Se però da una parte il terrorismo è un tema quotidiano, dall’altra è un pericolo molto meno probabile e imminente rispetto ad avvenimenti meno trattati come il surriscaldamento. Questo non basta a fermare i governi occidentali dall’aumentare gli investimenti in difesa, né la stampa mondiale dal trattare le quattro vittime di Londra con due pesi e due misure.

Non si argomenti per convincere,
ma per creare condizioni favorevoli
alla percezione dell’evidenza.
(Nicolás Gómez Dávila)



L’attentato a Westminister ha risollevato il polverone sul terrorismo. Lo ha fatto in un periodo in cui la chiusura delle frontiere, l’aumento di spese militari o il farsi giustizia da soli contro i migranti sono temi sulla bocca di leader politici e opinionisti. I quotidiani di tutto i mondo aprono con le foto di Londra mentre l’Italia si blinda e aumenta i controlli. “Terrorismo” è stato il tema più trattato dalla stampa nel 2015, insieme a “guerra e religione” e “migranti”. Campagne di successo come la Brexit e l’elezione di Trump hanno trattato il binomio migrazione e terrorismo islamico come caposaldo delle proprie demagogie più popolari.
Molti potranno essere indifferenti per la morte, alla tenera età di 25 milioni di anni, della Great Barrier Reef, la più grande barriera corallina al mondo, e per l’impatto che ciò sta avendo sul pianeta. Allo stesso modo non è scontato discutere delle strepitose innovazioni sociali e sanitarie in grado di salvare milioni di vite. C’è un tema però di cui tutti parlano e che viene temuto come un pericolo imminente e una minaccia quotidiana, il terrorismo islamico. Ma è questa percezione in linea con la realtà?
Il grafico a cura di Susanna Hertrich, ricercatrice nel campo della meta-percezione, compara l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media su alcuni temi, con le probabilità statistiche che ciò che di cui parlano si realizzi.

Ora va detto che nell’ultimo anno i morti per terrorismo nei paesi Ocse sono cresciuti del 650%, nonostante nel mondo siano in calo del 10%. Tuttavia, secondo il Center for Disease control and prevention, la probabilità di morire per un attentato (non per forza islamico) è appena una su 20 milioni, due volte meno probabile che perdere la vita in ascensore e cento volte meno probabile che essere colpiti da un asteroide. In confronto si ha circa una possibilità su cinque di morire di cancro. Mentre secondo il Global priorities project la probabilità di perire in un incidente d’auto è una su 10mila, dieci volte minore di quella causata da eventi catastrofici legati al cambiamento climatico, i quali ogni anno divengono sempre più probabili. Morire per il cambiamento climatico è dunque 20mila volte più probabile che perdere la vita in un attacco terroristico. Non consideriamo poi il fatto che la possibilità di esser uccisi da un attentato ad opera di un rifugiato è una su 3,6 miliardi, né che questi dati riguardino prevalentemente gli Usa, dove il terrorismo uccide molto di più che in Italia, luogo in cui i fondamentalisti islamici non causano stragi da oltre 30 anni.

La cosa peggiore non è tanto il fatto che vi siano leader politici che strumentalizzano vittime e attentati per accaparrare voti. Così facendo, si comportano da sciacalli. Quello che è ancora più inaccettabile è che chi si dovrebbe occupare di informare, dissemini piuttosto una percezione distorta della realtà, pericolosa per gli equilibri democratici e di conseguenza per la libertà di espressione.

Nel 2015 a Londra sono state uccise 573 persone e in media ogni due giorni ci sono tre omicidi. Ora è indiscutibile che le vittime di Westminister siano una tragedia, ma come anche denunciato da Simon Jenkins sulla Bbc, stiamo usando due pesi e due misure per approcciarci alla realtà dei fatti, e questo ci sta facendo giustificare decisioni politiche terribili. Nel 2017 in Italia spenderemo 64 milioni di euro al giorno in difesa, una crescita del 21% in 10 anni. Mentre in ricerca e sviluppo, ovvero nell’unica soluzione a pericoli più imminenti, investiamo 349 milioni milioni all’anno (altro che al giorno).
Di conseguenza se proprio vogliamo parlare di terrorismo, oltre che sui dati, perché non ragionare su quanto ricerca e innovazione stiano progredendo in questo campo? Il mondo è ricco di iniziative di integrazione che, quotidianamente, lottano con successo per scongiurare i conflitti religiosi, ma che sono praticamente sconosciute. Quando parliamo di difesa, dovremo illustrare anche i piani di difesa pubblica contro lo jihadismo basati sull’innovazione sociale, e non solo sugli eserciti. Piuttosto che dare voce a chi considera tutte le moschee come centri di reclutamento, diamo risonanza a progetti reali come “The House of One”, luogo di culto e integrazione per cristiani, ebrei e musulmani realizzato dallo studio architettonico italo-tedesco Kuehn-Malvezzi.
Solo cambiando il nostro approccio alla comunicazione e riappropriandoci del senso della misura potremo sperare di attraversare l’immenso mare che separa percezione e realtà. Questo è lo stesso vuoto che intercorre tra la post-verità e le verità dei fatti, e che oggi compromette le vite e le coscienze di milioni di persone.