IL VOTO D’OLTRALPE – Nel programma indicano giustizia sociale, economia keynesiana espansiva e tassazione progressiva. Il pressing ora è su socialisti e Verdi, per spaccarli e annullarli.
(BARBARA SPINELLI – ilfattoquotidiano.it)
Le desistenze del secondo turno hanno visto il ritiro sistematico dei candidati di sinistra a favore di quelli del centro-destra in grado di battere Bardella, lì dove restavano in lizza tre candidati. In buona parte si sono ritirati anche i centristi, malgrado il disgusto che tuttora provano per Mélenchon.
Nonostante le profezie del centrismo macroniano sulla fine della dialettica destra-sinistra, la contrapposizione riaffiora e la sinistra è premiata. Non con forza sufficiente tuttavia, dal momento che il Nuovo Fronte Popolare è molto lontano dalla maggioranza assoluta (182 parlamentari invece di 289) e perché il peso del centro destra resta notevole. Insieme, ex Macroniani e Repubblicani sono più forti delle sinistre.
Diciamo ex macroniani perché sciogliendo l’Assemblea Macron ha dissolto anche sé stesso. Credeva di restare chiave di volta del sistema politico e invece i più importanti dirigenti del suo raggruppamento hanno preso le distanze da lui, nella campagna elettorale e ancor più domenica sera. In prima linea si sono dissociati il Premier Gabriel Attal e l’ex Premier Édouard Philippe, che da tempo si era chiamato fuori: entrambi hanno annunciato domenica una “nuova era” più democratica, e si sono presentati come leader non ancora ufficiali di un radicale cambiamento della Quinta Repubblica, destinato a spostare il baricentro della vita politica dall’Eliseo al Parlamento. È una battaglia condotta negli ultimi anni da Mélenchon. È nell’Assemblea che tocca ora cercare maggioranze più o meno fluttuanti, restituendo ai parlamentari un potere che De Gaulle aveva drasticamente ridotto nel 1958. Fenomeno non nuovo: si parla di maggioranza presidenziale perduta ma è dalle legislative del 2022 che Macron ha una maggioranza relativa, e che si è abituato a stringere ripetuti patti con le destre, specie sulla migrazione.
Per la quarta volta dunque, negli ultimi ventidue anni, l’estrema destra è bloccata quando è sul punto di prendere il potere. È accaduto nel 2002, quando Jean-Marie Le Pen sorpassò al primo turno i socialisti e fu battuto al secondo da Jacques Chirac, che nel duello finale raccolse l’82,2% dei voti pur avendo ottenuto il 19,8% al primo turno. Seguirono altri due sorpassi, quando Macron fu eletto Presidente nel 2017 e nel 2022, grazie alle desistenze delle sinistre. Nel 2022 i francesi lo detestavano più che mai, e infatti gli diedero alle legislative una maggioranza relativa. Nonostante questo respinsero Le Pen figlia. La loro incaponita resistenza continua ed è qui la singolarità della Francia.
Logica parlamentare vorrebbe che sia il Fronte Popolare, primo gruppo, a proporre il Premier all’Eliseo. Che governi con il suo programma e magari con una provvisoria maggioranza relativa, come Macron dopo il 2022. E logica vorrebbe che il candidato a Primo Ministro provenga dalla Francia Indomita, che a sinistra arriva prima malgrado il rafforzamento di Socialisti e Verdi. Ma Macron prende tempo: ieri ha respinto le dimissioni del Premier Attal. In parte perché incombono le Olimpiadi, in parte perché vuol osservare quel che accade nelle sinistre e punta al loro sfaldamento, nel desiderio di evitare il governo con gli Indomiti di Mélenchon. Quel che vuol vedere è se Socialisti e Verdi prenderanno le distanze dal Fronte e da un programma che l’Eliseo e il centro destra esecrano, perché imperniato sulla giustizia sociale, l’economia keynesiana espansiva, la tassazione finalmente progressiva, le imposte sui redditi alti e sulle corporazioni che più hanno profittato del Covid e della crisi inflazionista.
Per il momento l’unità delle sinistre regge, pur scricchiolando molto. Difficilissimo, dopo una vittoria simile, dire ai francesi che è stato tutto un bluff, che il programma di giustizia sociale e di non discriminazioni per cui hanno votato si sfalda il giorno dopo, e che ricominciano da capo le divisioni e gli intrallazzi. Ma nell’area di Socialisti e Verdi riaffiora una sorta di libido autodistruttiva, che si esprime nel desiderio di rompere con la sinistra radicale e di adottare il punto di vista che domina all’Eliseo e in tutte le reti Tv, secondo cui Mélenchon e i suoi parlamentari rappresentano l’ “estrema sinistra”. Così viene chiamata oggi la sinistra che non si rinnega: estremista, e se non basta si affibbia il marchio infamante dell’antisemitismo, che già emarginò Jeremy Corbyn in Gran Bretagna.
Negli ultimi giorni si sono avute alcune avvisaglie di regolamenti dei conti a sinistra. Prima ancora di affrontare il secondo turno, alcuni esponenti del Fronte Popolare hanno fatto capire che con Mélenchon non si governa (l’ex Presidente François Hollande, l’eurodeputato Raphael Glucksmann che ha provato a rovinare il secondo turno dicendo che Mélenchon “è un enorme problema” per la sinistra). Non è chiaro quale sia il loro peso effettivo. Dar vita a una coalizione senza la France Insoumise, con Macronisti e destra dei Repubblicani, è un formidabile azzardo. Mélenchon sarebbe solo a opporsi, e a incarnare il tradito Fronte Popolare.
Altra singolarità francese: gli elettori non si sono limitati a sorprendere, affluendo massicciamente alle urne e salutando la sinistra vittoriosa con imponenti manifestazioni di sollievo e gioia, non solo a Parigi. Hanno sconfitto l’estrema destra, scalfito spettacolarmente il potere di Macron, e screditato gli istituti di sondaggio e soprattutto la stampa scritta e audiovisiva, che per settimane ha fatto disinformazione – continua a farlo – bollando Mélenchon e il suo partito di antisemitismo, estremismo e anti-repubblicanesimo.
Uno schieramento simile disinforma anche in Italia. Il Tg della Sette, per esempio, diceva spensieratamente, sabato, che le elezioni francesi sono “importanti anche per l’Europa, i mercati e gli imprenditori”, fingendo di dimenticare che in democrazia esiste un popolo elettore un po’ più ampio. Questo rivelano le elezioni in Francia, come hanno già hanno rivelato in Italia: i cittadini non sono rappresentati dalla classe politica e lo sono ancor meno dal potere mediatico/industriale, che tranne qualche eccezione pare occuparsi solo di mercati, imprenditori e padroni della stampa. La differenza tra Francia e Italia è che la prima va a votare in massa, mentre la seconda ancora fugge nell’astensione.
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