Intervista a Morris Pearl, ex managing director di BlackRock, dal 2014 presidente dei Patriotic Millionaires.
ilfattoquotidiano.it Chiara Brusini
Chi sono i Patriotic Millionaires e cosa vogliono?
Siamo un gruppo di 200 milionari americani – investitori,
imprenditori, manager, ereditieri, avvocati – profondamente preoccupati
per i livelli estremi di disuguaglianza economica e politica negli Stati
Uniti e nel mondo. La nostra missione è costruire un Paese prospero con
un sistema fiscale equo che tassi di più le persone ricche come noi, un
salario dignitoso garantito per tutti i lavoratori e una rappresentanza politica equa per tutti i cittadini.
Qual è la logica dietro queste richieste?
Ci sono ricerche che mostrano come alti livelli di disuguaglianza di reddito siano associati a minore aspettativa di vita, peggiori tassi di alfabetizzazione, incidenza maggiore della mortalità infantile, più omicidi,
più persone in carcere, più gravidanze in adolescenza. Negli Stati
Uniti, in corrispondenza con la crescita delle disuguaglianze sono
aumentati anche i “decessi per disperazione” causati da suicidi, alcol e
droghe. Non solo: più disuguaglianza va di pari passo con minori
prospettive di mobilità sociale nel corso della vita e nel passaggio da
una generazione a quella successiva. Infine, c’è un collegamento tra
ricchezza estrema e degrado ecologico: secondo un rapporto di Oxfam l’1% più ricco dell’umanità produce la stessa quantità di emissioni del 66% più povero.
Che impatto ha invece la disuguaglianza sulla crescita economica?
La danneggia. Non è sorprendente, visto che l’economia Usa è
guidata per oltre due terzi dalla spesa per consumi. Con alti livelli di
disuguaglianza, più reddito tende a trasferirsi dalle famiglie in fondo
alla piramide economica (che hanno maggiore propensione a spendere) a
quelle al vertice, più propense a risparmiare. In un’economia trainata
dai consumi, questo riduce la crescita. Ne deriva, tra l’altro, che è
nel diretto interesse del nostro gruppo – molti dei nostri membri sono
imprenditori – che i lavoratori abbiano un salario dignitoso. Da un
sondaggio di Survation condotto nel dicembre 2023 per i Patriotic
Millionaires tra 2.385 milionari nei paesi del G20 è
emerso che il 70% pensa che l’economia sarebbe più florida se
aumentassimo il prelievo sulla ricchezza estrema per investire in
servizi pubblici e infrastrutture.
Quanti tra i milionari partecipanti al sondaggio sarebbero favorevoli a essere tassati di più?
Il 75% sostiene l’introduzione di una patrimoniale del 2% sui
miliardari e il 58% anche sulle persone che hanno patrimoni superiori ai
10 milioni di dollari. Un altro sondaggio di YouGov condotto tra maggio
e giugno solo tra i milionari americani ha mostrato che il 63% concorda
con un’imposta del 2% a carico delle famiglie con più di 100 milioni di
dollari di ricchezza.
Più della metà di quanti hanno risposto pensa che la
ricchezza estrema e l’aumento della disuguaglianza siano una minaccia
per la democrazia. Per quale motivo?
Perché danno a persone ricche come me troppo potere di
condizionamento del nostro sistema politico attraverso il finanziamento
delle campagne elettorali. Quest’anno, 50 famiglie di miliardari hanno finora donato 600 milioni di dollari
a partiti politici e comitati di azione politica (Pac e Super Pac).
Alle elezioni di metà mandato del 2022, per la prima volta nella storia i
miliardari hanno donato oltre 1 miliardo di dollari. E
un dollaro su 9 tra quelli elargiti allora proveniva da meno di 500
miliardari. Enormi somme che influenzano pesantemente il successo dei
candidati. Una volta che il “loro” candidato ha vinto, i donatori
possono esercitare la propria influenza sul processo legislativo. Il
risultato è un sistema in cui le politiche pubbliche rispondono agli
interessi e alle preferenze delle persone più ricche. Come disse il
giudice della Corte suprema Louis Brandeis, morto nel 1941, “possiamo avere la democrazia o grande ricchezza concentrata nelle mani di pochi, ma non possiamo avere entrambe“.
Quanto conta questa influenza da parte dei più ricchi nel determinare le politiche fiscali?
Posso partire dalla mia esperienza diretta. I politici passano
così tanto tempo a parlare con i loro grandi donatori, come me, che
finiscono per avere una percezione molto distorta di quali siano i
principali problemi degli americani. Un esempio: se i donatori sono
preoccupati di perdere una certa agevolazione fiscale, i politici ne
sentiranno parlare continuamente e passeranno tempo a occuparsi di
quello, nonostante la maggior parte dei loro elettori non sappia neanche
dell’esistenza di quella norma. Il Tax Cuts and Jobs Act del 2017 – uno dei più distintivi interventi legislativi di Trump, che ha concesso enormi risparmi fiscali ai ricchi e
alle aziende – era impopolare, ma i repubblicani lo hanno comunque
approvato. Ora, Trump ha detto che vuole estendere quelle norme, ed è
una delle ragioni principali per cui molti donatori miliardari lo hanno
sostenuto pubblicamente.
La filantropia e le donazioni sono un’alternativa valida a una tassazione più equa e progressiva?
No. La filantropia non può fare quello che può fare un governo
per risolvere problemi nazionali o locali. Non può progettare e
costruire sistemi di trasporto pubblico, gestire una strategia di vaccinazione
contro il Covid o garantire che le persone con un lavoro a tempo pieno
guadagnino abbastanza per sopravvivere. Nella mia esperienza, le persone
ricche sono molto più propense a donare per costruire sale da concerto o
centri accademici nelle università della Ivy League
piuttosto che impianti di trattamento delle acque reflue o scuole per
bambini a basso reddito, che sono ovviamente molto più importanti. La
filantropia è una scelta, le tasse non dovrebbero esserlo.
Lei ha lavorato per molti anni nel settore degli
investimenti, da ultimo in BlackRock. Quando e perché ha deciso di fare
il salto?
Nel 2013, mentre ero ancora a BlackRock. Facevo parte di un gruppo che doveva valutare il costo per governi dei salvataggi bancari seguiti alla crisi finanziaria del 2008. Uno dei miei clienti era il governo greco.
Un giorno ho partecipato a una riunione all’ultimo piano di una banca
ad Atene. A un certo punto della riunione, mi sono avvicinato a una
finestra per mangiare il secondo budino al cioccolato
che avevo preso dal buffet dei dessert. Quando ho guardato fuori, ho
visto un gruppo di manifestanti arrabbiati che andavano verso il
Parlamento. È stato un momento decisivo, mi sono chiesto: sto facendo
qualcosa per quelle persone disperate per strada? La risposta era no. Ho
deciso di lasciare il mio lavoro, diventare presidente dei Patriotic
Millionaires e dedicare il mio tempo a cambiare il nostro sistema
fiscale a beneficio dei lavoratori.
Il G20 Finanze che inizia giovedì a Rio discuterà la proposta della presidenza brasiliana del G20 di una tassa minima globale sugli ultra-ricchi. È il momento giusto per un primo accordo o è troppo presto?
Non sarà mai troppo presto. Voglio l’equità fiscale qui in
America, ma non sono così ingenuo da pensare che possiamo arrivarci
senza il coinvolgimento di altri Paesi. Gli ultra-ricchi possono
spostare capitali in giurisdizioni a bassa tassazione con incredibile
facilità. Se i Paesi si accordano su una tassa minima coordinata come ha
proposto la presidenza brasiliana del G20 – e l’economista Gabriel Zucman ha spiegato come potrebbe funzionare
– si può mettere fine a questa “corsa verso il basso” e garantire che i
ricchi paghino la loro giusta quota di tasse. Se vogliamo garantire
stabilità alle nostre economie e democrazie, ne abbiamo bisogno ora.
La Segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen di recente si è
espressa contro una tassa globale sui miliardari. Eppure sia lei sia il
presidente Biden sostengono forti aumenti delle tasse sui redditi elevati
e una tassa minima sui guadagni in conto capitale non realizzati. Pensa
che l’amministrazione Usa alla fine appoggerà la proposta di Lula?
Spero sinceramente che lo facciano. A maggio Yellen ha
dichiarato che la sua principale obiezione riguardava la redistribuzione
globale del gettito. Ma Zucman e l’Osservatorio fiscale europeo che
dirige, nel rapporto preparato su richiesta del governo brasiliano,
hanno chiarito che la tassa proposta dal Brasile non la prevede. Quindi
credo non abbia motivo per essere contraria. Se lei e Biden vogliono che
i super ricchi paghino la loro giusta quota di tasse, gli Usa devono
lavorare insieme agli altri Paesi. Non possiamo farlo da soli.
Dopo l’attentato nei suoi confronti, le chance di vittoria di
Trump sembrano essere aumentate, anche se il passaggio di testimone da
Biden a Kamala Harris potrebbe invertire la tendenza. Che tipo di
politiche fiscali si aspetta se Trump tornerà alla Casa Bianca e i
Repubblicani avranno il controllo del Congresso?
Non c’è bisogno di tirare a indovinare. Ce l’hanno detto con il Project 2025,
il documento di 920 pagine preparato da un gruppo di organizzazioni non
profit conservatrici: una guida politica per il prossimo presidente
repubblicano. Chiede cambiamenti radicali in quasi ogni area della vita
americana, incluso il codice fiscale. Taglio delle imposte sulle
società, sulle plusvalenze e sui dividendi, passaggio a sole due aliquote fiscali sul reddito, abrogazione dell’Inflation Reduction Act
dei Democratici, meno tasse su successioni e donazioni, congelamento
dei finanziamenti all’Internal Revenue Service (l’agenzia delle Entrate
statunitense). Trump ha cercato di prendere le distanze dal Project
2025, ma è difficile credere che non sia a favore di quelle politiche,
considerato che il piano è stato scritto da molti funzionari della sua
passata amministrazione. Ciò che sappiamo per certo è che ha tutta
l’intenzione di prorogare molte disposizioni del suo Tax Cuts and Jobs
Act che scadranno alla fine del 2025. Sarebbe un disastro:
miliardi in agevolazioni fiscali a persone ricche come me e il resto
dei Patriotic Millionaires, che non ne hanno bisogno né le meritano.
La tassa minima globale sui miliardari risponde agli stessi obiettivi dell’Iniziativa dei cittadini europei per un’imposta europea sui grandi patrimoni, sostenuta dalla raccolta firme La Grande Ricchezza promossa da Oxfam in partnership con Il Fatto (qui il link al sito da cui è possibile aderire).
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