martedì 15 maggio 2018

Muhammad Yunus . «Questo capitalismo è tutto da rifare».

L’economia di mercato non funziona più perché è basata solo sull’egoismo. 
Ma un altro sistema è possibile, anche in 
Occidente. Parla con il "banchiere dei poveri" Muhammad Yunus. 

 

L'Espresso Emanuele Coen

 «Questo capitalismo è tutto da rifare» Chi non vorrebbe un mondo a tre zeri? Niente povertà, niente disoccupazione, niente inquinamento

Progetto iperbolico, utopia irrealizzabile, una pagina nel libro dei sogni. Eppure Muhammad Yunus, 78 anni, il “banchiere dei poveri” che ha inventato il sistema del microcredito e lo ha esportato in tutto il mondo, sostiene che l’umanità può vincere la sfida: un nuovo modello esiste già ed è la risposta all’economia dell’egoismo.

Premio Nobel per la pace (2006), Yunus ha fondato la Grameen Bank 41 anni fa in Bangladesh, il suo Paese, dove oggi è diffusa in migliaia di villaggi. Da allora il sistema - un istituto di credito indipendente che presta soldi senza garanzie - ha fatto il giro del globo, finanziando anche imprese gestite da donne negli Stati Uniti e servizi sociali nelle zone più povere della Francia. Yunus sarà presto in Italia per l’uscita del suo nuovo libro “Un mondo a tre zeri - Come eliminare definitivamente povertà, disoccupazione, inquinamento” (Feltrinelli): lo presenterà a Torino (17 maggio), Milano (18 maggio) e Roma (19 maggio).

«Bisogna riconoscere l’inganno del capitalismo classico, secondo cui la natura umana è egoista. E diffondere un nuovo sistema fondato sull’altruismo, altrettanto potente», dice l’economista dal suo studio a Dacca, in Bangladesh.


Professor Yunus, dal suo nuovo saggio emerge un ritratto impietoso della società. A dieci anni dall’inizio della crisi globale la ricchezza è sempre più concentrata nelle mani di pochi, la povertà è aumentata, la disoccupazione spinge i giovani ai margini, l’inquinamento distrugge l’ambiente. C’è una via di uscita?
«Ci stiamo lavorando. È una teoria ancora in evoluzione, che parte da un assunto importante: il capitalismo finora ha inquadrato l’uomo in una maniera sbagliata, come un individuo indifferente al prossimo. Per fortuna, nel mondo reale, quasi nessuno si comporta con l’egoismo assoluto che si suppone governi l’uomo capitalista. L’uomo reale è molto migliore. E così esistono due tipi di capitalismo: quello individualista, spinto dall’egoismo; quello sociale, che consente di guadagnare ma risolve anche i problemi del mondo».

È il modello proposto dalla banca Grameen. Qual è il bilancio dei primi 40 anni?
«La maggior parte delle persone che beneficia dei prestiti è analfabeta e non possiede beni patrimoniali; molte non hanno mai nemmeno maneggiato denaro in precedenza. Sono spesso donne che non avevano alcun accesso al sistema finanziario. L’idea di fare loro dei prestiti perché avviassero un’attività economica era considerata folle dai banchieri e dagli economisti tradizionali. Ciononostante, oggi Grameen effettua prestiti per oltre due miliardi e mezzo di dollari all’anno a nove milioni di persone povere, soprattutto donne, solo sulla base della fiducia. E gode di un tasso di restituzione del 98,96 per cento».

Una delle critiche più frequenti rivolte alla banca è che i finanziamenti sono troppo esigui per avviare un’attività imprenditoriale.
«È un’affermazione infondata. Non si può nutrire un bambino con il cibo per gli adulti. Chi è povero non è in grado di prendere e utilizzare una grande somma di denaro, rischia di bruciarsi. Deve procedere con gradualità, e pian piano accedere a finanziamenti più importanti. Si possono creare imprese solide anche a partire da piccole somme: per esempio la piattaforma di microfinanza Kiva, pioniera del crowdfunding creata nel 2005, è ispirata alla Banca Grameen. Kiva consente ai singoli di prestare denaro ad altri per progetti che considerano meritevoli, con piccole cifre alla volta, 25, 50 o magari 100 dollari. La velocità di elaborazione dei dati, consentita dalla tecnologia digitale, rende facile trovare rapidamente i progetti a cui si è interessati. E così, imprenditori che non sarebbero considerati degni di credito da parte di una banca tradizionale possono ottenere finanziamenti. Finora Kiva ha messo in contatto 1,6 milioni di persone che hanno prestato denaro a due milioni e 200 mila persone in 82 paesi».

Il microcredito è applicabile solo ai Paesi in via di sviluppo, dicono alcuni esperti.
«È falso. Oggi banche di microcredito che si fondano sugli stessi principi operano con successo in molti altri paesi, fra cui Stati Uniti, Francia, Italia, Gran Bretagna, Norvegia. Oggi la Grameen America ha venti filiali in dodici città con oltre 100 mila beneficiarie, tutte donne, che ricevono prestiti, in media nell’ordine dei mille dollari, per avviare le loro attività. Negli ultimi dieci anni Grameen negli Stati Uniti ha rilasciato prestiti per un totale di un miliardo di dollari, con un tasso di restituzione superiore al 99 per cento. Anche nei paesi più ricchi, un gran numero di persone è impantanato in una condizione di povertà o quasi povertà, perché costretto a fare affidamento su posti di lavoro salariato come unica possibile fonte di reddito. I problemi sono gli stessi nelle ricche città d’Europa o del resto del mondo, dove i poveri sono esclusi dal sistema del finanziamento».

Una sfida al capitalismo nel Paese più capitalista del mondo. Un salto nel vuoto.
«Uno degli insegnamenti fondamentali ricavati dalla Grameen Bank negli Stati Uniti (Gai) è che i princìpi operativi e i sistemi grazie ai quali il microcredito ha successo a New York e nel Nebraska sono praticamente gli stessi sviluppati per i villaggi del Bangladesh. Concediamo un prestito a una donna solo dopo che ha costituito un gruppo di cinque o si aggrega a un gruppo in formazione. Le donne si danno sostegno, consigli e incoraggiamenti a vicenda. Prima di ricevere un prestito, bisogna presentare al personale della Gai un’idea di business e un piano plausibile per realizzarla con successo. Le donne inoltre si impegnano a far frequentare la scuola ai figli, ad aver cura della salute e del benessere delle loro famiglie e ad agire in ogni altro modo per costruire un futuro migliore. La formula del microcredito di Grameen negli Stati Uniti è uguale a quella del Bangladesh».

Il capitalismo è riformabile, dunque.
«Certo. Finora il capitalismo è stato interpretato in maniera sbagliata. L’uomo è al tempo stesso egoista e altruista, dunque il capitalismo deve ridisegnare se stesso sulla base di un paradigma nuovo. Anzi, i due modelli - il capitalismo egoistico e il capitalismo altruista, cioè il business sociale - possono essere realizzati dalla stessa persona. E i giovani devono crescere con la consapevolezza che nell’arco della vita possono realizzare entrambi. L’idea è suddividere la vita lavorativa in due fasi: nella prima bisogna preoccuparsi di mettere solide radici economiche, garantirsi un reddito, prendersi cura della famiglia. Poi, tra i quaranta e i cinquant’anni, comincia la seconda fase, in cui l’individuo deve occuparsi degli altri, cambiare il mondo».

Siamo tutti imprenditori, secondo la sua teoria. In realtà la maggior parte dei giovani, anche in Italia, sogna il posto fisso.
«È così perché non conoscono la verità, si basano su ciò che hanno appreso a scuola. Finisci gli studi e trovi un lavoro, così hanno insegnato, senza indicare alternative. Fin dall’inizio dovrebbero insegnare: devi scegliere, o sei un cercatore di lavoro o un creatore di posti di lavoro. E se non trovi un posto di lavoro, sei un disoccupato. Questo è il modello tradizionale, purtroppo, che blocca le menti e la progettualità. E invece gli esseri umani, per loro natura, sanno risolvere problemi».

Sul tema del reddito di cittadinanza in Italia è in corso un aspro dibattito. Cosa ne pensa?
«Non mi piace il reddito di cittadinanza: è un meccanismo con cui il governo dà soldi a fondo perduto a chi è in difficoltà. Non risolve problemi ma li nasconde, trasmette un messaggio molto negativo. Gli esseri umani sono nati per lavorare e mettere a frutto le proprie potenzialità. Il reddito di cittadinanza parte da un approccio totalmente sbagliato, secondo cui le persone trascorrono la propria vita senza sapere chi sono e chi potrebbero diventare».

Ha dedicato il suo nuovo libro alle giovani generazioni, «che costruiranno una nuova civiltà». Eppure tra i giovani sfiducia e rabbia regnano sovrane. Anche lei cita l’articolo del Washington Post, che riporta un sondaggio secondo cui la maggioranza dei millennial rifiuta il capitalismo.
«Non penso che i millennial comprendano chiaramente che tutti i problemi che vedono intorno a loro sono causati dal capitalismo; penso che stiano semplicemente dicendo che non sono contenti di quel che vedono. Sono molto fiducioso per il loro futuro. Non smetto di dire loro: “Siete la generazione più potente della Storia, perché avete la tecnologia nelle vostre mani”, dovete soltanto decidere cosa volete fare di questo potere. E risolverete i problemi del mondo. I giovani di oggi sono uno dei tre “megapoteri” che trasformeranno la società globale nei prossimi decenni, insieme alla tecnologia e alla struttura politica e sociale che riduca al minimo i problemi di corruzione, ingiustizia e potenziale tirannia».

A proposito di tecnologia, i robot stanno cancellando milioni di posti di lavoro...
«La tecnologia può essere una grande opportunità ma anche una minaccia, dipende dalle decisioni dell’uomo, che può distruggere il mondo premendo un bottone. Su questo tema le Nazioni Unite dovrebbero stabilire delle linee guida. Numero uno: nessuna tecnologia deve nuocere alle persone. Numero due: nessuna tecnologia deve nuocere al pianeta. Bisogna orientare il potere della tecnologia al raggiungimento di obiettivi sociali».

Per forgiare il mondo di domani serve l’aiuto delle persone più ricche della Terra a finanziare le imprese sociali. Come convincerli?
«Nel 2017 l’Oxfam ha annunciato che il gruppo degli ultraprivilegiati, coloro che possiedono una ricchezza superiore a quella di tutta la metà inferiore della popolazione mondiale, si è ristretto a solo otto individui. Sono figure ben note e rispettate, tra cui Bill Gates, Warren Buffett e Jeff Bezos, lo spagnolo Amancio Ortega e il messicano Carlos Slim Helú. Se questi iper-ricchi cedessero metà della loro ricchezza per il bene del mondo, il flusso di denaro cambierebbe immediatamente direzione. Ma non c’è bisogno di persuaderli: hanno già deciso di farlo. Hanno firmato una promessa di donazione in base alla quale promettono di devolvere metà della loro ricchezza per iniziative filantropiche dopo la loro morte. Sono solo una fetta dei miliardari di tutto il mondo che si sono accodati a questa iniziativa. I soldi ci sono, basta indirizzarli nella maniera giusta».

Nessun commento:

Posta un commento