Davvero non c’è niente di peggio del progressismo neoliberista dei riformisti in libro paga del Pd, Leu, Italia viva, posseduti dai miti leopoldini e che costituiscono i vertici del tradimento commesso ai danni di sfruttati e oppressi, interpreti delle oscene concessioni all’aziendalismo, al marketing che deve commercializzare valori e principi manomessi a uso di “cittadini del mondo”, europeisti e cosmopoliti, grazie al turismo low cost, all’Erasmus, alla cucina fusion.
(Anna Lombroso per il Simplicissimus)
E per giunta testimoni di nuove concezioni morali grazie allo spostamento del focus dai diritti sociali a quelli cosiddetti civili e alla adesione entusiastica all’utopia della modernizzazione della società attraverso la tecnologia, la digitalizzazione, il controllo a fini sociali, portatore di sicurezza, ordine e efficienza.
Non c’è da stupirsi che abbiano avuto consenso, sono loro a costituire ormai l’opinione pubblica percepita la cui autorevolezza si è consolidata grazie alla narrazione pandemica che imponeva atti di fede nei confronti della scienza e soggezione allo stato di necessità che obbligava a incrementare la vigilanza nei confronti di eretici e dissenzienti promossi a pericolo pubblico. E che oggi si avvale della guerra di civiltà per esaltare valori che – Ucraina esclusa -parlano di superamento dell’isolazionismo nazionalista, della limitatezza provinciale e di quel malinteso senso della comunità arcaico e regressivo.
Finora sono stati solo sfiorati dalla globalizzazione, dalla demolizione del welfare, dallo smantellamento dello stato di diritto, quindi si sentono autorizzati a disprezzare e lanciare l’anatema contro chi non crede alla loro narrazione, a chi ha finito per votare o offrire consenso alla destra esplicita e ufficiale perché si sente abbandonato e indegno di rispetto per non aver approvato e accolto quei cambiamenti che gli sottratto benessere e sicurezza, garanzie e prerogative.
Allo stesso modo chi ritiene che lo stato debba recuperare alcune sue fondamentali funzioni viene arruolato tra i sovranisti fuori dal tempo, i nazionalisti e in sostanza i fascisti nostalgici. Perché si tratterebbe di un contesto anacronistico e passatista, avido, inefficiente, invasivo nelle regole ma inadeguato a rispondere ai bisogni individuali e collettivi delle comunità. E non basta dunque riformarlo, va invece dissolto nelle sue missioni sociali troppo costose per le élite economiche e finanziarie, allo scopo di sostituirlo con funzionali e efficienti organizzazioni private.
L’azione congiunta che ha portato alla disgregazione del concetto di cittadinanza e di comunità, risalente non a caso alla Rivoluzione francese, così come quello di solidarietà e coesione sociale ha cancellato la funzione fondamentale di una sovranità statale che potesse frenare l’avidità feroce del capitalismo, ridurre l’impunità e l’immunità del dominio economico finanziario che può permettersi di spostare in una notte attività produttive e aziende, di essere esentato dal pagare i suoi crimini ambientali e di risarcire le vittime sul lavoro, di aggirare le regole imponendo contratti anomali, ricatti e intimidazioni grazie a leggi corrotte che autorizzano conflitti di interesse e irrintracciabilità di operazioni opache.
Pare però che nella mente dei demiurghi crudeli del Grande Reset verrà riservato un qualche ruolo secondario agli Stati nazionali. A cominciare da quello di capro espiatorio, che si sa che se qualcosa dovesse casualmente funzionare il merito andrebbe ai governi, se invece dovesse andar male sarebbe- alla pari, responsabilità del popolo riottoso e inconcludente e dello Stato, farraginoso, impotente, inadeguato, burocratizzato, incapace e sprecone.
Ma soprattutto pare che saranno abilitati a continuare in quella attività di assistenza al potere economico e finanziario svolta in questi anni, con aiuti di stato, enormi pacchetti di salvataggio di banche e istituti di credito, mobilitazione di fondi per coprire le falle della gestione di emergenze, sanitarie o belliche. E inoltre come elemento di attrattività di investimenti delle multinazionali, purchè siano compatibile con il progressivo spostamento delle competenze dal livello nazionale a quello internazionale, più condizionato e manovrabile dal sistema bancario e delle grandi imprese.
Insomma a fronte della evidente incapacità dei mercati di autoregolarsi, perfino i sacerdoti della teocrazia economica pensano che sia necessario riservare un minimo livello decisionale a poteri centrali sia pur ridimensionati, che mettano dei limiti grazie all’azione di governi commissariati, all’egemonia folle e dissipatrice delle multinazionali del commercio, della digitalizzazione, delle tecnologie che obbligano a pagare pegno a tutti gli altri operatori.
Rimano comunque l’obiettivo di mettere fuori gioco gli stati in quanto rappresentanti di interessi della maggioranza, per sottometterli a quelli di decisori transnazionali, di lobby, di oligarchi e delle Ong che finanziano.
E d’altra parte fu proprio il fondatore del Forum di Davos a dire nel 1995 “Gli stati sovrani sono diventati superflui”. Salvo appunto che si possa sfruttare il loro marchio e il loro potere nominale per legittimare rinunce, sacrifici, abiure di valori radicati in uno spazio politico collettivo colpevole di minare la possibilità di confluire tutti in una unità senza identità, senza coesione, senza solidarietà, senza appartenenza. E senza libertà.
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