Reddito di cittadinanza, i soldi alle imprese in cambio di lavoro precario. I beneficiari spinti a dire sì a ogni offerta, il bonus ai privati. Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, lo chiedeva da due anni.
(DI MARCO PALOMBI – Il Fatto Quotidiano)
La cosa era nell’aria, da ieri è ufficiale: i grillini, officiante Mario Draghi, provano a far fare la pace a Confindustria col Reddito di cittadinanza dando alle agenzie private un pezzo della torta, ricca specie con la partenza del Pnrr e delle politiche attive del lavoro.
Carlo Bonomi lo chiedeva da due anni buoni e l’idea del capo degli industriali ora è finita nelle proposte di modifica che il M5S si è intestato prima della manovra. Ieri mattina, la viceministra dell’Economia Laura Castelli, ancor prima del Consiglio dei ministri, ha annunciato alla deliziata platea di Asstel, l’associata di Confindustria per le telecomunicazioni, che “coinvolgiamo, nelle politiche attive, anche le agenzie private”.
Novità che risulta ancor più rilevante se connessa con altre due: “Interveniamo sulla computabilità del reddito da lavoro (in sostanza sarà più conveniente accettare anche lavori a termine) e introduciamo un décalage con l’obiettivo di dare una maggiore motivazione ad accettare le proposte”, cioè 5 euro in meno al mese se rifiuti la prima proposta di lavoro, tenendo presente che chi ne rifiuta due – e non tre com’è stato finora – perde il sussidio.
Si spera, se non altro, che la fanteria di complemento mediatica, ora che i soldi vanno dove volevano, la pianti con la storia della gente sul divano.
Il privato è invitato al banchetto delle politiche attive del lavoro, su cui l’Italia finora investiva circa 700 milioni di euro l’anno (meno della media Ue), ma su cui col Piano di ripresa convoglierà altri 4,4 miliardi di qui al 2026: torta a cui, a questo punto, va aggiunta una quota dei fondi destinati al Reddito di cittadinanza (circa 8,8 miliardi l’anno). È appena il caso di ricordare che, all’ultimo report Inps, l’aumento di occupazione post-Covid è quasi tutto imputabile ai contratti precari, in particolar modo stagionali (+68%) e in somministrazione (+34%). Adesso, insomma, le agenzie private come Adecco, Manpower, eccetera potranno mettere le mani su quel pezzo di risorse pubbliche dedicate ai lavori a competenza medio-bassa che finora era intermediata (male) soprattutto dallo Stato: il precedente di Garanzia Giovani non lascia ben sperare…Queste novità, peraltro, vanno di pari passo con la rinuncia a strutturare un potente e funzionante sistema di Centri per l’impiego pubblici, uno dei più straordinari fallimenti del federalismo all’italiana: a oggi le Regioni non hanno portato a termine neanche il 10% delle oltre 11mila assunzioni a cui sono autorizzate da più di due anni e i Centri occupano molto meno personale delle agenzie private (9.000 contro 12.000), un sesto degli omologhi francesi, un dodicesimo di quelli tedeschi e sono, di fatto, ignorati dalle imprese che offrono lavoro. In questo contesto non è senza effetti anche l’abbandono, certificato sempre nella manovra, a una riforma davvero universalistica degli ammortizzatori sociali che lascia decine di migliaia di persone senza copertura nel momento della disoccupazione e le avvia, se va bene, proprio al Reddito di cittadinanza, nuovo bacino statale del lavoro precario.
Le altre modifiche al sussidio voluto dai 5Stelle sono tutte dello stesso tenore punitivo: in sostanza più paletti all’ingresso e maggiori cause di esclusione. Chi sperava di veder corretti i due difetti più evidenti della norma – la penalizzazione dei percettori del Nord e delle famiglie numerose – avrà forse capito che a nessuno, governo in testa, interessava mettere mano ai difetti, ma solo evitare che il Rdc avesse l’effetto di far aumentare i salari al fondo della catena alimentare. E di far partecipare le imprese alla festa, ovviamente: ora non siamo più il Sussidistan.
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