Domenica 26 marzo a Roma ci sarà una assemblea nazionale di Eurostop (ore 10.00 via Galilei 53) per discutere intorno al percorso costituente e al programma di azione. Qui di seguito uno dei documenti per la discussione nell'assemblea del 26 marzo.
Oggi ad inizio 2017 siamo di fronte ad una ripresa dell’intervento di Eurostop, impostato nell’assemblea del 28 Gennaio, che non si vuole limitare alla promozione di pur importanti iniziative ma costruire uno strumento politico unitario credibile e stabile nel contesto nazionale. Un obiettivo che non sappiamo ancora che forme e che esiti potrà avere ma che è un risultato del nostro lavoro collettivo svolto nella fase referendaria con le mobilitazioni del 21 e 22 Ottobre ma soprattutto con l’esito referendario che ha avallato appieno la nostra analisi e posizione sul No Sociale.
Per
fare un reale passo in avanti è però necessario riflettere sulle
dinamiche generali che ci hanno portato fin qui in quanto ci fornisce
una corretta chiave di lettura di una traiettoria politica iniziata nel
nostro paese almeno sei anni fa. Il primo passaggio è stato quello delle
crisi del debito nel sud Europa quando il condizionamento delle
politiche nazionali da parte dell’UE appariva sempre più evidente, anche
se in quella fase la “vittima” fu Silvio Berlusconi. La sinistra di
“movimento”, incluso il PRC, tentò di abbozzare una risposta unitaria
con la costituzione del Comitato NO Debito nel 2011 il quale fu di fatto
una comitato di scopo che non poteva durare oltre alcune iniziative che
pure riuscirono, come l’assemblea del 1° Ottobre tenuta all’Ambra
Jovinelli di Roma, a cui parteciparono oltre mille persone, ed il NO
Monti Day. Ad un certo punto di quel percorso apparve evidente
l’inadeguatezza della base politica di un comitato di scopo di fronte
all’aggressività delle istituzioni europee. Queste, infatti, stavano
mettendo sotto pressione non solo il nostro paese ma, in modo ancora più
arrogante, il popolo greco con le politiche di austerità ben note tanto
che, addirittura, nel 2012 la Germania arrivò a proporre di trasferire
la sovranità nazionale del paese ellenico a Bruxelles.
Di
fronte al successivo acuirsi della crisi furono fatti negli anni altri
tentativi che pure mostrarono limiti politici. Oltre quelli fatti dentro
l’ambito della sinistra “radicale” nei diversi momenti elettorali ci fu
quello di dar vita a Ross@ che ha tentato di elaborare un discorso più
organico sulla Rappresentanza Politica (e non principalmente
istituzionale) del blocco sociale. Anche in questo caso la riuscita
delle iniziative politiche e di mobilitazione, ad esempio il contributo
politico ricompositivo dato alle giornate del 18 e 19 Ottobre del 2013,
non portò ad una sintesi. Nei mesi successivi a quelle mobilitazioni da
una parte un movimentismo poco lucido e dall’altra la solita scadenza
elettorale con le europee del 2014 riuscirono a frenare la crescita di
una prospettiva unitaria ed organica della sinistra di classe.
Il
tratto in continuità, ma politicamente insufficiente, delle fasi
precedenti descritte è stato l’avanzare della crisi sociale generata
dalla costruzione europea che ha minato nel tempo le stesse basi del
sistema politico istituzionale e che solo oggi si sta manifestando
palesemente in Italia e negli altri paesi europei.
Dunque
l’ipotesi di Eurostop riprende una prospettiva politica con una base di
partenza abbastanza larga sia sul piano sindacale, oltre l’USB sta
partecipando anche l’Unicobas, e quello politico, stanno partecipando
anche parti del mondo democratico, sapendo di dover fare i conti anche
con i limiti delle esperienze predenti, tutte. Ciò avviene in un
contesto aggravato su diversi fronti:
-
Quello sociale con il precipitare della condizione perfino dei cosiddetti “ceti medi” per non parlare degli altri cioè i settori popolari ed operai
-
quello politico istituzionale che sta squassando partiti ed alleanze di cui la crisi del PD ne è il fenomeno più evidente. Infine anche la sinistra “radicale” dopo un logoramento che va avanti dal 2008, data di uscita dal parlamento, si trova di fronte alla scelta di schierarsi o sull’ipotesi Dalemiana/Bersaniana o su quella di Vendola, che non sembra poi molto diversa dalla prima.
-
Questo è un contesto dove la necessità della indipendenza politica sta divenendo un presupposto ineludibile per salvaguardare qualsiasi esperienza di classe, sia di tipo sociale che politico. Anche l’ esperienza del M5S, pur avendo avuto una funzione di rottura politica nello scenario nazionale, sta mostrando tutti i limiti del settore sociale che lo compone e non tanto del sui gruppo dirigente: la piccola borghesia produttiva e professionale che non è in grado di affermare una capacità di direzione duratura sul resto della società. La vicenda della giunta Raggi contiene tutti questi elementi contraddittori che stanno gradualmente minando quel movimento anche se le vicissitudini politiche e giudiziarie del PD gli offrono ancora spazi.
E’
importante oggettivare la dinamica politica nella quale siamo stati
immersi e manifestatasi in questi anni che, seppure in modo
contraddittorio, indica un orientamento dove la questione dell’indipendenza politica dei settori di classe trova sempre più ragioni di affermazione.
Su
questa evoluzione si innesta la fase odierna di ridefinizione di
Eurostop sulle cui caratteristiche è utile soffermarci un momento per
capire come procedere. Di fatto oggi Eurostop ha due caratteristiche:
-
la prima, più direttamente politica, è quella di una serie di forze ed individualità comuniste, di sinistra e democratiche che si sono incaricate di coprire uno spazio politico che nessuno oggi pensa, neanche a sinistra, di dover rappresentare. Concretamente la parola d’ordine di “NO EURO, NO UE e NO NATO” sintetizza il piano della rappresentazione e della battaglia politica che riteniamo collettivamente possibile portare avanti.
-
la seconda è che a questa battaglia politica sono legate forze sindacali e sociali che fanno parte del fronte che sta promuovendo le iniziative, forze limitate ma che sono radicate e che hanno avuto la volontà e la capacità di mantenere l’iniziativa politica generale. Parliamo, in primo luogo, dell’USB sul piano nazionale ma anche della Carovana delle Periferie di Roma, dell’intervento sociale a Napoli e di un radicamento articolato in Emilia grazie anche alla tenuta di Ross@ in quella regione. Oltre a questi organismi che hanno una strutturazione sociale più solida, ci sono altri insediamenti in altre città e regioni più deboli ma che segnano comunque la presenza politica di Eurostop.
Il
punto politico che ci si presenta oggi, di fronte alle ulteriori
evoluzioni strutturali e politiche della situazione, è se crediamo che
Eurostop possa crescere mantenendo il “modello” attuale oppure che ci si
debba porre obiettivi da raggiungere e dunque capire di quale
progettualità ci si debba dotare. Considerando la complessiva
velocizzazione delle contraddizioni il rischio è che l’assetto politico
ed organizzativo attuale possa divenire altrettanto velocemente
inadeguato. Nel caso in cui questa valutazione fosse condivisa possiamo
dire che la condizione attuale di Eurostop è una base valida proprio per
progettare i passaggi e le “tappe” da individuare assieme per tenere
testa alle evoluzioni della situazione.
Va
perciò capito di quale progetto dotarci; la prima questione che ci si
pone è quella di definire le interlocuzioni che possano far crescere
l’esperienza e la forza di Eurostop avendo come obiettivo quello di una
ricomposizione politica dei settori di classe, sociali e
politico/culturali diversi e oggi disgregati.
Naturalmente
una possibilità di crescita effettiva può essere data solo dallo
sviluppo delle contraddizioni concrete ma è necessario definire un
soggetto che si predisponga a recepirlo politicamente avendole
individuate.
In
questo senso il primo interlocutore non può che essere quello che
abbiamo spesso in modo approssimativo definito “blocco sociale” che oggi
è stato talmente disgregato e sottoposto al “tritacarne” produttivo e
sociale, oltre che politico ed ideologico, tanto da rendere i settori di
classe disponibili a rappresentazioni lontane da quelle storiche della
sinistra e che oggi vengono definite populiste. Su questo va fatta una
necessaria analisi ed elaborazione ma se da una parte questo blocco
sociale va rappresentato politicamente non possiamo pensare di farlo
limitandoci ad essere il riflesso passivo della sua condizione
“naturale” attuale prodotta negli anni passati dalla egemonia
dell’avversario di classe. E’ sbagliato dare un giudizio pregiudiziale
sulle forme contraddittorie in cui si manifesta il disaggio del blocco
sociale ma bisogna porsi come forza di orientamento non solo politico ed
organizzativo ma anche valoriale e sui principi.
Ricomposizione
però vuol dire recuperare ad una prospettiva indipendente anche quei
settori comunisti, di sinistra e democratici oggi disorientati dalla
crisi politica e morale attuale e che non si ritrovano dentro partiti o
schieramenti politici sempre più indistinguibili e subalterni ai poteri
economici che oggi determinano i caratteri dell’attuale e degradata
società.
Nel merito
Come
detto la battaglia politica di Eurostop sono i tre NO in quanto sono
una posizione radicale e coprono uno spazio politico abbandonato anche
dalla sinistra “antagonista” in particolare sulla questione della Unione
Europea. Anche la questione organizzativa, cioè come mettiamo in
relazione stabile strutture collettive e individualità, è un passaggio
importante in quanto è la condizione per praticare la battaglia politica
e la relazione strutturata con il “blocco sociale”. In queste
riflessioni comunque non si affronta la questione della strutturazione
organizzativa, questa che è una discussione iniziata all’ultimo
coordinamento nazionale ma che va ripresa e definita nelle sue
possibilità reali in vista dell’assemblea nazionale del 26 Marzo.
Quello
che qui si vuole mettere in evidenza è la questione dell’identità di
Eurostop in relazione alle interlocuzioni che sono state sopra
richiamate, questa però non può limitarsi al solo “qui ed ora” in quanto
siamo dentro un processo di crisi senza sbocchi (possiamo richiamare la
crisi economica e sociale, Trump e il riarmo etc. etc. sui quali
abbiamo tutti più o meno le stesse idee) che procederà e che sta già
facendo emergere la necessità del cambiamento generale, della
“rivoluzione”. Ovviamente questa è una forzatura per indicare la
prospettiva politica, ma nessuno oggi pensa, soprattutto l’avversario di
classe, che non ci si stia avviando verso un cambiamento radicale di
cui non possiamo ora sapere il segno ma che “incombe” sulle attuali
classi dominanti; in questo senso va compreso che questa volta sono
“lorsignori” ad essere in crisi.
Il
tentativo che va fatto è quello di definire un’ identità che tenga
conto del cambiamento radicale che si sta manifestando sotto i nostri
occhi e che si presenti in modo organico sul piano dei contenuti e
convincente su quello della relazione di massa; si possono ipotizzare
quattro “campi” su cui costruire questa identità che qui vengono
tracciati in modo abbastanza sommario ma che, se condivisi, andranno
approfonditi e fatti oggetto di una ulteriore elaborazione e
rappresentazione collettiva.
Il primo è quello della definizione del nemico,
non dell’avversario, va detto con chiarezza che il nemico è il
capitalismo ma declinandolo nelle forme in cui si presenta oggi nei
paesi imperialisti ovvero nella forma finanziaria (banche, debito
pubblico, etc), nel ruolo socialmente devastante delle multinazionali a
cominciare da quelli europee (qui gli elementi di percezione sociali
sono moltissimi dai licenziamenti nella produzione ai tassisti, agli
agricoltori e non andiamo oltre), nell’UE che ne è il suo braccio
politico istituzionale che ha prodotto con le sue politiche economiche
le diverse crisi del debito . Questo capitolo del capitalismo moderno si
sta arricchendo di un elemento nuovo che è quello della competizione
pure militare in particolare con gli USA oltre che con la Russia, come
ha recentemente ricordato commissario Moscovici intervenendo al Senato,
il che rimanda alla questione della guerra le cui forme non sono
necessariamente quelle delle due guerre mondiali che abbiamo conosciuto.
In tal senso chiamare fuori i popoli esplicitamente da questo conflitto e dalla chiamata a stringersi intorno alla UE come faro della civiltà liberale diviene un ulteriore elemento di identità
direttamente proporzionale alla crescita della competizione
internazionale. Questi elementi in realtà sono stati sempre presenti in
una qualche misura negli ultimi decenni ma la differenza è che adesso
non si riesce più a mistificarli, a nasconderli, agli occhi dei popoli e
noi dobbiamo rafforzare, motivare e strutturare questa percezione di massa parlando appunto del nemico.
Il capitale privato, nelle sue molteplici forme, e la UE come strumento di coercizione politica
ci rimanda direttamente alla questione del ruolo dello Stato, della sua
funzione sociale e politica e soprattutto di come noi lo concepiamo
nelle prospettive. Qui si pone alla base un nodo di fondo che è quello
classico della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e
rapporti sociali che se sul piano teorico è solo un’enunciazione nella
realtà significa asservimento dello sviluppo (scientifico, tecnologico e
sociale) al capitale e dunque impoverimento generale, disoccupazione,
precarietà come condizione esistenziale. Questi processi vengono ormai
percepiti nella parte penalizzata della società come una contraddizione
tra le aspettative (maturate in una società apparentemente opulente) e
realtà che oggi si presenta in tutta la sua brutalità e senza
alternative, soprattutto ai settori giovanili. Torna cosi centrale la
questione del lavoro e dei lavoratori nelle forme moderne, in cui la
formazione svolge un ruolo centrale, e la battaglia per uno sviluppo
generale al servizio della società e per la riduzione dell’orario di
lavoro di fronte ad una disoccupazione ormai palesemente tecnologica.
Questo
carattere non riguarda oggi solo il capitalismo occidentale ma ormai la
disoccupazione tecnologica (prodotta anche dal processo di
equiparazione dei salari a livello internazionale) si comincia a
presentare in quella che prima era considerata la periferia produttiva.
Qui c’è il nocciolo duro dell’attuale sviluppo distorto causato dal
capitalismo ma a questo si aggiungono questioni fondamentali quali la
distribuzione della ricchezza in un mondo dove aumentano le
disuguaglianze (vedi per noi la battaglia sul reddito sociale, di
cittadinanza etc.); ed anche quella della democrazia di fronte a
processi di centralizzazione decisionale come quelli che stanno
avvenendo con la costruzione dell’UE. Altri ancora sono gli effetti che
non rendono più ostativo per noi parlare di funzione sociale dello
Stato; funzione sociale dello Stato intesa nel senso dei suoi fini
generali e non solo del Welfare quale prodotto della passata mediazione
sociale, oggi improponibile per la dimensione internazionale del
capitale. Dunque il Socialismo come ipotesi di cambiamento possibile può
essere legittimamente riproposto come posizione e, in una fase di crisi
e di transizione storica, come opzione credibile che possiamo mettere
pubblicamente sul campo. Questi sono per ora solo ragionamenti di
massima che ovviamente vanno completati e rafforzati sul piano dei
contenuti e della rappresentazione da costruire verso i settori sociali.
Esiste anche una questione di etica e di valori
che sta generando una rivolta morale dei settori sociali subalterni. In
passato questa questione seppure presente, vedi la corruzione della DC
dal dopoguerra, era stata messa in secondo piano dal conflitto di classe
esplicito ed il clientelismo e la corruzione erano praticate e
giustificate come collante sociale del blocco di potere della borghesia
nazionale del nostro paese. Oggi la questione si pone in modo molto
diverso e la questione delle disuguaglianze e della corruzione appaiono
insostenibili per una parte della popolazione provocando una rivolta
morale che però dovrà fare i conti con una immodificabilità della
situazione. Infatti questi aspetti sono parte costituente del
capitalismo moderno ed in particolare la corruzione, che non è un
fenomeno solo italiano, è prodotta dall’asservimento dello Stato al
capitale privato ingenerando l’intreccio perverso tra politica ed
economia.
Questa situazione già da molti anni sta producendo fenomeni politici di cui il M5S ne è l’ultima versione; (prima c’era stata la Rete di Orlando, il popolo Viola, l’Italia dei Valori).
Dagli anni ’90 si parla ripetutamente di rivolta della “società civile”
la quale però arrivata nelle istituzioni, spesso in modo inaspettato,
ha generato “mostri” che nulla avevano da invidiare al ceto politico dei
partiti. Il terreno della alterità sui principi non può essere ignorato
da chi, come noi, intende rapportarsi direttamente alla società ed alle
sue contraddizioni; sapendo però che questo è un terreno problematico
in quanto l’ideologia, intesa come visione delle relazioni sociali,
delle classi subalterne è stata conformata nel tempo dall’egemonia e dai
valori del suo antagonista di classe. Onestà, eguaglianza, politica
intesa come servizio disinteressato, priorità del bene comune contro
l’individualismo e della cultura del tutti contro tutti, etc. sono le
questioni che dobbiamo cominciare a saper maneggiare nella relazione di
massa essendo coscienti che ci saranno delle resistenze nei nostri
stessi referenti sociali in quanto, in particolare l’individualismo e la
competizione, è ben radicata nel degrado civile ed etico della società.
Classi, popoli, Stati e internazionalismo
sono questioni sulle quali dovremo sapere andare a fondo nella nostra
discussione e nella rappresentazione della proposta. E’ una discussione
che stiamo già facendo e che deve fare i conti con un processo
particolarmente contraddittorio per i paesi dell’Unione Europea in
quanto se la base materiale, produttiva, finanziaria e nella sua
componente della forza lavoro (emigrazione/immigrazione), ha superato la
dimensione nazionale il piano politico e istituzionale rimane ancora
ancorato a quella dimensione. Va anche ricordato che, se per l’UE si
pone un problema di forma istituzionale ancora indefinita, in tutto il
mondo si vanno configurando blocchi geopolitici ed economici generati
dalla potenza raggiunta delle forze produttive che tendono a superare la
sola dimensione nazionale; Oltre l’UE/Eurozona basta
ricordare il NAFTA per il Nord America o l’ALBA per il continente
latinoamericano ed anche l’Africa meridionale attorno al Sud Africa o i
paesi arabi sunniti con alla testa l’Arabia Saudita.
Nel
nostro intervento dobbiamo saper relazionare questi due livelli,
ambedue reali, trovando un equilibrio. Abbiamo già detto che se la base
del conflitto di classe, e dunque della sedimentazione concreta delle
forze politiche e sociali per noi necessaria, è nazionale ed è una
condizione ineludibile dobbiamo saper proporre nella nostra identità un
orizzonte più ampio, dunque internazionale ed internazionalista,
per non farci chiudere in una visione politica dove le forze
reazionarie hanno obiettivamente più possibilità di affermazione. Questo
non è solo un piano teorico o di semplice rappresentazione ma
soprattutto politico e pratico e deve tenere conto, per essere
presentato in modo credibile al blocco sociale, delle contraddizioni che
emergono nella costruzione della UE. Quella più evidente e
percettibile, che oggi ci può far sfuggire dalla sola dimensione
nazionalista nella proposta politica, è la contraddizione molto concreta
tra Nord e Sud Europa ovvero della costruzione di un centro e di una
periferia nell’Unione Europea prodotti da un processo di
gerarchizzazione per Classi e Stati imposta dalla competizione globale
che sta assumendo anche le forme di una competizione interimperialista.
Se fosse ancora necessario dimostrare che questa è la tendenza la
proposta fatta della UE a più velocità aggiunge un’altro tassello al
“puzzle”.
E’
dentro i processi a tutti visibili di competizione e di
gerarchizzazione che si pone la questione della emigrazione/immigrazione
che è un terreno di conflitto ideologico e divisivo per il nostro
blocco sociale; tale problema ora è emerso nella nostra discussione e
dobbiamo cominciare ad affrontarlo individuando il punto di partenza del
confronto.
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