La crisi climatica è stata descritta come “una pandemia al rallentatore”. Entrambe infatti sono “invisibili” all’inizio. Entrambe riguardano l’intero pianeta e affliggono tutti, ma colpiscono le categorie più fragili con maggiore violenza. Per entrambe, le soluzioni coincidono con grandi cambiamenti su scala globale.
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Ma la crisi climatica, oltre una certa soglia, è irreversibile. Se superiamo il punto di non ritorno non esisterà un “vaccino” in grado di salvarci. Ogni anno avremo perdite annuali del PIL italiano crescenti, che raggiungeranno l’8% nel 2100 (come spiega il rapporto del Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici). Significa che rischieremo di avere ogni anno i danni economici che stiamo vivendo quest’anno a causa della pandemia! Ci troviamo quindi di fronte a un punto cruciale: non possiamo credere di risolverla continuando con il business as usual. Nonostante questo, i pacchetti di stimolo finora approvati dal nostro paese sono stati i peggiori in Europa dal punto di vista della transizione ecologica, e tra i quattro peggiori di tutto il G20 (insieme a USA, Giappone e Australia).
Tra sette anni avremo esaurito il budget di CO2 che ci dà il 67% di possibilità di limitare il surriscaldamento globale entro +1.5°C rispetto ai livelli preindustriali. La comunità scientifica ci dice chiaramente che un mondo più caldo di oltre 1.5 o 2°C mette a rischio le nostre stesse condizioni di vita, e neanche le migliori tecnologie ‒ che comunque non abbiamo ancora sviluppato ‒ potranno invertire i processi che si innescheranno. Nell’Accordo di Parigi vi siete impegnati a rispettare questo limite. Ma le emissioni stanno continuando ad aumentare, e la finestra di tempo che ci resta sta per chiudersi. Dobbiamo agire adesso se vogliamo avere una chance di risolverla. È questo il messaggio del Green Stimulus Index elaborato da Vivid Economics, che analizza in quale misura i pacchetti di stimolo post Covid dei vari paesi favorirebbero la transizione ecologica. Per l’Unione Europea il GSI è relativamente alto, intorno ai 40 punti. L’Italia però, tra i paesi analizzati, è quello con le performance peggiori. Il suo GSI è addirittura negativo: meno 16 punti, il peggiore in Europa e tra i peggiori di tutti i paesi del G20 (insieme a Giappone, Australia e USA).
Questa situazione vergognosa deriva da tre aspetti: non sono stati finanziati i settori di ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie sostenibili; non si è investito nelle Nature-based Climate Solutions (“Soluzioni basate sulla natura”); si è concesso un salvataggio ad Alitalia senza condizionalità sulla decarbonizzazione Le uniche eccezioni sono l’Ecobonus al 110% e gli incentivi ai piccoli Comuni per l’efficientamento energetico, nel Decreto Crescita (qualche decina di milioni). Briciole .
L’Italia con i suoi piani di stimolo ha fatto poco o nulla. L’ultima occasione di invertire la rotta è data dal Next Generation EU (che in Italia ci ostiniamo a chiamare Recovery Fund): a livello europeo il 37% dei fondi sarà destinato alla transizione ecologica. Ma i primi progetti che trapelano sono la rappresentazione più classica del business as usual. Eni avrebbe chiesto 12 miliardi di euro per la realizzazione dell’impianto di stoccaggio di CO2 a Ravenna, nel mar Adriatico, per produrre idrogeno blu (cioè da fonte fossile). Il ministero dei Trasporti sembra intenzionato a chiedere diversi miliardi per completare o costruire nuove autostrade. Ad alcuni territori potrebbe anche essere accordata una corsia preferenziale nell’uso dei fondi europei per realizzare inceneritori. Non possiamo continuare così: investire nel fossile non solo non è più accettabile, ma non è nemmeno economicamente vantaggioso! Per dare all’Italia una strategia chiara verso la decarbonizzazione, sarà fondamentale rivedere gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, ad oggi ampiamente insufficienti, attribuendo a questo strumento risorse e norme finalizzate alla conversione verso il 100% di energia rinnovabile. Così come bisogna specificare meglio i pilastri del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che per ora parlano solo di una vaga “rivoluzione verde” : oltre al fatto che “verde” non significa nulla di per sé, essi vanno spesso nella direzione opposta, continuando a garantire finanziamenti ad opere e infrastrutture che non hanno nulla a che vedere con la mitigazione delle emissioni.
7 punti che non devono mancare
La nostra campagna Ritorno al Futuro condivide molti degli obiettivi proposti da importanti associazioni italiane (Legambiente, Kyoto Club, Forum Disuguaglianze e Diversità, tra le altre). Abbiamo individuato sette proposte imprescindibili, senza le quali nessun Next Generation EU potrà definirsi davvero tale.
- Fonti rinnovabili: i finanziamenti del Recovery Fund vanno utilizzati per realizzare impianti eolici offshore e solari a terra in aree dismesse, comunità energetiche e autoproduzione da fonti rinnovabili. Bisogna eliminare i 18 miliardi annui di sussidi ambientalmente dannosi e approvare una carbon tax i cui proventi vengano utilizzati in ottica redistributiva. L’obiettivo dev’essere arrivare a 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030.
- Consumi energetici: ridurre del 50% i consumi energetici del patrimonio edilizio pubblico e privato. Accelerare gli interventi di efficienza energetica su scuole, ospedali, uffici pubblici, edilizia sociale; semplificazione amministrativa degli interventi di riqualificazione energetica e sostituzione di edifici con prestazioni di Classe A.
- Mobilità sostenibile: finanziare l’elettrificazione delle linee ferroviarie per il trasporto di merci e persone; rilanciare le infrastrutture di mobilità sostenibile (trasporto pubblico, sharing, colonnine di ricarica) nelle aree urbane. Entro il 2030 ecco le grandi opere che proponiamo: 200 km di metropolitane, 250 km di servizi tramviari metropolitani, 5.000 km di percorsi ciclabili e nessuna infrastruttura stradale che sia in competizione con queste per il trasporto di merci e persone.
- Riconversione industriale: investire nei settori industriali strategici della decarbonizzazione con priorità ad automotive elettrico per la mobilità pubblica, batterie, idrogeno verde, elettrificazione e digitalizzazione dei porti e del trasporto pubblico locale.
- Adattamento al clima dei territori: finanziare piani e interventi di adattamento climatico nei territori idrogeologicamente vulnerabili. Rafforzare le attività di monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici. Concludere il piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico.
- Diamo sostegno alla ricerca pubblica e privata per nuovi prodotti e produzioni bio circolari, destinando posti di lavoro riservati e garantendo il sostegno alla specializzazione dei giovani. Parallelamente, dobbiamo ridurre i ritardi e i divari digitali che ostacolano l’affermazione di attività economiche e comportamenti sostenibili.
- Rafforzare il modello agroecologico: incentivare la transizione a un modello agricolo che non alteri il clima, che valorizzi le risorse locali (filiera corta) e il biologico e qualifichi l’agricoltura integrata, promuovendo inoltre stili alimentari a base vegetale. Bisogna invece disincentivare l’importazione di prodotti responsabili di deforestazione. L’Italia deve quindi porsi obiettivi più ambiziosi di quelli della Politica Agricola Comune europea.
Il Next Generation EU delineerà il futuro dei prossimi 70 anni: non può essere scritto solo da chi oggi ha 70 anni. Saranno i giovani a subire le peggiori conseguenze della crisi climatica causata dall’inazione della politica, e per questo è nostro diritto essere inclusi nella stesura del piano. Inserire la parola “green” nel Recovery Plan non significa agire per il clima. Non ci importa quante volte la ripetete. Ciò che ci importa è vedere degli obiettivi chiari, e che vengano raggiunti. D’altronde, quando noi studenti facciamo un esame, non ci viene chiesto quante ore abbiamo passato sui libri, ma di dimostrare che abbiamo raggiunto dei risultati e appreso gli argomenti.
Il tempo sta scadendo. Questa è la nostra ultima possibilità. Tutto il resto è propaganda.
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