Quando i Jerome Powell e le Christine Lagarde (attuale presidente della Bce) di questo mondo si accaniscono ad alzare i tassi di interesse ben sapendo che causeranno una recessione economica, lo fanno per una preoccupazione, oserei dire un’angoscia: se le persone non accettano più la loro condizione di salariati a basso costo, crolla la base stessa del nostro sistema economico. […]
Prendiamo il nostro Paese come esempio: se guardiamo alla spesa «aggregata» dello Stato italiano, non vedremo alcuna traccia di austerità.
Infatti lo Stato sta spendendo moltissimo in ambito militare e nel sostegno delle imprese (le banche per esempio) che mettono così in sicurezza i propri profitti.
I numeri della spesa pubblica non calano. Ma la questione rilevante è un’altra. Non si tratta semplicemente di vedere se lo Stato spende, quanto piuttosto dove lo Stato spende o, meglio, per chi lo Stato spende.
L’austerità non è una generica azione sulla spesa pubblica intesa come un tutto, è invece un’azione politica che agisce sulla capacità di spesa delle persone e quindi interviene sulla qualità della vita della maggioranza della popolazione, lasciando sostanzialmente protetta e intoccata quell’élite che non vive del salario e dunque principalmente del proprio lavoro ma gode di rendite (immobiliari, finanziarie ecc.) e profitti. […]
Se lo Stato italiano, come la maggior parte degli Stati del mondo, aumenta la spesa militare o quella per salvare e sostenere banche e imprese in difficoltà e al contempo taglia la spesa sociale (sanità, scuola, trasporti, edilizia pubblica, sussidi di disoccupazione e via dicendo), sta trasferendo strutturalmente le risorse dai molti cittadini che dipendono dai salari che guadagnano ai pochissimi che vivono dei redditi da capitale generati dalla ricchezza posseduta. […]
In altre parole, non si tratta per gli Stati di non spendere, ma di «spendere» nella maniera «corretta», ovvero a favore dell’élite economico-finanziaria e a discapito della maggioranza della popolazione.
Mentre ci curiamo in ospedali fatiscenti, studiamo in classi pollaio e facciamo file chilometriche per rinnovare la carta d’identità, i forzieri di Leonardo, produttore di armi, e Autostrade per l’Italia (i cui azionisti sono per metà asset manager stranieri come Blackstone e Macquarie) traboccano di soldi delle nostre tasse.
Queste manovre economiche non sono solo decisioni tecniche, sono scelte profondamente politiche.
Meno risorse sociali abbiamo, meno diritti abbiamo in quanto cittadini e più siamo costretti a comprare tali diritti con il denaro.
Così la nostra dipendenza dal mercato aumenta. Se vogliamo garantire una buona istruzione ai nostri figli, assicurarci cure mediche adeguate, una casa dignitosa, il diritto al trasporto, siamo sempre più vincolati alla necessità di avere soldi a sufficienza, che ci possiamo procurare in un solo modo, vendendo la nostra capacità di lavorare in cambio di un salario. […]
Lo stesso vale per l’altro lato della medaglia dell’austerità fiscale, quello che riguarda le entrate dello Stato: non si tratta di vedere se lo Stato aumenta le tasse ma piuttosto a chi le aumenta.
Oggi la maggior parte dei Paesi fanno riforme del fisco in senso regressivo, ovvero continuano a tagliare le tasse a coloro che hanno redditi da capitale e le aumentano a chi ha redditi da lavoro.
* da “L’economia è politica: Tutto quello che non vediamo dell’economia e che nessuno racconta” di Clara E. Mattei.
Nessun commento:
Posta un commento