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Anna Lombroso per il Simplicissimus
Sotto la pressione di una crisi determinata dalla riduzione delle garanzie, dai licenziamenti, dalla forzata chiusura di attività, che riduce perfino l’accesso all’indispensabile, sotto la minaccia di nuovi fronti della guerra che ci muove il crimine organizzato europeo che ci vuole ridurre ad animali da batteria costretti a nutrirci di becchimi, grilli, formiche, comincia a cedere un intero sistema speculativo e parassitario, quello favorito da una letteratura di genere, dieta mediterranea meno costosa e più sana, alimenti a chilometro zero, garantiti dalla libera iniziativa di lestofanti protetti dal regime.
Così anche i templi dei consumi, sostituti dei santuari di Panseca ormai stanno cedendo, cadono i colonnati eretti dai norcini di governo, traditi da una stampa fino a ieri in ammirazione per lo spirito imprenditoriale di poliedrici furfanti molto propagandati e finora celebrati per aver esportato oltreoceano salsicce e mozzarelle industriali, sacralizzate da delicati reperti del Duomo di Milano.
Ci fa sapere Affari Italiani che il “parco da gustare” a 10 euro a persona, la Disneyland mondiale del cibo – a un passo dall’inceneritore – si è rivelata un clamoroso fallimento e sta inguaiando chi ci ha investito, che, cioè, Fico, la creatura -nata alla periferia di Bologna – dell’Oscar nazionale Farinetti, delle Coop, degli enti locali e di tutta la corte dei miracoli del modello emiliano che gli ha steso tappeti rossi e spalancato porte, registra come minimo 3 milioni di euro di perdite che si aggiungono a quelle degli anni precedenti.
Il simpatico manigoldo cerca puntelli, affidando Fico a Bagnasco cresciuto nell’Unieuro fondata dal babbo dell’Oscar e passato attraverso la holding dei giochi Toys a riconferma di un talento speciale per le tre carte, lanciando commoventi appelli per l’assunzione di personale “Eataly lavora con noi” offrendo occupazione ovviamente precaria fino ai limiti del volontariato e della schiavitù, come era già successo e denunciato in passato.
Ma la patacca è stata rivelata, sempre meno allocchi sono disposti a pagare 10 euro bimbi compresi, per ammirare le bufale (è il caso di dirlo) di Vallelata, la cioccolata Venchi, i tortellini Rana, sia pure esposti in finte fattorie, in prefabbricati dove si muovono figuranti in veste di casari, proprio come si fosse in uno di quei villaggi che onorano la finzione, location di western all’italiana, o di capodanno cinese con tutto il bric à brac ingannevole che dovrebbe confermare rispetto della tradizione combinato con innovazione, chilometro zero magari in prossimità di inceneritori, opportuni sostituti dell’affumicatore di salmoni di importazione.
“Smettetela di andare a Disneyworld, venite a Eatalyworld” , diceva Farinetti a fine 2013. L’idea di Fico (sta per ” Fabbrica Contadina”) sarebbe frutto dell’inventiva di mister Eataly e nasce tra 2012 e 2013, quando l’allora presidente del Caab, Centro Agroalimentare, Andrea Segrè, di concerto col Comune, immagina una cittadella del cibo e della sostenibilità dentro il mercato agroalimentare, in grave sofferenza finanziaria.
Il fondatore di Eataly, sposa il progetto e gli operatori del Caab, dopo mesi di proteste, accettano di spostarsi in una nuova struttura più piccola e funzionale proprio a fianco. All’investitore pubblico (il Caab è partecipato all’80% dal Comune) si affiancano 27 investitori privati, tra cui gli enti di previdenza delle professioni col 41% ( periti agrari, medici, avvocati, periti industriali, biologi veterinari, agronomi), e la Coop, Farinetti con un milione e alcune banche, più tanti soggetti locali come Camera di commercio, Confindustria, Confartigianato, Fondazione Carisbo, Cna, Coprob o Saca.
Le previsioni sono tra i cinque e i dieci milioni di visitatori l’anno e un rendimento medio per gli investitori del 6% con la distribuzione di dividendi dal terzo anno, che avrebbe dovuto chiudere tra gli 85 e i 90 milioni di fatturato. Di gestire il parco si incarica la società Eatalyworld srl (oggi Fico srl), che paga un canone annuo al Fondo Pai ed è partecipata al 50% ciascuno da Coop e Eataly.
Malgrado l’appoggio dell’establishment, della stampa, malgrado il sostegno dei guru primo tra tutti il Petrini di Slow Food, l’iniziativa si rivela subito un fallimento, i visitatori sono meno numerosi dell’auspicato, fattore non secondario, perché ristoranti e operatori che lavorano negli 80mila metri quadri di parco non pagano l’affitto ma versano alla società di gestione una percentuale sugli incassi, così già nel 2019 i bilanci vanno “in rosso” per oltre 3 milioni, ristoranti e botteghe sono ridotte a una cinquantina e i lavoratori complessivi circa 200, rispetto agli 800 di cinque anni fa.
Eppure regimi e governi proteggono ancora per anni la speculazione nutritiva e non solo: a Torino viene concessa magnanimamente all’Oscar lo storico stabilimento Carpano di via Nizza, poi ristrutturato e diventato l’Eataly del capoluogo piemontese e Farinetti per “segnare” il territorio non trova di meglio da fare che orinare in una delle cisterne dove si faceva il vermuth più buono d’Italia, come si addice a uno che rivendica che dei suoi 21 Eataly almeno 8 li ha aperti senza licenza invitando i sindaci all’inaugurazione.
D’altra parte il mondo Bengodi è fatto così, sopraffazione, prevaricazioni, sfruttamento, quando una speculazione indegna sulla pelle dei cittadini sempre più affamati diventa intervento di “interesse strategico nazionale” Bisogna proprio fermarli prima che la loro avidità ci divori, come poveri polli in batteria.
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