venerdì 27 dicembre 2024

Basta parlare di pace per far impazzire l’establishment

E’ bastato un semplice discorso di Putin per capire che anche “fare la pace” in Ucraina non sarà una cosa lineare.

Andiamo con ordine.

Intanto si è capito di cosa hanno parlato nei giorni scorsi il presidente russo e il premier slovacco, il socialdemocratico Fico,  sotto la coltre scandalizzata di parole di condanna del resto dell’Unione Europea. Le trattative per una pace potrebbero partire, e Bratislava si offre come sede.

Lo scandalo – e l’imbarazzo occidentale – sta tutto nel fatto che la Slovacchia è un paese aderente alla Nato e, nonostante questo, la Russia lo considera abbastanza indipendente da costituire quasi una “sede neutrale”.

Del resto, se si guarda al mondo con gli occhiali del bipolarismo guerrafondaio, di paesi “terzi” veri e propri non ce ne sono, a meno di non andare in Asia a cercare di risolvere un problema euro-atlantico…

Il secondo problema posto da Putin è invece di merito: “Vogliamo chiudere la guerra, non congelarla“. Ovvero raggiungere un trattato complessivo non tanto con Kiev – palesemente ormai solo un suicida combattente per conto terzi – quanto con l’intera Nato, a cominciare ovviamente dagli Stati Uniti.

Niente “soluzione coreana” insomma – le due Coree, dal 1953, sono di fatto divise sul 38° parallelo senza che sia mai stato stipulato un trattato di pace con obblighi riconoscibili – come traspariva dalle roboanti dichiarazioni occasionali di Donald Trump (i “democratici” sono invece per la prosecuzione della guerra fino alla “vittoria”).

Comunque la si pensi, nel mondo e nelle mentalità delle superpotenze, appare un’idea piuttosto logica. Un indefinito “congelamento” della situazione lascerebbe di fatto campo libero alla Nato di installare basi militari e anche rampe di missili a lungo raggio in Ucraina, magari anche nucleari.

Basta pensare a come reagirebbero gli Usa alla possibilità della Russia di fare lo stesso a Cuba (accenno avvenuto nel 1962) o in Messico per rendersi conto che questa “soluzione” aprirebbe più incognite tenebrose di quante non ne sciolga.

Questo lo sanno tutti, se non altro ai piani alti di Washington e di Bruxelles. Ma ammetterlo pubblicamente equivale a dire che l’allargamento ad Est della Nato (e della UE) è stato un azzardo dettato da necessità economiche, prima ancora che strategico-militari. E che, dunque, è l’imperialismo occidentale ad avere la responsabilità principale di questa guerra. Come di tutte le altre nel mondo…

E quindi doveva per forza scattare la “controffensiva mediatica” per raccontare al pubblico occidentale la solita storiella della “Russia a pezzi”, prostrata dalle sanzioni economiche” (che stanno distruggendo i pilastri dell’economia europea), “senza più uomini né mezzi” da impegnare sul terreno (ricorderete quando erano “costretti a combattere con le pale”, solo solo pochi mesi di guerra).

Tutte cose, se non inventate di sana pianta, quanto meno mostruosamente esagerate. La prova? Beh, basta guardare a quel che avviene sul terreno, dove gli stessi osservatori Nato ammettono che i russi avanzano ora piuttosto velocemente, aggirando le città per ridurle a “sacche” da cui potrà scaturire solo una resa.

Una seconda prova viene dalle cosiddette “fonti indipendenti” da cui tutti i media occidentali – senza eccezioni – traggono le informazioni che poi trasformano in “articoli” o “reportage” preparati da “professionisti abituati a verificare le notizie”.

La principale, la più citata (e”garantita” come “indipendente”), è l’Institute for the Study of War, gestito dalla “famiglia Kagan”, che l’antropologo francese Emmanuel Todd, certamente non sospettabile di “putinismo”, così descrive dettagliando personaggi, istituto e media:

Partiamo da Robert Kagan, il più scalmanato e violento degli ideologi neoconservatori. E uno dei figli dello storico della guerra Donald Kagan e fratello dello storico della guerra Frederick Kagan, altro figlio di Donald. Vengono tutti da Yale.

Robert scrive libri in cui esalta il contributo che lo strumento militare fornisce alla ‘vitalità della democrazia’. Ha iniziato sostenendo l’amministrazione repubblicana di Bush (fautrice della guerra in Iraq) prima di appoggiare i democratici imperiali (nella guerra in Ucraina).

Robert Kagan é l’orgoglioso marito di Victoria Nuland, ex sottosegretario di Stato, chiamata a occuparsi dell’Europa e dell’Ucraina. La donna si é fatta conoscere nel 2014 per una sfuriata telefonica: «Fuck the EU!».

Ma non é tutto. La cognata di Robert Kagan, Kimberly Kagan, moglie di Frederick, ha fondato e dirige I’Institute for the Study of War (Isw). lo stesso think tank, emanazione diretta del neoconservatorismo, che ha claborato le mappe sulla guerra in Ucraina devotamente riprodotte da «Le Monde» e altrove, ma presentate come provenienti da una fonte indipendente e affidabile.

Inutile dire che questa ‘tribù’, al pari delle altre che costituiscono la “cittadella del potere” nell’establishment statunitense, hanno un interesse vitale – anche personale – nella prosecuzione di qualsiasi guerra, soprattutto se gli Usa non devono mettere “gli scarponi sul terreno”.

Quando le cose, poi, vanno male – perché la realtà mondiale difficilmente obbedisce ad interessi così limitati, ancorché “potenti” – allora cominciano le operazioni che dovranno, o dovrebbero, presentare una sconfitta strategica come una “grande vittoria” in grado di confermare l’”eccezionalismo americano”.

Ne vedremo di ogni, nei prossimi mesi…

 

Nessun commento:

Posta un commento