mercoledì 10 luglio 2024

Alessandro Robecchi. Toh, madame Le Pen è un’“estremista”. Meloni invece no.

Non so (sono in ottima compagnia, non lo sa nessuno) chi governerà in Francia dopo le elezioni, e mi preparo come tutti alle evoluzioni, trattative, compromessi, offerte, controfferte, mediazioni, conciliazioni, pasticci, insomma allo spettacolo di arte varia di tradurre la volontà popolare in potere esecutivo.

 

(Alessandro Robecchi – ilfattoquotidiano.it)

Per ora, dunque, si può dire soltanto delle contorsioni che si vedono da qui, con la lente deformante della realtà italiana. Per esempio, la stralunata pattuglia di eterni innamorati del “centro”, che subito, dopo un nanosecondo dal primo exit poll, cantava vittoria per uno che ha perso 85 seggi e che vede aumentare a dismisura i seggi degli avversari. Gente in gamba, centristi, renzisti, eterni scippatori della parola “riformisti”, che vince le elezioni solo altrove, in Gran Bretagna, in Francia (anche se lì le perde, dettagli), ovunque tranne che in Italia, dove continuano a contare come il due di picche pur andando in giro tronfi come un asso di briscola.

Ma queste sono dinamiche psichiatriche, e va bene, ognuno è responsabile dei suoi surrealismi. Più interessante, mi pare, l’aspetto mediatico, cioè l’atteggiamento della grande stampa, la tv, i media in generale, ispirato a uno strano doppiopesismo fin nei titoli. Il Front National di madame Le Pen ha preso una sberla molto forte – hurrà! – e su questo sono più o meno tutti d’accordo, a parte ovviamente gli squinternati che vedono un passo indietro come l’inizio di una rincorsa. Ottimo: chi dice “Vinceremo la prossima volta” ammette in un suo modo paraculo e bizantino di aver perso, e perso male.

Continua a stupire, invece, un vezzo (un vizio?) della stampa italiana che gioisce sempre per le rivolte degli altri, per le vittorie degli altri, per le dimostrazioni di tenuta democratica degli altri, e quando (non) succede qui, invece, è molto più tiepida. Il caso di Le Pen, a ogni titolo, a ogni commento, a ogni inciso, definita “l’estrema destra” è illuminante. Le Pen non ha nulla di più estremo di Fratelli d’Italia, di Meloni che va a strillare da Vox, di suo cognato che parla di “sostituzione etnica” e di “invasione”. Però, mentre là, Le Pen è “estrema destra”, brutta, facciamo argine, pussa via, qui tutto è accettabile, e anzi piove una grandinata di “eccezionale”, “brava”, “talento”, e altre sesquipedali stupidaggini in omaggio al potere nuovo che arriva. Fino, è dibattito di ieri e l’altroieri, al patetico mea culpa di Bardella, che dice di aver sbagliato alcuni candidati, o di Marine Le Pen che frigna un po’: “Abbiamo dovuto trovare mille candidati in 48 ore”. Una piccola autocritica paracula e para-fascista, ma insomma, è già qualcosa. E così l’orribile destra francese stigmatizza la candidata con cappello della Lutwaffe (Ludivine Daoudi), o l’ammiratore di Hitler (Jonathan Rivière), o altri improbabili nostalgici ignoranti come la merda. Mentre qui, da noi, dove la destra è solo destra, e non “estrema”, uno che si vestiva da nazista è diventato viceministro (Galeazzo Bignami) e altri mille mila casi (saluti romani, sieg heil, apologie del Ventennio, insulti agli ebrei) sono derubricati a “ragazzate”, goliardia, cosa vuoi che sia. Uno strabismo bizzarro, per cui i protonazi francesi sono brutti e cattivi, mentre qui dobbiamo tenerceli, perché sennò Giorgia si imbizzarrisce e vuole “tutto il girato”. Da dove venga questa patologia, questa doppia morale, non si sa, andrebbe indagato per bene. Oppure si sa: chi comanda ha sempre ragione, ma con grandi e sapienti lezioni sulla democrazia.

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