mercoledì 17 aprile 2024

Gli insaziabili. Un operaio dovrà lavorare mille anni per guadagnare quanto il capo di Stellantis.

Forse neanche al tempo dei Faraoni d’Egitto e probabilmente neanche in quelli che precedettero la rivoluzione francese, la forbice tra il vertice e la base della piramide sociale è stata ampia come oggi.


(di Michele Manfrin – lindipendente.online)

La quarta casa automobilistica più grande del mondo, Stellantis, ha tenuto martedì la sua assemblea generale annuale, la quale ha dato parere positivo alla retribuzione del suo amministratore delegato, Carlos Tavares, per l’anno 2023, per una cifra che si aggira sui 36,5 milioni di euro. 

Un compenso da capogiro che un operaio della stessa azienda, di cui la famiglia Agnelli è socia di maggioranza relativa, metterebbe insieme in più di mille anni di lavoro. Un aumento colossale di stipendio che arriva pochi giorni dopo la notizia che la stessa azienda ha ridotto la produzione di auto in Italia e ha lasciato a casa 3.793 operai dal 2021 ad oggi.

Una sproporzione che potremmo definire “biblica”, oltre che del tutto ingiustificata, sebbene il pensiero unico neoliberista voglia far passare la cosa come giusta, logica e razionale. Se così fosse, non si spiegherebbero i fallimenti di tutte quelle aziende gestite da personaggi strapagati che escono di scena con buoni uscita stratosferici dopo aver combinato guai enormi dal punto vista economico e sociale. Altrettanto, non si spiegherebbe l’esistenza di realtà gestite in maniera differente, le quali raggiungono ottimi risultati perseguendo metodi egualitari, solidali e collaborativi.

Ieri, gli azionisti della casa automobilistica Stellantis – casa madre di Fiat, Peugeot, Dodge e Jeep – hanno approvato con il 70,2% dei voti la remunerazione dell’amministratore delegato del gruppo, Carlos Tavares, per l’anno 2023, la quale raggiungerà la cifra di 36,5 milioni di euro. Molte sono state le critiche rivolte ad una tale decisione. Tra l’altro, la questione dei compensi colossali dei top manager non riguarda soltanto Stellantis, quanto piuttosto ha carattere generale per quanto concerne multinazionali, grandi aziende e conglomerati. Anche se il voto è solamente consuntivo, Charles Pinel, amministratore delegato della francese Proxinvest, azienda di analisi e consulenza finanziaria specializzata nell’assistenza agli azionisti nelle votazioni, ha detto: «È importante che queste retribuzioni rimangano a un livello socialmente accettabile. Gli azionisti hanno delle responsabilità e, convalidando livelli molto elevati di remunerazione, si può rimproverare loro di aver partecipato alla rottura della coesione sociale». Le critiche non sono mancate neanche da un’altra importante società di consulenza per gli azionisti, ISS, la quale aveva raccomandato agli azionisti di Stellantis di votare contro il compenso di Tavares.

Il divario retributivo è impressionante. «In un’azienda in cui il leitmotiv è la frugalità, in cui le trattative salariali sono sempre estremamente difficili, in cui si deve lottare per ottenere un aumento aggiuntivo di dieci euro al mese per i lavoratori, è difficile vedere un tale livello di stipendio», ha affermato Benoit Vernier, delegato del sindacato centrale di Stellantis Auto in Francia. Chi sostiene la legittimità del compenso stratosferico ricorda che Stellantis ha chiuso l’anno passato con un utile record di 18 miliardi di euro. In una logica, non supportata dai fatti, che lega i risultati di una azienda esclusivamente ai suoi manager e non ai suoi lavoratori, che da quegli utili non ricevono vantaggi, essendo il margine di profitto gonfiato proprio dalla corsa a tenere bassi i salari, a delocalizzare la produzione in Paesi a minor costo di manodopera e a ridurre al minimo il numero di operai impiegati attraverso l’automazione e il ricorso agli straordinari.

E d’altra parte, così come non mancano casi di aziende gestite da strapagati top manager che falliscono, esistono anche aziende che prosperano e hanno successo senza piegarsi ai dogmi neoliberisti che provocano differenziali di stipendio dal sapore feudale. Ricordiamo infatti la storia di Mondragon, azienda tra le prime sette di Spagna e la prima nei Paesi Baschi, con filiali e associate sparse per il mondo, spaziando in quatto settori: finanza, industria, vendita al dettaglio, ricerca e istruzione. Qui, la media nel rapporto tra lo stipendio di un colletto bianco e quello di un operaio è di 5:1. Mondragon è una azienda collettiva composta da 95 cooperative autonome che contano un totale di circa 80.000 persone, oltre a 14 centri di ricerca e sviluppo. Il successo di Mondragon è dipeso dalla forza del collettivo, dalla responsabilizzazione, dalla solidarietà e dal fatto che il lavoro e il guadagno non sono visti come fine ultimo ma come mezzo di elevazione dell’essere umano. Le decisioni all’interno delle cooperative vengono adottate secondi i principi della democrazia diretta, senza l’intermediazione di sindacati, per cui tutti i lavoratori sono chiamati a partecipare al processo decisionale. Insomma, un’azienda di successo tenuta insieme da una concezione umanistica dell’impresa. Una storia tra che dimostra come dietro l’accentramento di ricchezza e potere apparentemente senza fine che si registra in gran parte dei contesti lavorativi ci sia un’ideologia che pone al centro gli interessi della classe dominante e non una logica razionale.

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