Occorreranno studi approfonditi di
psicologia per riuscire un giorno o l’altro finalmente a capire come
mai, ogni volta che si parla di debito pubblico, al Ministro
dell’Economia di turno brillino gli occhi, si guardi furtivamente
intorno e con riflesso pavloviano decida di mettere sul mercato un altro pezzo di ricchezza sociale.
Come fossimo agli albori della dottrina
neoliberale, ci tocca ogni volta sentire la litania: “Servono le
privatizzazioni per abbattere il debito pubblico”. Nel frattempo, ci
siamo venduti quasi tutto e il debito pubblico ha continuato
allegramente la sua irresistibile ascesa.
Poco importa. Ormai sappiamo che ogni
volta che si “accende” lo “scontro” tra il nostro governo e e l’Unione
Europea, dobbiamo controllare le nostre tasche perché è quasi automatica
la soluzione: la sottrazione di un bene comune..
Per carità, questa volta siamo solo alla
fase istruttoria, ma il fatto che sia già uscita sulla stampa appare una
studiata strategia di sondaggio preventivo per vedere di nascosto
l’effetto che fa.
Il ministero dell’Economia sta studiando
un nuovo assetto della Cassa depositi e prestiti (Cdp), che prevede la
cessione di una quota del 15%, che porterebbe la proprietà pubblica al
65% (essendo il 15,93% già in possesso delle Fondazioni bancarie).
Essendo il patrimonio complessivo pari a
33 miliardi, nelle casse dello Stato entrerebbero 5 miliardi che
naturalmente sarebbero destinati all’abbattimento del debito pubblico.
Inutile sottolineare come la parola
“abbattimento” nel dizionario italiano ha un preciso significato:
demolizione, distruzione, abolizione. Può chiamarsi abbattimento
un’operazione che porterà il nostro debito pubblico dagli attuali
2.217,7 miliardi (dicembre 2016) ai futuri 2.212,7 miliardi?
In compenso, se l’ultimo dividendo
staccato da Cdp corrispondeva a 850 milioni di euro (dei quali, 680
milioni sono andati allo Stato), in futuro, su ogni dividendo simile, lo
Stato ne incasserà solo 550. Non è neppure chiaro ad oggi a chi verrà
ceduto il 15% se a investitori istituzionali, a fondi o banche estere.
La svendita di un ulteriore pezzo di Cdp
si incrocia anche con le grandi manovre intorno alla privatizzazione di
Poste: l’idea del Ministero dell’Economia è quella di cedere entro
l’anno il residuo 29,3% (dopo aver ceduto il 35% a Cdp e il 36,7% a
investitori individuali e istituzionali).
Grandi manovre finanziarie, fatte
all’oscuro di tutti i detentori della ricchezza di Cassa Depositi e
Prestiti, ovvero quelle oltre 20 milioni di persone che vi depositano i
risparmi (oltre 250 miliardi) e che sapranno sempre meno intorno alla
loro tutela e utilizzo.
Forse è davvero giunto il momento di
rilanciare una campagna di massa per la socializzazione di Cassa
Depositi e Prestiti, per il suo decentramento territoriale e per la
gestione partecipativa dell’utilizzo del risparmio postale.
Hanno venduto tutti i beni comuni e ora
scappano con la Cassa. E’ il momento di riprenderci la ricchezza sociale
che rappresenta.
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