domenica 31 ottobre 2021

Gli anatemi della maggioranza “repubblichina”

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Qualche giorno fa la Repubblica ci ha regalato un affresco sociale con elevate ambizioni letterarie, l’inchiesta condotta tra i no green pass, quindi, per logica conseguenza, no-vax, no scienza, no-progresso in una parola no-vita, avendo scelto una sospensione dell’esistenza quotidiana, dei suoi piaceri e  dei suoi obblighi, per trasformarsi in zombi le cui convinzioni, largamente irrazionali  hanno condannato “a cancellare dalla propria esistenza non solo il lavoro, ma anche i treni, gli aerei, la palestra, il cinema, i ristoranti al chiuso, la riunione con le maestre dentro la scuola, addirittura la vita sociale”.

I campioni esemplari citati dall’indagine vanno dal magistrato Angelo Giorgianni, sospeso da incarico e stipendio per aver auspicato in piazza “con Forza Nuova” (come tutti gli psicolabili di San Giovanni, ovvio) , “un processo di Norimberga” contro le autorità che hanno gestito criminalmente la pandemia,  alla ex vice questore Schirilò, anche lei rea di aver invitato alla disobbedienza civile contro il lasciapassare, dall’insegnante che tenacemente resiste attingendo ai magri risparmi, al medico di base anche lui  a casa insieme ad altri millecinquecento contrari al vaccino anti Covid, fino alla  giovane coppia che si è ritirata in campagna, instaurando un regime di festosa autarchia.

Sarebbero “un milione di lavoratori fantasmi”, secondo il quotidiano Gedi, una setta il cui motto è “resistere, Anche oltre la logica. Sentendosi eroici perché nemici del sentire comune. Convintissimi  testardamente delle proprie certezze  suffragate spesso da una lettura “alternativa” (mistificata per gli scienziati) di dati, ricerche, letalità dei vaccini e cure possibili “ostacolate da Big Pharma”, nel perenne sospetto che la pandemia nasca da un complotto globale”.

Insomma a animare la loro battaglia minoritaria, colpevole di destabilizzare il sistema, minare le fondamenta della democrazia che come è ormai è risaputo, consiste nel lasciar fare a chi sa, sarebbero oltre ad una indole sfrenatamente individualistica fino a rasentare la sociopatia, chissà  che ancestrali paure trascurabili e deplorabili rispetto al sacro terrore del virus, chissà quale primitiva avversione per il sapere, la conoscenza e le conquiste del Progresso.

E difatti i giornalisti investigativi che si sono infiltrati in questa consorteria che aborrisce agi, comodità, passatempi e consumi diventati inaccessibili a causa della loro scelta irresponsabile e dissennata, offrendo una estrema interpretazione di luddismo e decrescita, in un colpo solo infrangono idoli che ha anno ha contribuito a propagandare, incarnati da manager di successo che dopo aver scalato vette di reddito e prestigio di rifugiano, potendo, in una loro Arcadia felix, condannando gli incauti giornalisti che vanno a intervistarli a bere i loro mefitici vinelli o a gustare qualche stilla dell’olio di produzione casalinga, da ospiti irrinunciabili della Berlinguer che sputano a raffica le sentenze avvinazzate della “cultura contadina” che rifiuta la modernità, fatta salva la divinità televisiva che remunera le loro comparsate.

Perché la colpa non giustificabile di questa società troppo poco segreta è di venir meno a quel patto per la rinascita e la crescita, emblematicamente rappresentato dall’incrollabile alleanza governo-padronato con il contributo dei  sindacati che dopo qualche sussulto dimostrano di voler “smorzare” i toni e la forza delle agitazioni minacciate, riducendole a falsh mob, sfilate, convention a carattere locale. E, peggio ancora, la loro defezione con la diserzione dall’obbligo di consumare, dimostra che non vogliono collaborare alla ricostruzione, penalizzando attività colpite dall’emergenza sanitaria e sociale, case farmaceutiche e palestre, produttori di tamponi e pizzerie, apericene e fiere del libro.

Certo perfino la Repubblica tentenna, questo segmento di pubblico obnubilato dalla destra e da Latouche, infestato dal populismo più riottoso e dal sovranismo più cieco, qualche rischio lo corre, oltre a quello di contrarre il virus alla pari dei pluri-vaccinati, perché “la disobbedienza, com’è naturale che sia, ha un prezzo alto”.

In verità un prezzo alto lo pagano anche gli obbedienti, chiamati ad osservare regole che pare si protrarranno ben oltre la scadenza naturale di uno stato di emergenza ormai ingiustificabile se non dalla necessità di mantenere condizioni di eccezione che legittimano misure e autorità speciali, sanzioni e  censure, prevaricazioni e discriminazione, che continuano a sospendere diritti, retrocessi a elargizioni arbitrarie e che non garantiscono prerogative, dignità, accesso allo studio e al lavoro.

Ma tutto serve a alimentare diffidenza e a nutrire un risentito senso di superiorità morale rivendicata a monopolizzata da chi possiede e usa uno strumento che condiziona le libertà fondamentali, dall’inviolabilità del corpo al diritto al lavoro e allo studio, che detta i criteri di appartenenza alla società sulla base del rispetto di convenzioni e dell’osservanza di dogmi dettati da autorità tecniche che non possiedono le doverose caratteristiche di terzietà e indipendenza.

Così si usano accorgimenti e argomentazioni mediocri che hanno l’intento dichiarato di contribuire al processo di infantilizzazione del “pubblico”, scatenando pulsioni ataviche e timori primitivi, facendo regredire la qualità del confronto tra opinioni, già preliminarmente impari, con il ricorso a balordi paragoni  e a gerarchie incivili di valori e principi, effettuando una selezione dei portatori di verità che ripropone i termini della degenerazione tecnocratica della democrazia, che impone come dogmi fatali e incontestabili le opinioni e i pareri autoreferenziali dei “competenti” assoggettati e fedeli all’ideologia dominante.

Ne fa testo la guerra da burletta scatenata da intellettuali integrati, praticoni del pensiero comune e stizziti per l’altrui visibilità contro autorevoli apocalittici, colpevoli di eresia tanto da avere magari inconsapevolmente dato retta al monito di Marx: “finora i filosofi si sono occupati di interpretare il mondo, ora bisogna cambiarlo”. Dovrebbero farlo i pensatori e gli opinionisti che da anni vendono “pareri” in pillola a quotidiani, talkshow e aziende che contano sulla loro mediazione per sfruttare secondo standard più moderni e redditizi, ma dobbiamo farlo noi, che stiamo accorgendoci che l’arcadia del progresso è un tragico deserto.  

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