Può essere il tono della voce, un’espressione del viso, un’esitazione, a decidere se hai la possibilità di ottenere un posto di lavoro o meno. A stabilirlo è un software che registra l’intervista video. Funziona così la selezione del personale in molte aziende.
( Milena Gabanelli e Francesco Tortora – corriere.it)
Da almeno una decina d’anni gli algoritmi scremano curricula, filtrano lettere di presentazione, individuano parole chiave ed estrapolano dati per riconoscere i candidati da assumere e quelli da scartare.
Più recentemente le principali società di gestione del personale internazionali si sono dotate di software di intelligenza artificiale (AI) che riproducono i percorsi del pensiero umano ed elaborano soluzioni sempre più complesse. Questi software riescono a identificare nei database e sui social network i candidati più capaci, e ad effettuare video-colloqui online senza la presenza di un selezionatore umano. Nel 2022 il valore del mercato globale dell’intelligenza artificiale nel campo del reclutamento professionale è stimato in 3,89 miliardi di dollari e tra 5 anni dovrebbe superare i 17 miliardi.
Il software valuta il candidato
A valutare i candidati sono chatbot (software progettati per simulare una conversazione) che promettono di scovare i talenti più qualificati a costi inferiori rispetto al tradizionale settore delle risorse umane. Attraverso algoritmi di machine learning (apprendimento automatico), il software può lavorare su milioni di dati e apprendere dal flusso delle informazioni, perfezionando le previsioni. Uno dei sistemi di intelligenza artificiale leader nelle preselezioni è sviluppato dalla società americana HireVue. Il software pone via webcam una serie di domande standardizzate e pre-registrate al candidato che ha tre minuti per ogni risposta. Poi trasforma le parole in testo e analizza lessico, tono, cadenza, espressioni facciali e postura prendendo in considerazione fino a 25 mila dati. Valuta l’intelligenza emotiva dell’intervistato, la sua capacità di lavorare in squadra e l’affidabilità.
HireVue negli ultimi 6 anni ha condotto oltre 26 milioni di videointerviste. Lo utilizzano 800 aziende, tra le quali Hilton Hotels, Ikea, J.P. Morgan, Accenture, Coca Cola, Goldman Sachs, Vodafone e Unilever. Quest’ultima, che riceve in media 250 mila candidature all’anno, grazie al programma avrebbe risparmiato 6 mesi di colloqui di lavoro e un milione di sterline l’anno migliorando gli obiettivi di assunzione del 16%. La catena d’alberghi Hilton afferma di aver ridotto il tempo di assunzione medio da sei settimane a cinque giorni.
Chi ti valuta con i videogame
Pymetrics è invece un programma basato sull’intelligenza artificiale che valuta i candidati per come affrontano giochi online, quiz e puzzle in 25 minuti. Esamina reattività, capacità di risolvere i problemi e tolleranza al rischio. Il software newyorchese, testato per garantire «una selezione equa» e valutare «tutti i candidati in modo coerente», si basa sulla scienza comportamentale ed è usato nei processi di pre-reclutamento da multinazionali come McDonald’s, la società di contabilità PWC e il gruppo alimentare Kraft Heinz. C’è poi Ayra, che incrociando i database di aziende e social network promette di individuare talenti pronti a cambiare lavoro; Loxo vanta un database di 530 milioni di persone; mentre Textio, software di «scrittura aumentata», permette di perfezionare gli annunci di lavoro.
La situazione in Italia
I software basati su machine learning e su altre tecniche di intelligenza artificiale in Italia non sono ancora molto diffusi, ma alcune aziende come Ferrovie dello Stato, A2A, Adecco ed Esselunga li stanno utilizzando. Ferrovie dello Stato ha lanciato a fine 2019 «Smart Recruiting», programma che elabora i dati dei candidati e poi stila classifiche dei profili più in linea con le posizioni ricercate riducendo i tempi delle selezioni. Sempre dal 2019 Esselunga si è affidata a un programma dell’azienda Easyrecrue (oggi ICIMS) per la gestione della prima fase di screening, con l’obiettivo di passare da 20 mila colloqui fisici a meno di 4 mila. I candidati caricano un video sul sito della catena di grande distribuzione dopo aver risposto a domande in differita. I filmati sono analizzati dall’algoritmo che alla fine stila una classifica dei profili più adatti.
Anche le università si adattano all’intelligenza artificiale
Perché sempre più aziende si affidano ai software di AI? Per risparmiare sui costi e allargare il ventaglio di candidature. Un dipendente alle risorse umane spende in media 14,5 ore a settimana per trovare candidati per una sola posizione.
In pratica sono in grado di gestire una mole di lavoro che nessun ufficio risorse umane riuscirebbe a completare. McKinsey Global Institute stima che entro il 2030 l’intelligenza artificiale porterà ad una crescita del 16% del Pil mondiale e avrà un impatto sul 70% delle aziende. Anche le università si stanno adattando, e atenei come la Duke University offrono agli studenti sul proprio sito web una guida per le interviste di HireVue, con consigli su come rispondere alle domande standard e suggerimenti comportamentali. Ma davvero il valore di un candidato può essere determinato da quanto si è bravi nei giochi online, dal tono di voce o dall’espressione facciale? Perché allora una persona lievemente balbuziente, o lievemente strabica, o semplicemente intimidita dalla webcam, non avrebbe speranze.
Pregiudizi e discriminazioni
I software di AI in realtà riflettono i pregiudizi dei loro programmatori. Uno studio dell’AI Now Institute della New York University afferma che il pre-screening effettuato da software basati su intelligenza artificiale può causare discriminazioni, ma soprattutto può produrre risultati distorti perché non c’è alcuna garanzia che riesca a selezionare i candidati più adatti ai ruoli da coprire. Inoltre, almeno per ora, le macchine non riescono a cogliere le sfumature delle relazioni umane: «Gli algoritmi di apprendimento automatico vengono applicati in questo contesto anche con la finalità nobile di eliminare i pregiudizi umani – dichiara a Dataroom Gabriella Pasi, docente di Informatica all’Università di Milano-Bicocca ed esperta dell’elaborazione del linguaggio naturale –. Ma questa tecnologia può incappare in un doppio rischio. Il primo è proprio quello di assimilare i preconcetti umani. Gli algoritmi imparano dagli esempi e, se apprendono sulla base di esempi polarizzati, che contengono cioè pregiudizi, questi saranno automaticamente replicati anche nel processo di assunzione del personale. Poi c’è il rischio dell’appiattimento. La ricerca di un candidato ideale che abbia caratteristiche molto specifiche può portare il software a escludere persone interessanti, ma con un profilo un po’ diverso». Intanto, dopo una denuncia presentata alla Federal Trade Commission (l’Antitrust americano) dal gruppo di ricerca di interesse pubblico «Electronic Privacy Information Center», nel 2021 HireVue ha deciso che nelle valutazioni delle videointerviste non verranno considerate le espressioni facciali.
Negli Usa si muove la politica
Negli Usa si è aperto il dibattito su legittimità e regolamentazione di questa tecnologia. In Illinois nel 2020 è entrato in vigore l’AI Video Interview Act: la legge obbliga le aziende a informare i candidati se lo screening è realizzato da un algoritmo. A dicembre 2021 il Consiglio comunale di New York ha approvato una misura che impone alle società che sviluppano questi software controlli annuali da parte di revisori indipendenti per valutare l’imparzialità dell’algoritmo ed evitare discriminazioni. La norma entrerà in vigore il primo gennaio del 2023.
Anche altri Stati americani stanno introducendo qualche piccola forma di regolamento. In Europa la Commissione ha presentato nel 2021 una proposta per la regolamentazione dell’intelligenza artificiale. Insomma il tema è sul tavolo, ma nessuno sta affrontando il problema dei problemi: questi milioni di registrazioni, con dentro miliardi di dati personali, dove vanno a finire?
dataroom@rcs.it
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