·LO STUDIO PILOTA
La ricerca è stata finanziata tramite un crowdfunding avviato dal medesimo istituto felsineo insieme all'università di Bologna e all’Istituto superiore di sanità. Lo studio ha considerato gli effetti del glifosato, principio attivo di alcuni tra i più diffusi erbicidi tra i quali il noto Roundup della Monsanto, su ratti Sprague Dawley, il ceppo maggiormente utilizzato nell’industria farmaceutica per gli studi di tossicologia. La ricerca non si è concentrata sull’insorgenza del cancro in sé ma sull’accumulo della sostanza e sulle alterazioni della salute riproduttiva.
·GLI EFFETTI SUL RATTO
I ricercatori hanno infatti esaminato la prole dei ratti che avevano accumulato nei tessuti livelli di glifosato pari a 1,75 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo, cioè la dose giornaliera accettabile nella dieta secondo l'Agenzia per la protezione dell'ambiente (Epa) degli Stati Uniti. Il glifosato è stato somministrato agli animali per un periodo di tre mesi disciolto nell'acqua. Pur non essendo venuti direttamente a contatto con il principio attivo, i ricercatori hanno osservato nei ratti neonati effetti significativi e potenzialmente dannosi a carico del microbioma intestinale.
La prima fase della ricerca
condotta sui ratti evidenzia effetti significativi e potenzialmente
dannosi sulla prole di madri esposte a livelli di erbicida considerati
sicuri.
·GLI EFFETTI SULL'UOMO
Sebbene si tratti di uno studio pilota, i cui risultati andranno confermati in analisi a lungo termine, la ricerca del Ramazzini ha riattizzato il dibattito sul discusso rinnovo di cinque anni all'utilizzo del glifosato concesso a fine novembre dalla Commissione dell’Unione Europea. Negli ultimi vent'anni la ricerca ha trovato prove della cancerogenicità del composto negli animali da laboratorio. Tuttavia, meno robusti appaiono gli studi sull'uomo. Analisi basate sui marcatori ematici di comunità esposte all’erbicida hanno dimostrato come il glifosato danneggi la struttura del Dna e dei cromosomi. Ma gli effetti a lungo termine dell’esposizione al glifosato rimangono ancora poco noti. L'Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità già nel 2015 aveva inserito l’erbicida tra quelle "probabilmente cancerogene".
Tuttavia, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare ha successivamente affermato che il glifosato è "improbabile che ponga un pericolo cancerogeno per l’uomo" e l'Agenzia Europea per la Chimica ha affermato che “le evidenze scientifiche disponibili non soddisfano i criteri necessari per classificare il glifosato come cancerogeno, mutageno o tossico per la riproduzione”.
Raggiunto dal quotidiano britannico, il vice presidente della Monsanto con delega alla strategia globale Scott Partridge ha dichiarato che "l'Istituto Ramazzini è un'organizzazione di attivisti con dei secondi fini non dichiarati nella campagna di crowdfunding. Sostengono la messa al bando del glifosato e più volte nel passato hanno rilasciato affermazioni non supportate dalle agenzie di regolamentazione. Non si tratta di vera ricerca scientifica". Partridge ha inoltre aggiunto che "Tutte le ricerche finora condotte hanno dimostrato che non esiste alcun legame tra glifosato e cancro".
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