Cominciamo a dirlo forte e chiaro il 23 febbraio, partecipando al sit in organizzato davanti a Montecitorio. Partecipiamo in tanti, convinti. Facciamogli capire che non abbiamo dimenticato né la violenza del voto di fiducia sulla legge più odiata della storia della scuola italiana; né – tantomeno – la loro pervicace esibizione di noncuranza nei confronti di un risultato straordinario, quello del referendum costituzionale, al quale la scuola italiana ha consistentemente contribuito.
micromega m.boscaino
Le
elezioni sembrano essere vicine. Non pago dell’atto di prevaricazione
più violento subìto dalla scuola nel corso della sua storia –
l’approvazione della legge 107, la cosiddetta “Buona Scuola”, con voto
di fiducia, nell’estate del 2015 –, il governo Gentiloni ha approvato
quasi fuori tempo massimo 8 deleghe su 9 di quelle previste dalla legge
stessa, sulle quali si stanno in questo momento svolgendo le audizioni
di sindacati ed associazioni. “Si è
stabilito un rapporto di reciproco ascolto con tutte le componenti della
scuola”, ha affermato la ministra Fedeli. Fuffa mediatica, di cui
avremo riscontro quando, dopo la celebrazione del rito, ci renderemo
conto che i testi, esattamente come accadde ai tempi della legge,
rimarranno pressoché invariati. "Costruire il consenso sui cambiamenti è
il mio mandato", ha affermato a RaiNews24. "Penso di aver fatto una
scelta utile, quella di non buttare a mare le otto deleghe della buona
scuola perché lì ci sono scelte (sic!) qualificanti per l'istruzione ed
era importante salvare scelte (sic!) di innovazione". Utile a chi? c’è
da chiedersi. Utile esclusivamente al completamento dello scellerato
progetto renziano sulla scuola; quello – per intenderci – che persino
chi lo ha votato (Bersani) o chi non ha fatto nulla per contrastarlo,
dall’alto delle proprie rispettive tribune (D’Alema, Cacciari), cita
come uno dei punti di maggiore inciampo del governo Renzi.
Le “scelte qualificanti”, sia detto non
senza ironia, riguardano 8 temi estremamente importanti del sistema
scolastico. Il sostegno: rispetto alla legislazione vigente si
riscontrano nella delega peggioramenti che ostacolano l’inclusione e il
diritto a un’istruzione di qualità degli alunni con disabilità, cui
verrà impedito di conseguire la licenza media, ma solo un titolo
equipollente, in un sistema che registrerà la rottura della
collaborazione tra scuola e servizi sanitari nella programmazione, vedrà
la sanità coinvolta solo fino alla valutazione diagnostico-funzionale,
con le scuole lasciate poi da sole a gestire l’intero processo. La
scuola dell’infanzia: dalla legge 444/68 parte del sistema scolastico
nazionale, ora invece da esso separata da una delega che la rende
formalmente un tutt’uno (percorso 0-6) con i nidi di competenza degli
enti locali e – sempre come i nidi – servizio a domanda individuale, con
funzione di custodia dei bambini. Il reclutamento dei docenti, con i
vincitori di concorso – Jobs Act docet - retribuiti 400 euro al mese per
due anni di apprendistato o supplenze. Ancora: promozione della
cultura umanistica, con un inconsueto e raccapricciante accostamento tra
quest’ultima, creatività e Made in Italy; istruzione professionale –
l’indirizzo più problematico del sistema scolastico, quello con la
maggior parte di studenti svantaggiati (economicamente e culturalmente,
il più ampio numero di migranti e di disabili), e che pertanto più di
ogni altro avrebbe il compito di fungere da “ascensore sociale - viene
depotenziata ed indebolita, compiendo definitivamente la parabola
discendente della scuola come strumento di rimozione degli ostacoli che
impediscono il pieno sviluppo della persona e della partecipazione.
Infine l’esame di Stato e la valutazione: alla terza prova
(pluridisciplinare, in grado di intercettare conoscenze, capacità di
collegamento, propensione alla sintesi) si sostituisce l’alternanza
scuola lavoro; nello svilimento intenzionale della tappa finale del
percorso di studi (prossimo passaggio, c’è da giurarci, l’abolizione del
valore legale del titolo di studio) la media del 6 sufficiente per
l’ammissione.
Ecco la scuola
Renzi/Giannini-Gentiloni/Fedeli: servizio a domanda individuale nelle
prime fasi, violazione di quel principio di inclusione che ha reso la
nostra scuola l’unica in Europa a non avere classi e istituti speciali,
ma, viceversa, la sola a praticare quel principio intransigentemente;
saper fare, con commistioni occhieggianti (come al solito in estremo
ritardo) a pratiche rivisitate in salsa italiota di matrice anglosassone
(invalsizzazione); nessuna considerazione della cultura, delle
conoscenze, del pensiero critico analitico, con un titolo di studio
svenduto. Una scuola in cui gli ultimi sono destinati a rimanere ultimi;
in cui il principio di equità non è più l’architrave di una
cittadinanza consapevole, cui tutti hanno diritto ad accedere; e
l’appello per la restituzione di una centralità della lingua italiana
nel curriculum scolastico di più di 200 docenti universitari lo
dimostra; salvo poi chiedere dove erano quei docenti mentre la scuola
della Costituzione veniva programmaticamente smantellata.
I compiti che i poteri forti hanno
dettato in deroga al principio di autodeterminazione, alla sovranità
nazionale e alla democrazia, in base ai quali è il Parlamento che
dovrebbe fare le leggi, sono stati svolti con cura impeccabile,
devozione fideistica e acritico zelo.
Entro poco più di un mese – dopo le
audizioni-farsa – le deleghe dovranno essere definitivamente adottate.
Si tratta dell’ultimo passaggio, pericolosissimo, al quale non possiamo
limitarci ad opporre scetticismo, inerzia, fatalismo. Le elezioni sono
probabilmente alle porte, come si diceva. Occorre dare un segnale forte e
chiaro relativo al fatto che la demagogia non suffragata da azioni
concrete, la manipolazione delle parole, l’ascolto solo verbalizzato e
non praticato, la violenza della autoreferenzialità, che sono stati
parte consistenti del fallimento del PD, continuano a disgustare il
mondo della scuola.
Il momento è particolarmente importante:
il rilancio del Governo su una partita che sembrava provvisoriamente
archiviata – quella delle deleghe – ha creato nella scuola la
frustrazione di un’attesa legittima e un ulteriore strappo in una
relazione già compromessa. Difficile attribuire a quel rilancio un
significato univoco: imperizia, arroganza, dilettantismo, esibita
incuria nel fare i conti con il risultato del 4 dicembre. Più facile
dire che oggi abbiamo un’unica chance: quella di far sentire forte e
chiara – in un clima di protratto, incerto balbettio dei sindacati
confederali, e di uno sciopero annunciato per il 17 marzo dal
sindacalismo di base – la nostra indisponibilità a tollerare tutte e
ciascuna quelle potenziale interpretazioni: le deleghe vanno rigettate
interamente e senza tentennamenti.
Cominciamo a dirlo forte e chiaro il 23 febbraio, partecipando al sit in organizzato davanti a Montecitorio.
Partecipiamo in tanti, convinti. Facciamogli capire che non abbiamo
dimenticato né la violenza del voto di fiducia sulla legge più odiata
della storia della scuola italiana; né – tantomeno – la loro pervicace
esibizione di noncuranza nei confronti di un risultato straordinario,
quello del referendum costituzionale, al quale la scuola italiana ha
consistentemente contribuito. Siamo tanti e in grado di spostare
ulteriormente la stampella di salvataggio di cui il PD si è autodotato,
ma che scricchiola sotto i colpi continui del fallimento delle politiche
economiche e sociali, - di Renzi come di Gentiloni - e dall'ormai
perenne clima da "notte dei lunghi coltelli" interno al PD. Ricordiamo
loro che avrebbero potuto dialogare invece che imporre; riflettere
anziché accelerare. Il tempo sta per scadere.
Marina Boscaino
(9 febbraio 2017)
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