Il nuovo – mite – presidente giura mentre l’Occidente fa finta di non sapere che a comandare è la Guida Suprema Khamenei che ha saldato l’alleanza con Cina e Russia, spinge sul nucleare e combatte Israele per procura.
(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it)
L’ultima illusione dell’Occidente sulla scacchiera del Vicino Oriente si chiama Massud Pezeshkian. Il nuovo presidente iraniano che ha giurato ieri dopo aver vinto, a sorpresa, le elezioni battendo il candidato degli zeloti del regime teocratico ed esser stato “benedetto” da Khamenei, ha tutto per alimentare le speranze degli ottimisti: è un medico, categoria professionale per definizione mitissima (anche se l’oculista Bashar Assad…), tipo semplice, alla mano, a decifrarne le caute dichiarazioni programmatiche, disponibile per riprendere le trattative sul nucleare e alleggerire la feroce legislazione che impone obbligatorie “virtù” islamiche. Insomma un vegetariano in un regime di cannibali.
Alla fine del secolo scorso, nel tempo breve della supremazia mondiale americana caratterizzata dalla rapidità con cui si era imposta e dalla sua dimensione planetaria, gli strateghi di questo dominio, allo scopo di renderlo duraturo, raccomandavano: impedite per evitare angustie che si saldino in una alleanza di interessi nefasti tre soggetti altamente pericolosi, Cina, Russia e Iran. Nonostante gli aspetti grossolani del dominio americano si poteva tenere a bada e sfruttare senza palpiti un mondo formato da una congerie di società inquiete, ribelli, ma instabili e impotenti perché non dotate di una più ampia visione e di mezzi sufficienti per scardinare le regole del Padrone. I tormenti potevano venire dalla santa alleanza di un ex impero umiliato seppure in rovina, di una economia esplosiva che univa l’autocrazia marxista e il capitalismo predatore, e un Paese più piccolo dal punto di vista territoriale ma dotato di una arma di incommensurabile potenza, Dio, arruolato in politica interna e internazionale con incredibile efficacia nell’attivare deliri marasmatici.
Trent’anni di politica stracca, presuntuosa e inetta hanno realizzato quell’accorto vaticinio, ovvero una alleanza di interessi via via più salda tra i tre sommi perturbatori della politica internazionale, legati da un tenace e rancoroso e produttivo anti americanismo. Il guaio Iran, a causa di Gaza e Libano, fa ora capolino dopo un letargico disinteresse americano, a cui sembravano troppi i rompicapi di Ucraina e Cina. A parte le deprecazioni rituali per i delitti repressivi e contro la condizione femminile, liquidato da Trump nel 2018 il fragile accordo sul nucleare, dai “think tank” più ganzi del pianeta abbiamo riascoltato tutte le vecchie sciocchezze, che credevamo scomparse, di quando l’Occidente ha di fronte regimi tirannici: i figli dei sanculotti di Khomeini ormai studiano in America e guidano la Porsche, a poco a poco le sanzioni ammansiranno i mandarini di questa nuova élite accaparratrice che non vuole rinunciare a lussi e privilegi. La democrazia come sviluppo di una dinamica interna legata al conto in banca! Son ragionamenti che inteneriscono come il vecchio Rosolio con cui si curava ogni malanno. Siamo sempre alla ricerca di un “brav’uomo” a cui affidarci: Saddam all’inizio, non era un brav’uomo? E Bashar che galantuomo prestato alla politica…, e Putin, suvvia… un partner perfetto. E adesso Pezeshkian… Vedrete che…
Intanto il riformista incontra con chiacchierata intimità le sulfuree pedine della cintura di fuoco che crepita attorno a Israele, il leader di Hamas Haniyeh, il vice di Hezbollah, Qassem, il segretario della jihad palestinese Al-Nakhalah, e il portavoce dei molestissimi houthi yemeniti Abdul-Salam. Lo slogan l’ha dettato Khamenei: «Oggi la bandiera dell’Islam è nella mani dei palestinesi e del popolo di Gaza».
Da trecento giorni la strategia iraniana per procura funziona: l’esercito israeliano è umiliato a Gaza; se Netanyahu scatenerà una tempesta a Nord in Libano Hezbollah ha i mezzi per imporgli sacrifici ancora più severi che nel 2006 quando in 34 giorni subì un centinaio di morti, 1.200 feriti e una umiliazione indimenticabile. Con i missili made in Iran è in grado di desertificare la fascia settentrionale di Israele. Molti di coloro che vivevano qui a poco a poco si rassegneranno ad emigrare: Israele che muore per lenta anemia, per le divisioni interne scatenate dalla insicurezza e da una vittoria che non arriva più, per la crisi economica che accompagna sempre una guerra senza fine. Come verbalizziamo tutto questo a futura memoria? Ecco: una guerra ibrida.
Intanto scorre un orologio che non concede rinvii: quello che scandisce le quote di arricchimento dell’uranio nei siti di Natanz e Fordow. Ai moniti della Agenzia internazionale dell’energia Teheran ha risposto come al solito, accelerando. Sarebbe ormai vicino alla soglia del sessanta per cento, quella dell’utilizzo militare. Nel 2018 gli affaccendati alchimisti dell’Apocalisse iraniana avevano bisogno di dodici mesi per produrre il materiale fissile, oggi pare siano sufficienti dodici giorni. Quando l’orologio avrà completato il suo giro Teheran sarà intoccabile.
L’America ha oscillato tra due possibilità senza scegliere: colpire il regime innescando, forse, una rivolta della società, ed è quanto da sempre invoca lo Stato ebraico di cui l’Iran è la vera ossessione. Oppure trattare, pagando il prezzo di stringer mani imbarazzanti. Al regime l’isolamento internazionale, esser affiancato a Russia, Corea del Nord e Siria, può servire politicamente, alimenta la psicosi dell’assedio del Grande Satana. Ma non un isolamento davvero totale. Questo a certe condizioni può indurli a negoziare. Una via che si può seguire. Sapendo però che loro esigono di poter decidere le regole per i contatti con il mondo, non farsele dettare da noi. In fondo è questo il punto chiave anche negli altri ecumenici conflitti con la Russia e la Cina. A Washington chi lo accetterà?
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