonostante la chiare
prese di posizione della Conferenza di Helsinki e della stessa
Conferenza nazionale governativa italiana sull’amianto (Venezia,
novembre 2012) pare profilarsi all’orizzonte una presa di posizione
della SIMLII – società italiana medicina del lavoro e igiene industriale
– tendente a richiamare gli stereotipi pre-Helsinki. Fra Scilla e
Cariddi (per così dire) le sentenze dei magistrati sono ondivaghe. In
linea di massima tuttavia non orientate a ritenere la asbestosi un
pre-requisito sine qua non ma anche a disconoscere l’eziologia
occupazionale nel caso in cui il magistrato non abbia acquisito la
convinzione (a seguito delle testimonianze raccolte o del profilo di
mansione del lavoratore) che questi non abbia subìto esposizioni “alte”.
In sostanza si delinea un orientamento secondo cui se la mansione è
stata di manutentore il magistrato tende a dare peso marginale
sia al tabagismo (se c’è) sia alla eventuale assenza di asbestosi e/o di
placche; si tratta di seguire caso per caso fino alla auspicabile
organizzazione di un archivio generale delle sentenze di primo, secondo
grado e cassazione.
Il piano assicurativo (Inail) presenta ulteriori contraddizioni: si
sono riscontrate difficoltà persino nell’iter per il riconoscimenti di
mesoteliomi. Abbiamo affrontato o stiamo affrontando casi di questo
genere in Lombardia, Emilia e Campania. I casi in cui l’iter in
tribunale è terminato sono stati conclusi positivamente. Uno – in
Lombardia – con parere negativo del registro mesoteliomi è ancora in
sospeso. Questi “casi” non sono omogenei del tutto ma hanno elementi in
comune. Di solito l’elemento comune è il disconoscimento della pregressa
esposizione da parte dell’Inail che nega la natura professionale della
patologia. In alcune circostanze Inail ha negato, nonostante la
classificazione di certezza da parte del registro regionale mesoteliomi
competente per territorio. Si tratta di eventi sentinella che confermano
la necessità di esautorare l’Inail e di passare il compito della valutazione alla Ausl.
Se
per i mesoteliomi abbiamo a che fare con eventi sporadici di
disconoscimento questo è invece più frequente per i tumore polmonare e
addirittura sistematico per le patologie collocate in LISTA II o in
LISTA III e ancora di più per le patologie del tutto e cosiddette “non
tabellate”.
A
proposito tuttavia di tumori del colon, del rene, dell’ipofaringe, LNH
ecc ormai abbiamo riscontrato una tendenza al riconoscimento da parte
dei tribunali (in primo e secondo grado, non pare che sia frequente o
abituale l’ulteriore ricorso in Cassazione). Abbiamo avuto numerosi
riscontri positivi in Sicilia, Marche, Bologna e Ravenna, Napoli.
Nonostante questi riscontri la situazione è insostenibile per questi
motivi: a) alcune cause si “perdono”ed è successo anche di
riscontrare sentenze diverse in relazione a lavoratori appartenenti alla
medesima coorte, quindi esposti al medesimo livello di rischio; ciò è
correlato alla presenza di giudici o di Ctu differenti anche se ormai
abbiamo giudici che rigettano ctu negative (parliamo di tumori del colon
in esposti ad amianto) e vanno a sentenza accogliendo il nesso di
causa; b) occorrerebbe e quindi rivendichiamo una rivalutazione a
ritroso di tutti i casi disconosciuti a partire dal tumore laringeo e
comunque anche di tutti i tumori in LISTA II e LISTA III; c)
occorre ripescare tutti i casi, anche se non segnalati, quantomeno
collocabili in LISTA I a suo tempo non segnalati per evidente omissione
dell’obbligo di segnalazione e referto. Un esempio per tutti: tumori della vescica della coorte Casaralta di Bologna (basta
confrontare i dati epidemiologici con i casi riconosciuti dall’Inail).
Riproponiamo questo riesame a partire dagli archivi Ausl-Inail-Inps e lo
riproponiamo con la logica con cui due parti belligeranti vanno al
tentativo di dichiarare un armistizio (se ci vogliamo capire).
Questione maggiorazione pensionistica
Apparentemente
concluso il “tormentone” della seconda età degli anni Novanta, ha
lasciato invece spiacevoli strascichi. Uno di questi riguarda i
macchinisti ferroviari. I dati epidemiologici riguardanti i mesoteliomi
sono drammatici: ciononostante stanno tribolando per il riconoscimento
della pregressa esposizione subita. PARREBBE CHE L’EVIDENZA DELL’ECCESSO
DI MORTI OSSERVATI RISPETTO AGLI ATTESI (PER USARE IL CRUDO E SURREALE
LINGUAGGIO DELLA EPIDEMIOLOGIA) NON SIA SUFFICIENTE A DIMOSTRARE LA
PREGRESSA ESPOSIZIONE. Ma la situazione oltre che intollerabile è
paradossale. Quasi tutti i lavoratori che hanno fatto ricorso alla Corte
di Conti, previa effettuazione di una Ctu, hanno ottenuto l’equo
riconoscimento. Vanno a sentenza negativa quei lavoratori la cui
esposizione viene affidata al Collegio medico-legale del ministero della
Salute. Se i media prestassero attenzione a questo riscontro e lo
denunciassero a chiare lettere forse il ministro del Lavoro emanerebbe –
è nelle sue facoltà – un “atto di indirizzo” finalizzato a evitare
disconoscimenti e distress (comprese le spese per gli atti di giudizio)
per i lavoratori, Il testo unico amianto depositato in Senato
dalla defunta maggioranza parlamentare (mai approvato né discusso)
ribadisce la facoltà per il ministro. Perché l’onorevole Poletti non
esercita i suoi poteri? Non conosce i dati relativi ai macchinisti ferroviari morti per mesotelioma?
Siamo in un Paese in cui neanche il numero dei morti è argomento
sufficiente? A nostro avviso un atto di indirizzo analogo si potrebbe
anzi dovrebbe emanare anche per una significativo settore del comparto
edilizia…
Salute degli esposti occupazionali attuali
Vanno migliorate le condizioni di lavoro degli attuali addetti alle bonifiche; ovviamente in primis
questo riguarda chi opera ancora in condizioni assolutamente bestiali
come i lavoratori dei Paesi poveri nei quali l’amianto è ancora “legale”
ma riguarda anche il mondo occidentale e l’Italia. Le condizioni di
lavoro degli attuali bonificatori possono e devono essere migliorate con
questi criteri: a) garantire la sicurezza fisica con opere
provvisionali adeguate (troppo spesso è accaduto che per bonificare
coperture in cemento-amianto si siano verificati infortuni mortali); b)
migliorare le condizioni di lavoro dal punto di vista ergonomico con
pause più lunghe e potenziando la efficacia dei doppi individuali e
delle misure collettive di prevenzione; c) retribuire meglio la prestazione lavorativa con un incremento lordo del 50% dell’attuale salario; d)
migliorare la offerta di corsi per smettere di fumare e garantire la
presenza di mediatori culturali per la formazione degli addetti
immigrati; e) fondare un sindacato – qualcosa tipo ULLBB cioè
UNIONE LAVORATORI DELLE BONIFICHE; i dati epidemiologici internazionali
dicono che la attività dei bonificatori è ad altro rischio.
Evidentemente, quanto constatato nella coorti dei bonificatori del
passato in quanto a dati epidemiologici (aumento dei tumori) non risulta
essere un destino inevitabile: Il rigoroso rispetto delle norme di
prevenzione primaria potrebbe e dovrebbe equiparare casi osservati e
casi attesi. Dipende da tutti noi e dal livello di tutela effettiva che
potrà essere garantita a questi lavoratori meritevoli ovviamente della
massima attenzione anche perché stanno facendo il “lavoro sporco”a
vantaggio di tutta la collettività.
Questione salute della popolazione generale
A
causa della diffusione, interessata e criminale, della innocuità delle
cosiddette “basse dosi” il rischio per la popolazione generale è stato
pesantemente trascurato. Alla popolazione dobbiamo garantire la
esposizione zero per quel che riguarda aria, acqua “potabile” e suolo.
Non sono più i tempi in cui (ancora negli anni Novanta) si misurava
l’amianto in certo asili e si concludeva trionfalmente: “i bambini non rischiano asbestosi”. Tuttavia anche se non si rischia l’asbestosi (patologia alquanto dose-dipendente) si può rischiare di peggio: il mesotelioma;
Quantomeno
dal 1999 portiamo avanti una iniziativa dì finalizzata alla bonifica
delle reti acquedottistiche in cemento-amianto. Gli obbiettivi da noi
indicati sono stati ostacolati e boicottati da una articolata coalizione
di “contras” il cui collante poggia su alcuni elementi:a) negazione delle evidenze scientifiche; b)
indisponibilità a investire risorse e disponibilità immediata a
spartirsi gli utili delle aziende di gestione tra soci ispirandosi al
criterio per cui gli utili sono disponibili subito mentre i danni alla
salute (potenziali o concreti) si paleserebbero in futuro; la bonifica
della rete a Bologna città costerebbe la somma di 250-300 milioni di
euro ; una inezia se teniamo conto dei risultati sia in termini di
prevenzione primaria che in termini di risparmio di perdite di acqua.
Esaurite ormai le possibilità di dialogo con le istituzioni mettiamo
comunque a disposizione dei cittadini:
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Tutti i dati analitici finora raccolti , salvo quelli che la Ausl si ostina a non socializzare; per esempio risultano tre campioni positivi recenti in comuni della provincia di Bologna: quali? Lo stiamo chiedendo da mesi al dipartimento di sanità pubblica;
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La mappa delle rotture del cemento-amianto anni 2016-2017 (da 500 rotture/anno in su nel territorio della sola città);
-
Rinviamo a dati e documenti da noi pubblicati in questi ultimi anni salvo sottolineare e ribadire per la ennesima volta che: 1) l’amianto è nocivo anche se ingerito; 2) le tubazioni in cemento amianto comportano peraltro, per motivi ovvi, anche un inquinamento indoor.
Qualora
e dove la prevenzione primaria abbia fallito chiediamo per i cittadini
colpiti da patologie asbesto-correlate le stesse prerogative e gli
stessi diritti dei casi professionali.5000 euro per persone colpite d
mesotelioma sono una elemosina offensiva; lo “Stato” e i decisori
politici devono vergognarsi.
Questione ambientale/gestione rifiuti
Sulle bonifiche si sta procedendo con una lentezza esasperante; sulla gestione dei rifiuti siamo quasi all’anno zero.
Occorre
approfondire il tema delle tecniche di trattamento e inertizzazzione.
Finora le istituzioni sono state in grado solo di non decidere nulla e
lasciare tutto in mano alla deregulation e alla cosiddetta “iniziativa
privata”. L’aggravante è che la chiusura del cerchio è oggi garantita
dall’export dei rifiuti; una pratica che peraltro la legge 257/92 vieta.
Ma – si sa – l’Italia è il Paese degli azzeccagarbugli in cui
nonostante la legge 257/92 si è riusciti a :
-
Coltivare e tenere aperte cave di ofioliti contenenti amianto
-
Considerare lecita la compravendita di immobili, natanti, ecc. “imbottiti” di amianto
-
Esportare rifiuti contenenti amianto
Il tutto con grave disprezzo della legge, della logica, del buon senso e persino della …lingua italiana
Le nostre proposte
Le
nostre proposte sono state avanzate in maniera reiterata e persino
ripetitiva. Dopo tempi di attesa esasperanti qualcuna è stata “presa in
considerazione”. Vediamo il caso delle modalità per la costruzione della
anagrafe degli ex-esposti occupazionali. Da “sempre” abbiamo chiesto
che la Asl dovessero costruire la Anagrafe non su domanda ma d’ufficio
invitando i lavoratori e non aspettando dietro la scrivania che essi
contattino la Ausl. Abbiamo detto che è indispensabile la ricerca attiva
delle persone da parte delle strutture di sanità pubblica. Lo avevamo
ribadito per la ennesima volta in un documento di osservazioni critiche
al TUA (testo unico amianto) da noi redatto e proposto alla attenzione
del CNA nel luglio 2017 nella riunione di Sesto San Giovanni. Ricerca
attiva (ma lo diciamo almeno dal 2000, ad esempio in occasione della
presentazione della legge regionale FVG) perché l’accesso
all’Ambulatorio amianto su domanda rischia di tagliare fuori proprio le
persone meno informate, meno tutelate, più marginali. Su queste
contraddizioni cresce la “salute disuguale” (così il libro di
Michael Marmot). Dopo quasi vent’anni la Conferenza Stato-Regioni si
sveglia dal suo torpore e ci dà ragione! Si dirà: c’è da essere
soddisfatti se la proposta di una buona prassi è stata accolta. Siamo
quasi d’accordo… salvo che dobbiamo tener conto del “fattore tempo”: una buona prassi-quanto si parla di tumori e di amianto-accolta con venti anni di ritardo non è tanto più una buona prassi…
DUNQUE LE NOSTRE PROPOSTE DI OGGI
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Bando mondiale dell’amianto; ci chiediamo di cosa si occupi l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) e se intenda prendere posizione su questa grave discrepanza che –ovviamente –è foriera di sciagurate riduzioni di speranza di vita e di salute nel prossimo futuro. La “belle indifference” dell’OMS è inquietante: per quale motivo non prende posizione mentre noi –che “siamo alla periferia dell’impero” lo facciamo tutti i giorni?
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Bonifica radicale del territorio dell’amianto presente in superficie e sottoterra (con particolare riferimento alle tubazioni in cemento-amianto per l’acqua “potabile” e per le fogne). L’acqua deve essere indenne da amianto. Se monitorata , al fine di definire il crono programma delle bonifiche, deve essere monitorata in TEM (microscopia elettronica a trasmissione) e in occasione delle rotture della rete;
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Monitoraggio preventivo delle sostanze sostitutive: fibre ceramiche, silice libera cristallina, kevlar ecc. Le sostanze “sostitutive” rischiano di essere monitorate troppo tardi riproducendo, anche se in scala inferiore, effetti per certi versi simili all’amianto. Fibre ceramiche e silice libera cristallina sono già classificate cancerogene. Il kevlar ha evidenziato mesoteliomi in animali da esperimento: non era necessario sacrificare animali… ma “scoperta l’acqua calda” ci chiediamo: se i freni con amianto rilasciavano fibre non sarà che i freni di kevlar rilasciano fibre di kevlar: cominceremo a monitorare fra 50 anni?
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Esautoramento totale dell’Inail e passaggio delle competenze alle Asl per quello che riguarda il riconoscimento delle patologie professionali e ambientali; l’Inail rimane organo amministrativo deputato alla riscossione dei premi assicurativi che devolve alle Ausl del territorio;
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Estensione dei trattamenti per le patologie asbesto-correlate occupazionali a quelle ambientali non direttamente lavorative; basta con la elemosina offensiva di 5000 euro ai malati di mesotelioma occupazionale che è peraltro l’unico ad essere riconosciuto come patologia ambientale;
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Riconoscimento di tutte le patologie asbesto-correlate occupazionali e non,
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Riconoscimento retroattivo di tutte le patologie occupazionali; a esempio tumore laringe, tumori gastroenterici, biliari (vedi studi di Giovanni Brandi e altri), renali. Lavoratori e cittadini ammalati hanno subìto gravi disconoscimenti. Le responsabilità sono molteplici. Sorprende che oggi un rappresentante della CGIL per la situazione di Ottana in Sardegna “scopra” che vi sia anche una responsabilità dell’Inail in questa vicenda dei disconoscimenti; sorprende perché i sindacati confederali hanno sistematicamente boicottato la proposta di esautorare l’Inail…
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Monitoraggio delle condizioni di salute degli ex-esposti e degli attuali (amianto ma anche tutti i fattori di rischio che possono agire dopo lunga latenza, come previsto dal decreto 277/91) con metodi non invasivi e previo valutazione costi/benefici; unificazione e coordinamento unitario a livello mondiale delle ricerche per terapia e diagnosi precoci sottraendo le attività alle multinazionali farmaceutiche per affidarle a una solida regia di sanità pubblica.
-
Realizzazione dei registro mesoteliomi regionali con i criteri di compilazione adottati dalla regione Veneto; il registro è allargato a tutte le patologie asbesto correlate;
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Gratuità di tutte le prestazioni sanitarie e dei costi di bonifica; per i costi di bonifica, qualora la disponibilità economica non fosse sufficiente, va data la priorità ai ceti meno abbienti
-
I costi di bonifica devono essere accollati agli inquinatori; FERMO RESTANDO CHE SEGUIREMO CON ATTENZIONE LA VICENDA DEL SIN OGR BOLOGNA, è inevitabile chiedersi: a) non si era affermato che presso l’Ogr di Bologna l’esposizione era cessata in anni remoti? b) dobbiamo considerare una grande conquista il fatto che lo Stato destini risorse a un nuovo sito SIN per il quale invece le spese devo essere a totale carico di chi ha inquinato? E’ evidente che alcuni tra quelli che affermavano “chi ha inquinato paghi” stavano scherzando. Per fortuna non tutti però…
Dario
Fo disse «la storia a fanno i popoli ma sono i padroni che la
raccontano». Ecco una lettera che suggerisce una rettifica alla casa
editrice Giunti… (Vito Totire)
In
occasione della giornata mondiale delle vittime dell’amianto – 28
aprile – dobbiamo segnalare la diffusione di una tesi priva di
fondamento da parte della casa editrice Giunti che in un suo vocabolario
(Il mio primo dizionario/MIOT, edizione 2017) sostiene: « …sostanza minerale fibrosa incombustibile usata per fabbricare tessuti e rivestimenti antincendio prima che se ne scoprissero gli effetti cancerogeni». Non
è nostra intenzione fare polemiche ma oltre a contestare questa
affermazione occorrerebbe capire se essa sia attribuibile a una gaffe
involontaria, a ignoranza o agli effetti di meccanismi di persuasione
occulta (don Milani docet) agìti dalle multinazionali
dell’amianto. Sta di fatto che gli effetti cancerogeni dell’amianto sono
noti dal 1935 (Lynch e Smith, American Journal of industrial Medicine).
Purtroppo esso è stato usato dolosamente ancora per molti decenni DOPO
la scoperta degli effetti cancerogeni. Per questo si è verificata la
strage ancora in corso (negli anni peggiori circa mille morti all’anno
solo in Italia e solo per il mesotelioma). Riteniamo doverosa una
rettifica per rispetto della verità e delle vittime . E anche più
attenzione a non insinuare nei giovani la perniciosa “credenza di vivere
in un mondo giusto” che crea traumi e illusioni.
Vito Totire, medico del lavoro, AEA-associazione esposti amianto
Una prigione chiamata amianto, materiale ancora molto diffuso e che sta mietendo vittime tra i lavoratori
della redazione di «Controlacrisi-org»
In
Italia l’amianto è ancora molto diffuso e continua a minacciare salute e
ambiente, nonostante 26 anni fa sia stato messo al bando con la legge
257/92. Nel 2018 è ancora presente sul territorio della Penisola un
totale di quasi 58milioni di metri quadrati di coperture in cemento
amianto. Di queste 370mila strutture, 20.296 sono siti industriali
(quasi il triplo rispetto all’indagine del 2015), 50.744 sono edifici
pubblici (+10% rispetto al 2015%), 214.469 sono edifici privati (+50%
rispetto al 2015%), 65.593 le coperture in cemento amianto (+95%
rispetto al 2015%) e 18.945 altra tipologia di siti (dieci volte di
quanto censito nel 2015). Lo rivela Legambiente con il dossier “Liberi
dall’amianto?” che puntualizza che a gravare sulle spalle del Paese,
ancora sotto scacco di questa fibra killer, sono anche i ritardi legati
agli obblighi di legge, e in particolare ai piani regionali amianto
(PRA) – che dovevano essere pubblicati entro 180 giorni dall’entrata in
vigore della legge e che mancano ancora del tutto in due Regioni (Lazio e
Provincia Autonoma di Trento).
13
regioni su 15 hanno dichiarato invece di averlo approvato, alle quali
si aggiungono Liguria, Umbria e Toscana che già nel 2015 avevano dato
l’ok al PRA. Resta indefinita la situazione di Abruzzo, Calabria e
Molise che non hanno risposto. Le attività di censimento sono state
completate da 6 Regioni su 15 (Campania, Emilia Romagna, Marche – solo
per edifici pubblici e imprese-, Piemonte, Provincia Autonoma di Trento e
Valle d’Aosta), mentre il 60% (9 Regioni su 15) ha dichiarato che è
ancora in corso la procedura di censimento del territorio.
Le
procedure di bonifica e rimozione dall’amianto, inoltre, sono ancora in
forte ritardo: sono 6869 gli edifici pubblici e privati bonificati ad
oggi su un totale, ancora sottostimato, di 265.213 (tra edifici pubblici
e privati).
Il
quadro complessivo che emerge è abbastanza preoccupante, anche a
livello sanitario. L’associazione ambientalista ricorda che stando agli
ultimi dati diffusi dall’INAIL, in Italia sono 21.463 i casi di
mesotelioma maligno tra il 1993 e il 2012, di cui il 93% dei casi a
carico della pleura e il 6,5% (1.392 casi) peritoneali, e oltre 6mila
morti all’anno. A livello regionale i territori più colpiti sono
Lombardia (4.215 casi rilevati), Piemonte (3.560), Liguria (2.314),
Emilia Romagna (2.016), Veneto (1.743), Toscana (1.311), Sicilia
(1.141), Campania (1.139) e Friuli Venezia Giulia (1.006).
«Dal dossier Liberi dall’amianto?»
spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, «emergono
tre questioni prioritarie – bonifiche, smaltimento e leva economica –
che devono essere affrontate con la massima urgenza sia a livello
regionale che nazionale».
«La guerra infinita oggi ricordata nel mondo»
di GIORGIO NEBBIA (pubblicato il 28 aprile sul quotidiano “il manifesto”)
«Lavorare
fa male alla salute». È il titolo di un libro di Jeanne Stellman e
Susan Daum, pubblicato nel 1973 e subito tradotto in italiano da
Feltrinelli. Un’amara e spietata denuncia delle tante cause di morte sul
lavoro a cui sono esposti milioni di persone.
Si
muore esposti per tante cause, nell’ambiente delle fabbriche, dei
cantieri, delle miniere. Immaginate una guerra che non risparmia donne e
bambini, durante la quale, nel mondo, ogni anno, 3 milioni di persone muoiono subito e per le ferite, le mutilazioni, le lesioni e le malattie riportate per cause di lavoro, e in cui 350 milioni di persone soffrono per incidenti avvenuti negli anni precedenti.
Solo in Italia ogni anno i morti sono oltre 1000 e gli incidenti sul lavoro oltre mezzo milione.
QUESTA GUERRA
è in corso, continuamente, e le persone di cui parlo sono operai e
contadini, guidatori di treni o navi o camion, fabbricano automobili o
edifici o scavano carbone nelle miniere e pietre nelle cave. Di questi
morti e feriti non esistono neanche statistiche esatte perché molti sono
lavoratori non protetti, non registrati dalle agenzie delle Nazioni
Unite o dai singoli governi.
Spesso le morti o le malattie privano una famiglia dell’unica fonte di reddito.
Nel
settembre 1943 nasceva a Roma l’associazione nazionale fra lavoratori
mutilati e invalidi del lavoro (Anmil) che il 19 settembre di ogni anno
ricorda le vittime del lavoro.
A
livello mondiale la International Labour Organization ha deciso di
dedicare un giorno, il 28 aprile di ogni anno, al problema dei pericoli e
della sicurezza sul lavoro, quest’anno col tema della vulnerabilità dei
giovani lavoratori.
Secondo
il pensiero corrente sarebbe finita l’esistenza della “classe operaia”;
si dedica molta attenzione all’ecologia e alla difesa della natura e
dell’ambiente che sono intorno a noi.
Si
finisce però per dimenticare che la prima ecologia si ha nell’ambiente
di lavoro dove un enorme numero di persone, alcuni miliardi nel mondo,
vengono ogni giorno a contatto con le mani e col corpo con sostanze
tossiche, operano in condizioni di pericolo, sono esposti a rumori e
anche a sempre nuove forme di nocività.
NON SI DOVREBBE
morire, e neanche ferirsi o ammalarsi per il lavoro, che non è una cosa
astratta, il mezzo per portare a casa un salario o stipendio, ma è la
più importante attività umana, quella che permette a ciascuno di noi, di
muoverci, di scaldarci, di avere ogni giorno nei negozi gli scaffali
pieni delle merci che desideriamo.
Si
dimentica, o si fa finta di non sapere, che in ciascuna merce o sevizio
(assistenza medica, mobilità, turismo, istruzione, eccetera) c’è
“dentro” abilità e fatica e dolore — e anche morte — di qualche persona,
donna, uomo, adulti o ragazzi, vicina o lontana.
Comunque
le statistiche sulle morti per il lavoro sono ingannevoli perché
vengono contabilizzati solo coloro che muoiono direttamente, cadendo
dalle impalcature, o colpiti da getti di metalli incandescenti, o
travolti da un macchinario o da un trattore, o in breve tempo dopo
l’incidente; molti altri muoiono a mesi o anni di distanza per le
conseguenze dell’assorbimento, durante il lavoro, di polveri o sostanze
tossiche o cancerogene.
Il
caso più clamoroso è quello dei morti fra gli operai che hanno
maneggiato l’amianto, una delle perverse sostanze cancerogene che da
oltre mezzo secolo sono presenti intorno a noi, un lento veleno che
proviene dagli isolamenti termici e acustici, da tubazioni, recipienti e
tettoie di amianto-cemento, dai freni degli autoveicoli, e che continua
a minare la salute di coloro che son ancora esposti all’amianto nelle
operazioni di rimozione, eliminazione e smaltimento di manufatti
contenenti le pericolose fibre.
L’AMIANTO
è solo una delle molte nocività presenti nell’ambiente di lavoro. Da
decenni le organizzazioni dei lavoratori si battono per eliminarle; nei
paesi europei solo dopo lunghe e dure lotte, dopo varie inchieste
parlamentari, sono state ottenute delle leggi che migliorano (che
dovrebbero migliorare) le condizioni di lavoro e diminuire i pericoli e
per informare chi lavora sui pericoli da cui sono circondati.
Ci
sono voluti anni per eliminare i più tossici fra i solventi clorurati
impiegati nelle lavanderie “a secco”, o il benzene nelle colle impiegate
nella produzione di scarpe, o per imporre le maschere di protezione per
gli addetti alla verniciatura a spruzzo.
Spesso
le norme non sono osservate perché rallentano il lavoro o impongono
maggiori costi e minori profitti “ai padroni”; purtroppo spesso il
pericolo non si vede e non si sente. Tumori e malattie si manifestano a
molti anni di distanza, come si è visto nel caso dell’intossicazione da
cloruro di vinile o dai fumi delle cokerie o dagli altri silenziosi
veleni, tanto che è difficile, anche a fini di assicurazioni,
risarcimenti e responsabilità dei datori di lavoro, riconoscerli come la
vera causa di molte morti.
NOCIVITÀ, PERICOLI
e veleni mutevoli nel tempo in seguito a “innovazioni” tecniche,
all’uso di nuove materie prime, alla diffusione di nuove attività, come
quelle che hanno a che fare con lo smaltimento dei rifiuti urbani e
industriali, anch’essi di composizione mutevole a seconda della
provenienza. Nelle stesse università e nei centri di ricerca ci sarebbe
moltissimo da fare, per chimici, ingegneri, medici, merceologi, per
aiutare la conoscenza dei lavoratori.
Mi
piacerebbe che le città, per ogni morto per il lavoro, proclamassero il
lutto cittadino, dal momento che si tratta di persone che hanno dato la
vita per assicurare una frazione del benessere di cui ciascuno di noi
gode.
Ci
sono delle città in cui una via o una piazza è dedicata ai “Caduti sul
lavoro”; sarebbe importante parlarne nelle scuole, dal momento che i
ragazzi di oggi sono pure i lavoratori di domani.
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