L’altra sera è andato in onda un servizio a striscia la notizia con Brumotti sulla nostra borgata. Dopo due giorni da quando è stato realizzato abbiamo un paio di cose da dire.
Può piacere o meno che vengano allontanati da un quartiere giornalisti o presunti tali, ma è un fatto che questo non è legato allo spaccio. A marzo dell’anno scorso è stata allontanata una troupe durante le distribuzioni alimentari, l’anno prima mentre blu dipingeva la facciata dell’ex questura.
Viceversa diverse trasmissioni televisive e servizi di giornali hanno raccontato (anche) lo spaccio senza doversi nascondere nel portabagagli. Il tema non è cosa si racconta, ma il Rispetto che si porta a chi abita in una borgata.
Le borgate non sono un posto come un altro, qua viverci è uno stigma. Non si può fare finta di nulla e puntare telecamere addosso a chiunque.
Lo stigma di abitare in 5 in 27 metri quadri, in uno scantinato o di non avere una residenza. Di abitare in case in cui piove. Di essere allontanati da scuola perché “problematici”, di essere rimbalzati da ogni ufficio perché sempre in difetto.
Brumotti questo stigma lo alimenta per due punti di share e sbatte in prima serata le facce di gente che lavora, di chiunque passasse in quel momento, ragazze e ragazzi della borgata. Tutti spacciatori solo perché abitano dove abitiamo, solo perché non apprezzano il suo teatrino.
Abbiamo letto tante dichiarazioni di solidarietà a Brumotti da cariche politiche ed istituzionali. Le stesse persone che potrebbero risolvere i problemi per cui chi abita in borgata è così esasperato. Non lo fanno per incompetenza o per assenza di volontà, ma si battono il petto se un presunto reporter prende una spinta o uno sputo. Quanta ipocrisia c’è in tutto ciò?
Il problema non è uno sciacallo in bicicletta. Il problema è che questa maniera di raccontare le borgate non è più sopportabile.
In una città in cui la sindaca nomina una delegata alle periferie per fare la stessa operazione, il pericolo vero è pensare che questa sia informazione o amministrazione (o addirittura lotta alla criminalità organizzata).
Arrivare in un posto, starci mezz’ora, farsi due foto prendendo i primi che si incontrano per strada addossandogli la responsabilità dell’insicurezza degli abitanti… a noi fa schifo. E non crediamo serva a nulla se non alla notorietà di chi compare in tv.
Affrontare il problema di come si vive nei quartieri, anche nei suoi aspetti più contraddittori, vuol dire esserci. Mettersi in mezzo, proporre alternative, imparare l’ uno dall’altro, ascoltare, discutere. Senza mai permettersi di giudicare.
Se vieni in borgata per fare lo sciacallo, qualcuno che ti dà un calcio lo trovi. Raccontare che hai rischiato la vita diventa anche grottesco.
Il servizio fatto a Quarticciolo è uguale a quello girati allo Zen, a San Giovanni a Teduccio, a San Basilio o a Quarto Oggiaro. Un ragazzo che vende, qualcuno che compra, un inseguimento in bici, le scene al rallenty di qualcuno che si arrabbia, qualcuno che strilla, i carabinieri che intervengono.
Per chi deve vendere l’immagine di quartieri allo sbando ogni posto è uguale all’altro. Chi vuole fare paura o disgusto al resto del paese usa sempre lo stesso schema narrativo.
Per noi che ci abitiamo, ogni posto e ogni persona hanno una loro storia e una loro dignità. Non c’è nessun “diritto di cronaca” che può violarla.
Diffidate degli sciacalli, non giudicate chi non conoscete. Quarticciolo merita rispetto.
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