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Alta tensione tra Mario Draghi e le principali sigle sindacali. Il Primo Ministro avrebbe infatti abbandonato il tavolo dei negoziati in vista della prossima legge di bilancio, decretando così la fumata nera delle trattative. Il nodo riguarderebbe in particolare le pensioni e i salari.
Il Governo tira dritto sull’abolizione di Quota 100
Il Governo Draghi avrebbe già tracciato la strada verso l’abbandono di Quota 100 e il ritorno graduale alla riforma Fornero. Si tratterebbe quindi di una manovra in senso restrittivi che allungherebbe l’età lavorativa, con ripercussioni sul ricambio generazionale del lavoro.
Le principali sigle sindacali contestano questa impostazione, condividendo così le posizioni della Lega e di Fratelli d’Italia, e annunciano la proclamazione di un prossimo sciopero nazionale.
L’impressione è tuttavia che il Governo non sia così predisposto al dialogo e abbia intenzione di tirare diritto, richiamandosi così al motto di mussolinana memoria. Finora infatti l’atteggiamento di Mario Draghi è sempre stato questo, come confermato da lui stesso: c’è un’agenda che non può aspettare.
I sindacati hanno perso tempo?
Così la presa di posizione dei sindacati appare piuttosto tardiva, rispetto ad un pericolo che sembrava essere nell’aria già da tempo. Nelle ultime settimane infatti il sindacato guidato da Landini è sembrato essere ipnotizzato dallo stesso Mario Draghi, accolto con tutti gli onori dopo l’assalto alla sede della CGIL.
E sempre Landini aveva utilizzato tutte le risorse del sindacato per organizzare una manifestazione contro il fascismo. E ora così i sindacati si ritrovano a dover correre ai ripari all’ultimo momento, quando il Governo sembra aver ormai già deciso.
E dalla prossima manovra di bilancia si comprende poi in maniera piuttosto chiara come il ritorno alla Fornero sia parte di un più ampio ritorno ai principi di austerità.
Il ritorno di Maastricht
Il rapporto deficit su PIL, che nel 2021 si è attestato al -9% verrà progressivamente ridotto, passando al 5,6% nel 2022, al 3,9% del 2023, per poi tornare nel 2024 al di sotto della soglia del 3% stabilita con il Trattato di Maastricht. In pratica nei prossimi 3 anni l’Italia ridurrà la propria spesa pubblica di oltre sei punti percentuali e questo succederà mentre la crisi economica dovuta alle chiusure imposte è ancora in corso.
Nello specifico tale riduzione del deficit, oltre a colpire le già citate pensioni, avrà un impatto anche sulla spesa sanitaria. A partire dal 2020 sembra infatti che il settore sanitario subirà una pesante riduzione degli investimenti, passando dal 7,5% del PIL del 2020, per poi ridursi al 6,1% del PIL nel 2024.
Un andamento che va in aperto contrasto con le intenzioni diffuse dagli esponenti di Governo, in particolare dal Ministro della Salute Roberto Speranza, circa l’importanza primaria che avrebbe il settore sanitario per vincere il Covid.
Se la spesa in questo settore viene ridimensionata ulteriormente, allora significa che il Governo ha altri obiettivi che vengono prima della fine dell’emergenza sanitaria. Sembrano quindi già finiti i tempi in cui Draghi auspicava la fine delle regole europee di austerità, un ripensamento durato lo spazio di un caffè mattutino. Pensioni e austerità saranno le prime vittime della nuova stagione di austerity.
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