Nel G20 dei ministri delle Finanze, conclusosi lo scorso 26 luglio a Rio de Janeiro, è stato trovato un accordo che da molti è già stato definito un traguardo storico. La dichiarazione finale ha infatti sancito un’intesa di massima per porre le basi di una più giusta tassazione sui supericchi.
La proposta era arrivata originariamente dal Brasile di Lula, che quest’anno presiede i vari colloqui del G20. In essa era stata abbozzata l’idea di una tassa del 2% sui patrimoni superiori a un miliardo di dollari, che avrebbe permesso di raccogliere un gettito stimato fino a 250 miliardi di dollari all’anno da 3.000 individui.
Nel testo finale viene messa nero su bianco la volontà che i miliardari “paghino la loro giusta parte di imposte“, con una formula fondata su un complesso equilibrio tra la sovranità nazionale e una maggiore cooperazione sull’elusione fiscale. Anche quest’ultima, così come l’evasione, è stata posta come elemento da contrastare nelle future politiche sulla tassazione.
Il riferimento alla patrimoniale per i supericchi rimane però ancora piuttosto generico. “Quello iniziato oggi è un processo più ampio che richiederà la partecipazione del mondo accademico, degli studiosi e delle organizzazioni internazionali con esperienza e tempo a disposizione, come l’OCSE e l’ONU“, ha dichiarato il ministro delle Finanze brasiliano, Fernando Haddad.
Proprio intorno a questi due organismi è stato posto uno degli ostacoli alla realizzazione di misure concrete. Brasile e Sud Africa (che seguirà Brasilia alla guida del G20) vorrebbero fosse l’ONU a stabilire i criteri della tassazione, mentre gli Stati Uniti – che si erano inizialmente opposti alla patrimoniale – vorrebbero fosse l’OCSE.
Il segretario al Tesoro USA, Janet Yellen, ha affermato che “la politica fiscale è molto difficile da coordinare a livello globale e non vediamo la necessità né pensiamo che sia auspicabile cercare di negoziare un accordo globale su questo tema. Pensiamo che tutti i paesi debbano assicurarsi che i loro sistemi fiscali siano equi e progressivi“.
In pratica Washington, che millanta in continuazione di essere pronta alla cooperazione per lo sviluppo, si tira indietro quando si tratta di far pagare ai ricchi una piccola parte del loro patrimonio. Questo sarà sicuramente un bastone di non piccole dimensioni tra le ruote della definizione di atti pratici.
La proposta ha però ricevuto l’approvazione di molti altri paesi, così come di varie associazioni. Tra di esse anche l’Oxfam, che in Italia ha pure lanciato una raccolta firme per l’introduzione di un’imposta europea sui grandi patrimoni.
Questa è stata seguita da un’analoga proposta costruita insieme ad altre organizzazioni a livello mondiale in occasione degli incontri di Rio, la quale ha già raggiunto un milione e mezzo di firme. Per l’occasione, l’Oxfam aveva preparato anche un interessante studio, reso pubblico qualche giorno dopo che il Brasile aveva presentato l’idea presentata di una tassa sui supericchi.
Nelle sue pagine si legge che l’1% più ricco del pianeta ha accumulato negli ultimi dieci anni 42 milioni di milioni di dollari, circa 34 volte la ricchezza accumulata nello stesso periodo dal 50% più povero. La ricchezza media accumulata dall’1% è di circa 400.000 dollari, quella del 50% più povero ammonta a 335 dollari.
A questa analisi è seguito anche un rapporto, lo scorso gennaio, in cui si mostrava come la maggior parte dei grandi ricchi si concentri in poche aree del mondo, e che le disparità sono destinate ad aumentare. Insomma, i dati di un sistema iniquo, costruito sull’iniquità e senza gli anticorpi e le intenzioni di invertire la rotta.
Per dare corpo all’intesa del G20 i paesi e le organizzazion interessate dovranno lottare.
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