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Mediai nel sequestro di Falcone. E lui…
Stasera vi voglio demolire un mito. Pochi miei amici, oltre che compagni, sanno questa cosa”, una delle “cose più carine che mi sono capitate in galera”. Un giorno “entrai nella casa di un compagno e vidi che sul comodino aveva la fotografia di Giovanni Falcone.
Dico ‘scusa, ma che c’entra?’. Lui: ‘Sai, le lotte civili, la mafia…’.
Ora ve la racconto come la raccontai a lui. Quando andai via, il santino l’aveva tolto. Ma chissà, magari poi l’ha rimesso.
Ero nel carcere di Favignana, era il 1976. Un carcere particolare, è come una casbah. C’ha un sacco di viuzze, tutte cancellate, nel tufo. C’era una particolarità, me la tiro un po’ ma era così: io, insieme ad altri due o tre in tutta la storia penitenziaria, avevo un controllo a vista.
Significava che un turno di guardie era addetto alla mia persona, a non perdermi di vista. Tre turni, perché quello notturno mi chiudevano e quindi non c’era bisogno. I primi tempi era un po’ fastidioso, ma poi ci fai l’abitudine.
Successe che ci portarono il nuovo giudice di sorveglianza, che appunto si chiamava Giovanni Falcone. Noi dal giudice non ci andavamo, non ce ne fregava niente. Era un pivello, non ci interessava la cosa, non avevamo richieste da fare a lui.
Arrivò un detenuto particolarmente turbolento. Era il massimo della soggettività e dell’amoralità”, era una cosa complicata da gestire. Inoltre era pericolosissimo, uno facile di coltello.
Arrivò in questo carcere e, dati i precedenti, evidentemente aveva dei conti aperti: lì c’erano molti mafiosi che contavano, erano tutti lì in quegli anni perché era un carcere dove non ti rompevano le palle. Subito lo misero alle celle.
Disgrazia vuole che erano vicine a dove dormivamo noi e lui, attraverso il lavorante, mi mandò a chiamare: ‘Mi faccio vedere al cancello perché ho bisogno di parlarti’. Va bene, andai al cancello: ‘Che c’è?’. ‘Guarda, devo prendere per il collo il giudice, perchè qua i mafiosi mi vogliono fare la pelle’.
Avevano ragione i mafiosi, in quel caso lì… Gli dico: ‘E io che c’entro?’. ‘Io l’ho già chiamato, quando arriva lo prendo e tu mi devi reggere la questione’. ‘Ma qual’è il tuo obiettivo?’. ‘Andare via il più velocemente possibile da qua, perché se no mi ammazzano’. Anch’io ho un’etica: ‘Va bene, se è così…’.
Passò un giorno e cominciammo a sentire agitazione tra le guardie, pensai: ‘L’ha preso’. Infatti, dopo un paio d’ore arrivarono maresciallo e direttore.
‘Notarnicola, è successa una cosa molto grave. Bisogna che lei venga su’.
‘E’ successa una cosa grave e io devo venire su? Scusi ma cosa volete?’.
‘No venga, abbiamo bisogno di lei, è anche il detenuto che lo chiede’.
Andai. Entrai nella stanzetta, le guardie stavano tutte dietro. C’era Falcone, aveva un segno qua, sotto il mento, si vedeva che era stata la punta di un coltello. Evidentemente, prendendolo, mettendogli il coltello alla gola l’aveva ferito.
Non sanguinava neppure, ma era proprio alla giugulare. Io entrai in questa stanza e misi in chiaro solo una cosa: ‘Mi avete chiamato voi, tu giudice e…’.
E il giudice: ‘Ma veramente…’.
Io: ‘Me ne vado?’.
‘No, no, resti, resti’.
‘Qual’è la situazione?’.
Il detenuto la spiegò: ‘Io devo assolutamente andare via da qui’.
Intanto i giornali radio già cominciavano a parlare di un giudice sequestrato, la televisione cominciava ad aggiornare ogni quarto d’ora.
Dico: ‘Se è solo questo, non dovrebbe essere difficile, per cui stai tranquillo’.
In effetti lui era freddo, in queste cose era bravo. Ma gli dissi: ‘Non farmi scherzi, perché se li fai a lui li fai anche a me, mi metti in una brutta situazione’.
Partirono le trattative, arrivano i procuratori e le squadre d’assalto. Tutto cominciò verso le due e si concluse verso le undici di sera. Intervennero anche altri personaggi, ad esempio Ciaccio Montalto, che poi fu ucciso dalla mafia un paio di anni dopo.
Diventò un’assemblea e io facevo sempre attenzione che non facessero un assalto. Infatti i compagni, dato che la finestra dove si svolgeva tutta questa cosa dava su un cortile, presero dei materassi e li misero sotto.
Mi dissero: ‘Sante, se tu senti che questi arrivano e sparano, gettati dalla finestra. Ti romperai una gamba, ma noi siamo lì a prenderti’. Era l’unica cosa possibile da fare, perché c’era chi spingeva per intervenire con un assalto. Alle undici la cosa finì.
Lumia era il procuratore generale di Trapani. Si accettò che il detenuto venisse portato via e parte, in mezzo ad un nugolo di guardie. Ma dissi al procuratore: ‘Se gli danno solo uno schiaffo…’.
Lui risponde: ‘So come la pensa lei. So che è un fiero avversario, però ci ha dato una mano’.
‘Guardi, io mi preoccupavo solo per il detenuto. Per il giudice vi siete preoccupati voi, per cui due preoccupazioni hanno risolto la cosa. Bona lè’.
L’indomani mattina, questa è la ciliegina, arrivarono di nuovo maresciallo e direttore. Andammo su. Il direttore disse: ‘Io devo fare per lei un encomio solenne’.
‘E che significa? Dove vuole arrivare?’.
‘E’ una cosa molto importante, che si dà raramente nelle carceri. Significa che lei tra tre o quattro anni potrebbe uscire’.
E io, bello fiero: ‘No, sarà la rivoluzione a liberarmi’. Che cretino…
Mi pregò: ‘Ma no, ci pensi, ci pensi’.
Io pensavo a tutti i miei compagni che seguivano la cosa, alle carceri in subbuglio. Ce n’erano alcuni che si erano già preparati: se mi succedeva qualcosa, succedeva un casino. La questione finì lì.
‘Ma viene con noi dal giudice? Perché è tornato al lavoro’.
Lui alle dieci era già lì, ma non più dove si era verificato il sequestro. Avevano fatto un ufficio vicino a dove io sapevo c’era il bar delle guardie. E il maresciallo, che sapeva che per noi tutte le scuse erano buone per arrivare lì e farci un cognacchino, disse: ‘Sante, sai, c’è il bar delle guardie…’.
‘Ah beh, allora, andiamo… Ma cosa volete dal giudice’.
‘Vorrà ringaziarla’.
‘Veramente? L’ha detto lui?’.
‘No, ma noi l’immaginiamo’.
‘Secondo me immaginate male, comunque già che ci siamo, andiamo. Andiamo al bar… Anzi, prima dal giudice e poi al bar…’.
C’era una porta aperta. In fondo c’era il giudice. Alla porta c’eravamo io, il direttore e il maresciallo. Lui girò la testa, guardò tutti e tre… e poi si rimise a scrivere.
Allora il maresciallo disse: ‘Cazzo, Sa, avevi ragione. A questo non gliene fotte un cazzo che tu gli hai tolto il coltello dalla gola. Direttore, noi andiamo a berci qualcosa’.
‘Sì, sì, andiamo a berci qualcosa’.
Insomma, è andata così.
* da Zero in Condotta
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