La recente grande recessione e le politiche poste in essere per tentare di mitigarne gli effetti sono i grandi temi di cui si occupa il libro di Mario Morroni “Nulla è come appare: dialoghi sulle verità sommerse della crisi economica” (Imprimatur Editore, 2016). Il sottotitolo suggerisce la felice scelta narrativa dell’autore che pone a confronto diverse scuole di pensiero in una serie di dialoghi sui temi della crisi economica. Dalla discussione emergono nette le implicazioni di politica economica delle diverse concezioni dei protagonisti. Togliere gli ostacoli alla comprensione delle vicende economiche che colpiscono noi tutti è una delle motivazioni alla base di questi nove dialoghi. Il libro è rivolto a chiunque sia curioso di capire in profondità le diverse opinioni alla base delle varie proposte di politica economica.
|
I protagonisti dei dialoghi sono due docenti di economia (Agata e Max), un dottore di ricerca in economia dell’ambiente (Silvano) e una dottoranda in antropologia (Sarah). Agata è docente di economia di stampo keynesiano, Max, anche egli docente di economia e consulente economico, è apertamente neoliberista, mentre Silvano abbraccia posizioni critiche verso la corrente di pensiero rappresentata da Agata ed è in opposizione radicale a quella incarnata da Max. Sarah non ha mai studiato economia e sono proprio le sue domande a stimolare il dibattito che anima i diversi dialoghi, i quali, pur essendo legati da un comune filo conduttore, possono essere letti indipendentemente l’uno dall’altro.
Il mio obiettivo è quello di suggerire una chiave di lettura che aiuti a comprendere i fondamenti dell’impostazione teorica di Max e di analizzare i punti che ritengo più importanti affrontati nei diversi dialoghi. La più evidente differenza tra la visione di Agata e Max è il ruolo che è chiamato a svolgere lo Stato all’interno di un sistema economico: attivo, con funzione anticiclica e correttiva delle distorsioni indotte dal funzionamento del mercato per Agata, decisamente più passivo e limitato a favorire il pieno sviluppo delle strutture di mercato per Max.
Quello che mi preme sottolineare è che la fiducia che Max ripone nel mercato dipende dal ruolo che all’interno di esso si ritiene svolgano i prezzi come segnali ed incentivi: l’aumento (riduzione) di un prezzo segnala, (o dovrebbe segnalare) la relativa scarsità (abbondanza) di quel bene o fattore produttivo e, contemporaneamente, incentiva (scoraggia) la sua produzione tendendo in tal modo ad assorbire la distanza tra domanda ed offerta riconducendo il mercato di quel bene o fattore produttivo all’equilibrio. Deriva come corollario che tutto ciò che ostacola la libera fluttuazione dei prezzi in risposta alla domanda ed offerta impedisce il raggiungimento dell’equilibrio. È, forse, superfluo aggiungere che, nella visione di gran parte dei neoliberisti, molti di tali ostacoli sono creati dall’attività dello Stato.
In aggiunta vorrei sottolineare come il ruolo dei prezzi di cui si è detto richiede una tipologia di mercato, quella concorrenziale, nella quale le imprese sono consapevoli di non poter influenzare con le proprie decisioni la formazione del prezzo e nella quale vige assoluta libertà di entrata ed uscita da ogni mercato in modo che nel corso del tempo solo le imprese più efficienti riescano a sopravvivere. Se si ritiene che questa tipologia non sia la rappresentazione della realtà di molti mercati allora si può obiettare che i neoliberisti a la Max elogiano le virtù di un mercato ideale contro i difetti di uno Stato reale. In realtà, sia i mercati sia gli interventi statali sono caratterizzati da livelli di efficienza ed efficacia che possono variare molto a seconda dei casi ed è indubbio che l’intervento statale sia indispensabile per il buon funzionamento dei mercati, anche se in alcuni casi lo stato occupa spazi che potrebbero essere lasciati al mercato.
Analizzando i singoli dialoghi mi pare interessante sottolineare come nel primo, che verte sull’austerità e crisi del debito, appare in tutta la sua evidenza la diversa posizione di Max ed Agata: il primo difende le manovre di austerità volte a ridurre la spesa pubblica e, di conseguenza, le imposte (entrambi interferenze nel meccanismo di mercato), al fine di favorire la crescita, mentre la seconda ne constata il fallimento sottolineando il ruolo svolto da previsioni economiche, rivelatesi poi fallaci, basate su modelli estremamente sofisticati teoricamente ma poco vicini alla realtà dei sistemi economici. Un elemento che può aiutare a spiegare il fallimento delle politiche economiche volte ad uscire dalla crisi ed ispirate dalla visione neoliberista è che la necessaria flessibilità verso il basso dei prezzi è limitata, può richiedere tempi lunghi ed aumenta l’onere del debito pubblico.
Il secondo dialogo affronta il tema dell’aumento delle disuguaglianze e l’aspetto che mi preme mettere in luce è come i dati che Agata ritiene incontrovertibili, come le conseguenze negative dell’aumento del divario tra ricchi e poveri, possono essere interpretati in maniera diametralmente opposta da Max.
Nel terzo dialogo, che affronta il tema del ridimensionamento dello stato sociale, il punto che viene sottolineato da Max è l’inevitabile trade off che si manifesta tra efficienza ed equità se si desidera mantenere un livello elevato di prestazioni sociali: oltre un certo limite le spese per il welfare implicano un inefficiente utilizzo delle risorse perché, richiedendo un’imposizione sul reddito di tipo progressivo, disincentivano la produzione di reddito da parte dei soggetti più ricchi diminuendo in tal modo le risorse potenzialmente disponibili. Agata, di contro, sostiene che il mercato non risolve, e spesso aggrava, il problema della disuguaglianza nella distribuzione e le soluzioni private in campo sanitario e pensionistico comportano costi più alti per la collettività.
Il dialogo successivo, dedicato alle bolle speculative, solleva una serie di problemi, criticità ed opacità relative al sistema finanziario; al di là delle interessanti osservazioni che emergono in tale dialogo mi limito solo a proporre una riflessione generale su come decisioni individuali perfettamente legali e razionali in funzione di un profitto del tutto lecito possano portare a risultati collettivi disastrosi. Mi spiego con un esempio: l’origine prima della crisi attuale va ricercata nel crollo del mercato immobiliare americano nel quale alcuni operatori concedevano mutui a persone che non davano alcuna garanzia di poterli restituire e la razionalità di tale comportamento stava nel fatto che, alla (non tanto eventuale) insolvenza del debitore, il creditore, stante la continua crescita dei prezzi delle abitazioni, avrebbe rivenduto l’immobile ad un prezzo tale da più che compensare la perdita derivante dal mancato pagamento delle rate del mutuo. Un comportamento del genere, assolutamente lecito e razionale (almeno ex ante), mi pare possa essere descritto come una patologia del mercato.
Nel quinto dialogo, incentrato su Stato e mercato, Silvano introduce una riflessione sulla gestione dei beni comuni; come emerge dai lavori del premio Nobel per l’Economia Elinor Ostrom in certe condizioni, una gestione da parte di una comunità locale di un bene comune può risultare la più efficiente, identificando così una terza via oltre alla gestione privata e statale.
Il sesto dialogo è quello, forse, di maggiore attualità perché riguarda la crisi dell’Unione Europea: utile il rapido excursus sulle motivazioni che hanno condotto all’introduzione dell’euro e le posizioni iniziali dei singoli stati così come la descrizione della posizione attuale della Germania che gode di una valuta che, sui mercati internazionali, è molto più debole di quanto non sarebbe il marco; questa circostanza le consente di mantenere un surplus commerciale molto al di sopra dei limiti stabiliti dagli accordi dell’Eurozona. Interessante notare come, nella discussione sui costi di una eventuale uscita dell’Italia dall’euro, le posizioni di Agata e Max siano vicine tra loro mentre Silvano ritiene che le loro preoccupazioni siano eccessive e che sia preferibile, per gli Stati del sud Europa, riacquistare la sovranità monetaria abbandonando la moneta unica.
Il settimo dialogo è in qualche modo collegato al precedente ed al primo ed affronta il tema delle riforme strutturali e politiche congiunturali monetarie e fiscali: è quello nel quale emerge con prepotenza la differenza di vedute tra Agata e Max con la prima che invoca politiche fiscali espansive ed il secondo che auspica politiche di flessibilità e di riduzione del peso dello Stato.
Nel dialogo sulle politiche industriali e attività innovative Max sottolinea il ruolo del mercato come selezionatore delle imprese migliori negando un’utilità all’intervento pubblico. Agata ricorda, invece, gli ingenti investimenti pubblici che hanno consentito lo sviluppo di settori nei quali i privati non avrebbero investito a causa dell’elevato grado di incertezza e dei tempi lunghi prima che l’investimento effettuato diventi redditizio. Tali investimenti hanno permesso innovazioni tecnologiche e organizzative con effetti a cascata su tutto il sistema economico.
L’ultimo dialogo sul quale mi voglio soffermare è l’ottavo dedicato al degrado ambientale nel quale emergono tutti i limiti della posizione di Max che ritiene che i meccanismi automatici di mercato siano sufficienti per salvaguardare l’ambiente. Agata e Silvano fanno però notare che l’idea dei mercati efficienti richiede ipotesi difficilmente riscontrabili nella realtà. Sul riconoscimento del ruolo svolto dal progresso tecnologico nell’assicurare uno sviluppo sostenibile, le posizioni di Agata e Max paiono invece più vicine, mentre Silvano, pur riconoscendo il ruolo del progresso scientifico e tecnologico, propugna la tesi dei sostenitori della decrescita che auspicano una riconversione dei sistemi economici “dal più al meglio”: processo che richiede un non facile radicale mutamento dei consumi e degli stili di vita ai quali siamo abituati. Queste considerazioni mi portano a suggerire di affiancare la lettura di questo dialogo con quella dell’Enciclica di Papa Francesco Laudato Sì che considera intimamente collegati i problemi della povertà, della disuguaglianza e del degrado ambientale: sotto quest’ultimo profilo provvede, tra l’altro, a sgombrare il campo da possibili equivoci chiarendo come, da un esame approfondito e non superficiale dei testi biblici, non risulti alcuna giustificazione allo sfruttamento incondizionato dell’ambiente naturale da parte degli esseri umani.
Per concludere considero il libro di Morroni un testo divulgativo di carattere innovativo di cui raccomando vivamente la lettura convinto che renda accessibile la comprensione dei problemi affrontati nei diversi dialoghi. Aggiungo che il lettore digiuno di nozioni economiche potrebbe non essere sempre in grado di seguire tutti i ragionamenti in essi sviluppati ma ritengo che ciò sia un quid in più del libro perché, nella misura in cui suscita nel lettore il desiderio di approfondimento, questo è pienamente soddisfatto da un bibliografia particolarmente ampia e curata. Ritengo, infine, che i singoli dialoghi possano essere un utile materiale didattico di approfondimento e discussione in molti corsi universitari di livello introduttivo.
(28 marzo 2017)
Nessun commento:
Posta un commento