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L’ASSEMBLEA DI ROMA E L’UNITÀ CHE S’HA DA FARE
Più di mille persone hanno partecipato all’Assemblea per un Fronte del Dissenso svoltasi ieri a Roma promossa dalla Marcia della Liberazione.
Questo successo si spiega per due ragioni essenziali. I promotori hanno solo saputo captare il vento delle proteste, raccogliendo la domanda che esso portava con sé, l’esigenza di far confluire i tanti rivoli in un unico fiume affinché straripi e rompa la compatibilità della “dittatura sanitaria”. Ma il successo è dipeso anzitutto dall’energia sprigionata dal movimento di protesta, dalla sua pur disordinata vivacità. E’ il capo della Polizia Lamberto Giannini che ce lo conferma: da gennaio a metà aprile ci sono state nel Paese più di 4.500 manifestazioni.
Un dato sorprendente che attesta che una nuova creatura sta venendo al mondo.
Alla situazione inedita e fino ad oggi sconosciuta, quella segnata dallo stato della paura e dell’emergenza, corrisponde infatti la nascita di un originale, inconsueto e screanzato movimento, che è sociale, culturale e politico allo stesso tempo. Non rassomiglia quindi a quelli del vecchio movimento operaio (cosiddetti movimenti sindacali di classe); né è simile ai single issue movement, andati per la maggiore nell’ultimo trentennio. Tantomeno segue le orme dei cosiddetti NIMBY — not in my back yard, ovvero “non nel mio cortile”.
Il nascituro viene infatti da un brutale parto cesareo voluto ed effettuato dalle stesse forze sistemiche. Appena nato esso deve già fare i conti con la sfida tutta strategica rappresentata dall’uso biopolitico della pandemia, tassello che sta dentro all’orizzonte del “Grande Reset”, dell’avvento di un regime capitalistico della tecno-sorveglianza, ideologicamente giustificato in nome del “progresso” e della divinizzazione della (loro) scienza.
In questo contesto nessun movimento di ribellione sociale può dirsi tale o acquisire dignità se non contesta alle fondamenta il sistema, le sue regole, la sua narrazione ideologica, le sue finalità.
Si addensano le nuvole che annunciano una grande tempesta sociale nel cuore dell’Occidente, lì dove le forze dominanti hanno deciso di giocare la partita del resettaggio sistemico, ovvero di giocarsi il tutto per tutto. Nessun errore è consentito a noi, ma nemmeno a loro. E loro, di errori, ne stanno già facendo, alimentando così il nascituro che potrebbe un domani divorarli.
Alla loro “distruzione creativa” la creatura oppone, a ben vedere, una conservazione creativa. Difendere e custodire ciò che resta di umanità sociale, di democrazie e di libertà è, oggi come oggi, un atto rivoluzionario. Come se dovessimo rovesciare lo slogan del ’68: “Siamo irrealisti, esigiamo il possibile!”.
Questo emergeva dall’assemblea di ieri. Si è trattato di una sinfonia della libertà. Non c’erano state prove generali per cui abbiamo avuto molti solisti, alcuni forse hanno steccato. Tuttavia ognuno, pur a suo modo, ha tentato di considerarsi parte del tutto, di eseguire se non proprio lo spartito, il refrain richiamato dal direttore d’orchestra: l’unità s’ha da fare!
Il prossimo passo è far nascere un Coordinamento generale delle lotte, il secondo una urgente, unitaria, concordata e davvero imponente mobilitazione nazionale e popolare.
Se son rose fioriranno, recita l’adagio.
A chi fa spallucce vale ricordare quanto scrisse un filosofo: “Non rinunciare a cogliere una rosa per timore che una spina ti punga”. Ci pungeremo, sappiamo che il nemico vorrà farci del male. Non ci sarà concesso indietreggiare, accetteremo ogni sacrificio per riprenderci la vita.
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