venerdì 30 aprile 2021

Ontologia del potere, ovvero…come siamo arrivati a tutto questo?

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di Paolo Genta

Tra le tante domande che ci facciamo, nel tentativo di comprendere i meccanismi della crisi di questo nostro sistema mondo, avvelenato da una tecnocrazia economica autoritaria e scientista, ve ne è una piuttosto inusuale, quasi fantascientifica, che vale forse la pena di porsi: l’evoluzione storica delle forze elitarie mondiali che ci governano è il frutto di una concatenazione di eventi, casuali o programmati, solamente tipica del nostro sistema-terra? Il genere di potere che si è creato autonomamente, non potrebbe essere cioè, in quanto forma tumorale del pianeta, esattamente come tutte le forme tumorali, ovvero, semplificando la metafora medica, qualcosa che si sviluppa necessariamente ovunque partendo da determinate condizioni iniziali? Ciò significherebbe, in pratica, che condizioni del genere su sistemi sociali (planetari) simili dovrebbero poter generare “equilibri” finali simili.

Un tale rapporto di causa effetto si potrebbe allora descrivere linearmente e magari potrebbe generare un qualche tipo di “previsioni di massima”. Ci stiamo chiedendo, insomma, se lo “stato del sistema” che osserviamo attualmente nel nostro pianeta (una globalizzazione degenerata e autocratica, guidata dall’alto per controllare le masse attraverso interventi a medio e lungo raggio, irrorati da potenti forme di controllo ideologico e di eliminazione del dissenso), non possa essere, in qualche modo, lo stato di sistemi analoghi, o di tutti i possibili sistemi che presentano condizioni iniziali del tutto simili. E’ come se, pensando ai guai di casa nostra, ci rendessimo improvvisamente conto che questo nostro tragico decorso della Storia potesse nascere da condizioni teoricamente ritrovabili altrove. I mondi che non presentassero queste condizioni potrebbero non raggiungere uno stato simile al nostro (forse mondi più spirituali?). I sistemi sociali complessi sono caotici, densi di cambiamenti epifenomenici e di variabili multifattoriali: ciò è noto fin dai tempi degli “attrattori” di Edward Lorentz che negli anni Sessanta poneva, con l’effetto “farfalla”, le basi per la matematica frattale di Benoit Mandelbrot. Sappiamo che è ovviamente impossibile descrivere i sistemi complessi linearmente, cioè con i metodi della dinamica classica, perché essi rimangono altamente imprevedibili nel tempo. Ma sappiamo anche che i sistemi stocastici, proprio come la legge dei grandi attrattori di Lorentz, manifestano macroandamenti chiaramente osservabili, che risultano come somma di enormi quantità di microeventi casuali (la stessa curva di Gauss, cioè di qualsiasi distribuzione normale, ce lo dimostra: qui l’attrattore è il valore medio e l’ampiezza della oscillazione è la varianza). Se teniamo conto, quindi, della “legge dei grandi numeri”, possiamo fantasticare sulla esistenza di una scienza universale, in grado di descrivere i processi storico-sociali, in maniera “stocastica”? E’ il sogno di Frankenstein applicato alle scienze sociali, ma fu anche il programma degli studi di Ludwig von Bertalanffy, così come da lui dichiarato nel suo classico “Teoria generale dei Sistemi”, 1967 (“…acquista un senso il problema delle regolarità o delle leggi dei sistemi socio-culturali, anche se tutto questo non implica necessariamente l’inevitabilità storica”). Ma Isaac Asimov, che era un fisico, aveva immaginato, nella sua “trilogia galattica” (che non dovrebbe mai mancare nelle letture di ogni adolescente) proprio una scienza del genere, residuo prometeico del desiderio di arrivare a creare una scienza universale, paragonabile alla GUT (Grand Unified Theory) in Fisica. E’ così che nacque la sua Psicostoriografia. Un enorme insieme di osservazioni organizzate da intelligenza artificiale, in grado, fondendo Fisica, Storia, Psicologia e Sociologia, di generare una potentissima capacità previsionale, che anticipava gli eventi della Galassia di secoli. L’idea, paradossalmente, non era così peregrina: la prevedibilità totale dei sistemi rimane il sogno erotico nel cassetto degli scienziati di ogni disciplina e la Filosofia della Scienza, dalla Mathesis Universalis di G.W. Leibniz al Fisicalismo di Otto Neurath, alla Teoria della Circolazione delle èlites di Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca, ci testimonia innumerevoli tentativi di fondare una scienza universale per una descrizione “totale”. Accontentiamoci, allora, ispirati dalla genialità di Asimov, di tentare una possibile modellizzazione, sintetica – e necessariamente semplicistica – delle condizioni di partenza che renderebbero possibile la nascita di qualunque potere di élites dominanti, di qualunque “pianeta delle scimmie” si tratti. Gli ingredienti iniziali? Per cominciare, il “punto zero”: una comunità di caccia e raccolta di antropoidi dotati di sufficiente encefalizzazione e capacità di manipolazione di artefatti: piccoli gruppi sparsi su enormi territori che vivrebbero a “solidarietà meccanica”, cioè a bassi livelli di specializzazione dei ruoli ed ad alta sostituibilità degli individui. Il dominio dei maschi Alfa durerebbe poco, il turnover sarebbe continuo e l’accumulo privato di risorse durature impossibile. E’ lo stato di “Natura”, ma la comunità sovrasterebbe il singolo per semplici ragioni di sopravvivenza della specie. Con una successiva rivoluzione agraria, però, e grazie alla domesticazione di specie vegetali ed animali, nascerebbero centri autonomi di produzione e scambio di risorse, ruoli più specializzati, divisione del lavoro, forme di “solidarietà organica” (interdipendenza e meno facile sostituibilità degli individui specializzati). Questa prima complessità sociale porterebbe all’accumulo di risorse per singoli individui o classi. La prima forma di privatizzazione, sfruttamento e accumulo di risorse potrà essere di tipo fondiario (la terra) o basato su disponibilità rare. Su ogni pianeta con un ordine del genere potrebbe dunque nascere un sistema “feudale” fortemente gerarchizzato con una classe di aristocratici detentori della proprietà terriera o di beni rari e di forme stabili di ideologia, legate a qualche forma di religione giustificatrice della asimmetria sociale, elaborata per una massa stratificata di inferiori. All’interno stesso del sistema, però, dovranno prima o poi nascere classi che si saranno rese indipendenti da una proprietà fondiaria (o da risorse equivalenti già accumulate). Esse vivranno di produzione di altri tipi di beni e sullo sfruttamento della circolazione monetaria, un processo indispensabile per lo scambio. L’accumulo crescente di moneta da parte di questi nuovi ceti raggiungerà e poi supererà quello fondiario, o dei suoi equivalenti: dalla rivalità si dovrà passare necessariamente ad una forma di alleanza tra aristocrazia di beni immobili e aristocrazia “commerciale”, con appropriata e conveniente fusione delle rispettive ideologie. Quando la complessità sociale richiederà scambi più sofisticati, la moneta verrà utilizzata non più solo come mezzo di transazione, ma anche come strumento di debito da parte di coloro che ne avranno realizzato un primo monopolio. Si scoprirà necessariamente, prima o poi, di poter fare a meno di un sottostante monetario per l’emanazione di credito fiduciario e, in seguito, si comprenderà il legame di dipendenza che si istituisce tra creditore e debitore: nasce la creazione di moneta dal nulla contro interessi reali. A questo punto il gioco è fatto: il meccanismo del debito è un metodo scalabile, universale, applicabile nelle più diverse forme e nei più diversi contesti operativi, sia culturali (religioni della colpa) che sociali (moneta della colpa e sistemi di credenze alle regole “scientifiche”). Le classi detentrici del credito cominceranno la scalata sociale, penetrando nei più diversi settori. Esse, dotate di capacità monetaria pressochè illimitata, reinvestiranno, inizialmente, nella proprietà fondiaria (o equivalente), per bloccare qualsiasi possibilità concorrenziale di accumulo. Intanto istituiranno reti sociali familiari, generalmente di tipo patrilineare ed endogamico, per stabilizzare e estendere le forme di controllo. Grazie a queste reti interne di parentela potranno esse stesse produrre istituzioni sociali, cioè “edifici di concetti” che nel tempo si “reificano” venendo, cioè, percepiti dalle masse come veri e propri oggetti reali (tribunali, organizzazioni internazionali, fondazioni, università). Esse servono a garantire il loro diritto legale al monopolio: fungeranno da guardiani del sistema di dominio, costruito in tempi prevedibilmente brevi (dipende dal tipo di risorse del pianeta). Esse dovranno occupare il sistema educativo, per il controllo sociale interno e del linguaggio; militare, per il controllo sociale esterno o repressivo; giuridico, per il controllo normativo in tutti i settori di interesse strategico dei proprietari; scientifico, per il controllo e la selezione delle conoscenze permesse; mediatico, per il controllo del pensiero condiviso e per la gestione del consenso. Si potrà osservare una accelerazione esponenziale, della capacità di interconnessione di ogni settore monopolizzato dal ceto dominante e, inversamente, un andamento logaritmico della capacità delle masse di comprendere finalità e metodi di azione delle èlites dominanti. Scoperte scientifiche e tecnologia verrebbero rigidamente controllate e direzionate verso risultati che permettano il mantenimento di un sistema di “rendite di posizione”, vale a dire lo sfruttamento, da parte dei “rentiers” di posizioni di vantaggio sociale, che prevedano socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti. Ad un certo punto del processo, però, quasi tutte le posizioni conquistabili nel sistema sociale risulterebbero praticamente occupate: le finalità delle èlites dominanti potrebbero cambiare per indisponibilità di nuovi spazi fisici nei quali imporre il monopolio. Il dominio monetario, ed in seguito culturale e sociale acquisito nel tempo, potrebbe diventare un mezzo, da fine che era. Il mezzo potrebbe darsi un nuovo fine: non il controllo delle coscienze per acquisire e gestire monopolio, ma il controllo per il controllo, per il puro dominio. Ma il dominio, a questo punto, in un tale pianeta così compromesso, cesserebbe di essere meramente fisico per diventare “animico”, sublimando, cioè, in una forma completamente diversa dalle precedenti. Sarebbe prevedibilmente un dominio con finalità di sterminio per selezione eugenetica, di sfruttamento delle masse come di un motore energetico, di controllo capillare delle vite e delle emozioni, di vite rese cibernetiche dalla tecnologia di regime, inermi e inconsapevoli, vite di scarto o vite che, come tessere del sistema, lo tappezzano venendo a farne strutturalmente parte. Ecco, forse la Psicostoriografia di Asimov, curiosamente intrigante anche se impossibile, ci può servire per immaginare come ogni altro mondo di questo universo potrebbe potenzialmente cadere in un tale inarrestabile percorso di caduta della civiltà. Una caduta simile ai percorsi evolutivi delle forme viventi che il biologo di inizio Novecento Conrad Waddington chiamava “creodi”: percorsi obbligati di sviluppo cellulare, che però, a causa di piccoli cambiamenti casuali iniziali, possono mutare e creare strutture completamente diverse da quelle programmate. Forse altri mondi sono stati capaci di generare questi piccoli cambiamenti, perché era nella loro coscienza delle cose di farlo, e hanno potuto evitare di finire come noi. Potremo noi, forse, deviare ancora questo percorso, ora che sembra essere vicino al suo completamento?

 

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