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Quando ero bimbo, un secolo fa, Babbo Natale alias Santa Claus era solo un dio minore degli splendori natalizi: tutto era ancora focalizzato sul presepe, sui suoi sfondi stellati, e al massimo levitava sotto forma di carta stagnola e cioccolato appeso ai rami dell’albero assieme alle palle traslucide e alle prime lucine intermittenti. I regali li portavano in prevalenza la Befana o Santa Lucia o Gesù bambino e Babbo Natale pareva un’invenzione. Era meglio così perché nelle ancora rare apparizioni del vecchio barbuto tirava fuori un OH OH OH che metteva i brividi, che non apparteneva al personaggio panciuto e bonario cucitogli addosso: aveva come vedremo un’altra più vera e più inquietante natura. Soltanto a partire dagli anni ’60 in poi Santa Claus è diventato il monopolista del Natale man mano che esso si trasformava da ricorrenza religiosa o se si vuole da ancestrale rito di passaggio tra la morte della natura e la promessa della sua rinascita, a culto commerciale ovvero a epicentro della modernità ludica ed inerte al tempo stesso.
Certo con tutto quello che succede sembra ozioso perdere tempo a parlare di queste cose, ma in realtà la presa di potere di Babbo Natale è l’esempio quasi perfetto ancorché laterale dei meccanismi dell’egemonia: innanzitutto è un caso di scuola, per giunta familiare a chiunque, della strategia del pensiero unico che prende un elemento culturale, sociale, politico e senza minimamente cercare di cancellarlo, lo lascia intatto da fuori, ma lo svuota da ogni significato originario per poi riempirlo dei propri. In questo senso la democrazia sta facendo la fine del Natale. Poi, come vedremo, alla celebrazione della divinità viene inopinatamente sostituita l’adorazione di uno spirito del male che appartiene a tradizioni lontanissime ed estranee, profilandosi come emblema di un imperialismo culturale costruito a insaputa delle sue vittime e più omogeneo al sistema di valori e di memi sui attualmente si regge il potere. Non c’è dubbio, come vedremo, che il Natale di oggi è più affine al demoniaco che non al divino.
Partiamo dunque dal Babbo Natale storico, l’omone gioviale vestito di rosso che come tutti sanno fu inventato nella sua iconografia attuale dalla Coca Cola sullo stampo delle immagini prodotte nelle seconda metà dell’Ottocento dal disegnatore di origine tedesca Thomas Nast, una specie di fotoreporter del tempo che usava la matita al posto della macchina fotografica ancora in fasce. Per inciso a lui dobbiamo anche parecchia dell’iconografia garibaldina, avendo seguito la spedizione dei Mille per l’ Illustrated London news, ma la sua opera di addomesticamento di Babbo Natale, non è del tutto casuale visto che Nast, la cui famiglia era dovuta emigrare a causa delle idee socialiste, era anche fortemente anti cattolico e probabilmente la sua interpretazione bonaria di un personaggio per molti versi oscuro era già diretta a una sostituzione laica e sassone del natale tradizionale. Le precedenti iconografie erano davvero diverse e spesso inquietanti come quella che compare nell’ immagine a sinistra perché in realtà avevano un’origine molto diversa dalla narrazione costruita nell’Ottocento. Secondo quest’ultima Santa Klaus non sarebbe altro che San Nicola, noto nel medioevo per i suoi miracoli in soccorso di fanciulle e per elargire doni ai bambini. Ma solo agli inizi del 17° secolo in Olanda nacque ufficialmente il mito di Sinterklaas e i bambini olandesi iniziarono la tradizione di appendere le loro calze al caminetto la sera del 5 dicembre per celebrare la memoria del vescovo. Si dice che quando gli Olandesi nel 1626 fondarono in America la colonia di Nieuw Amsterdam (divenuta poi New York) portarono anche questa usanza peraltro abbastanza recente e peraltro combattuta dal rito protestante. Ma probabilmente si tratta solo di una leggenda metropolitana: bisognerà aspettare il 1809 anno nel quale il saggista americano Washington Irving nella sua sua satira popolare sulla nascita di New York intitolato A Knickerbocker History of New York, facesse diventare Santa Claus un personaggio diffuso della cultura popolare con i suoi caratteri essenziali come ad esempio la slitta volante (anche se era ancora un carro trainato da un cavallo), la discesa dal camino o l’abitudine magica di riempire una calza con i doni. Anche la data di arrivo venne spostata alla notte di Natale, facendo del vecchio una creatura tipicamente americana che si cementerà irrimediabilmente nel pantheon delle american things una ventina di anni dopo con la celebre ( e peraltro davvero brutta) poesia di Clement Clarke Moore, The Night Before Christmas.
Certo è un po’ difficile conciliare tutto questo con un santo ecumenico del cristianesimo e infatti San Nicola non c’entra proprio nulla come origine di Santa Claus, se non nelle assonanze del nome. Del resto non abbiamo alcuna traccia della sua reale esistenza e per questo stessa Chiesa cattolica nel 1969 decretò la rimozione della festa di San Nicola dal calendario romano cattolico, unitamente a quella di altri 40 santi.
Dopo il secondo conflitto mondiale Santa Claus fu richiamato con tanto di slitta, renne ed elfi nei meccanismi propagandistici della guerra fredda. L’estremo occidente americano doveva in qualche modo attrarre e normalizzare l’Europa appena conquistata, ma anche vaste aree dell’ Asia alle quali imporre le proprie allegorie e pure Babbo Natale divenne una cosa seria, anzi preziosa perché lavorava sia sulle vecchie che sulle nuove generazioni cui portava un messaggio di abbondanza e benessere purché si fosse buoni ed obbedienti. L’America stessa si presentava come un Babbo Natale. Proprio per questo Santa Claus e tutto l’universo che si era creato attorno a lui cominciò a suscitare l’interesse di studiosi attratti dalle incongruenze della sua figura e l’incertezza della sua nascita. La prima citazione scritta di Santa Claus compare nel bollettino di Rivington del 23 dicembre 1773 nel quale si dice “Lo scorso lunedì l’anniversario di San Nicola, altrimenti chiamato Babbo Natale, è stato celebrato nella Sala Protestante, presso il signor Waldron; dove un gran numero di figli di quell’antico santo celebrava la giornata con grande gioia e festa”. Dopo questo accenno c bisognerà aspettare Washington Irving perché Babbo Natale fosse salutato come il primo notevole lavoro di immaginazione nel Nuovo Mondo.
In aggiunta a questo si è scoperto che il nome non deriva da uno storpiamento fiammingo (olandese ) di San Nicola, bensì da un’espressione coniata molto tempo prima in Germania e portata dai migranti in America, cosa che del resto è anche più naturale visto che la maggior parte dell’immigrazione bianca più antica nel Nuovo continente è di origine tedesca. E poi perché se il giorno celebrativo di San Nicola era il 6 dicembre per quale motivo la data fu spostata al 25 dicembre? Certo di adattamenti è pieno il mondo, ma è improbabile che un santo venerato in maniera cosi estesa, cambi radicalmente funzione e celebrazione. Evidentemente Santa Claus è un adattamento linguistico, ma si tratta di un personaggio assai diverso da San Nicola.
E seguendo la pista tedesca la maggior parte dei ricercatori giunse alla conclusione che si trattasse di una commistione di elementi che avevano tuttavia la loro radice in alcune leggende nordiche incentrate su un mago che punisce i bambini cattivi e premia con dei doni quelli buoni. Di qui il passo ad individuare il prototipo di Babbo Natale in Wotan o Odino che solca i cieli del solstizio di inverno sul suo carro è persino ovvio, anzi funziona ancora meglio con Thor, dio del fuoco, rappresentato come una divinità corpulenta, gioviale ed amichevole verso gli umani, con una lunga barba bianca e abituato a viaggiare partendo dal suo palazzo tra gli iceberg del polo Nord su un carro trainato da due capre, Cracker e Gnasher. Per di più essendo padrone del fuoco gli erano sacri i camini da cui spesso scendeva per incontrare gli uomini.
Non c’è dubbio che i punti di contatto siano davvero molti, ulteriormente avvalorati dal fatto che Thor ( a sinistra in un dipinto di George von Rosen) è stato il dio pagano che è sopravvissuto più a lungo alla evangelizzazione delle terre del nord, tanto che ancora adesso in Svezia Babbo Natale è identificato con lui, ancorché americanizzato e anch’esso passato attraverso il bagno iconografico della Coca Cola. Così, con grande sorpresa vediamo che il Natale di Cristo è oggi rappresentato, attraverso un lunga catena di trasformazioni e di suggestioni sinergiche da uno dei suoi antagonisti il che è un risultato davvero sorprendente. Non c’è dubbio che la formazione di Babbo Natale abbia attinto inconsapevolmente o meno alla mitologia nordica per così dire più nobile e meno inquietante. Tuttavia queste genealogie dai grandi dei del nord sanno molto di Jane Austen e di quella tradizione letteraria che avrà poi un lungo seguito nella letteratura anglosassone sia come fondazione di un’astratta e salvifica correttezza, ma anche sotto le molte forme di evasività e minimalismo che vanno dal gotico. al giallo, dall’ironia di Wilde al cachinno di Bukowski. Le origini troppo nobili lasciano sempre dubbi e dunque conviene tornare proprio al punto nel quale abbiamo cominciato, ossia a San Nicola o meglio alla sua leggenda trasferite al Nord dall’ambiente mediterraneo nel quale è nata.
C’è un elemento nella leggenda di questo santo, spesso trascurato e per ragioni evidenti: il santo soprattutto è sempre accompagnato da un sinistro aiutante che nelle aree nordiche prende molti nomi a seconda delle lingue e dei Paesi: Scuro, Tenebroso, Aiutante nero, Knecht Rupprecht, Pelznickle, Ru-Klas, Black Peter, Zwarte Piets, e soprattutto Krampus ( da Krampen, artiglio in tedesco) cui sono ancora dedicate sfilate e feste popolari: viene definito diavolo, maligno Satana ad onta del suo lavoro per il santo dentro una evidente commistione di caratteri. Egli interpreta “il ruolo di spauracchio: un nero, peloso, cannibale incubo cornuto, armato di bastone. Impersona il male assoluto, l’orrore finale che potrebbe accanirsi sui bambini negligenti”. Fa ogni cosa al posto di San Nicola, anzi in molte aree e in particolare nella vasta fascia che va dall’ Olanda all’Austria è identificato col santo. Non è certo un caso che la primissima immagine prodotta a suo tempo da Nast fu proprio quella dell’aiutante del vescovo Nicola con l’incarico accessorio di portare le anime dei peccatori all’inferno.
Del resto il nomignolo di Santa Claus è Nick che è pure quello del diavolo. Ma da qui è facile risalire a quell’ inquietante OH OH OH: nelle rappresentazioni e nei giochi del basso medioevo era una sorta di invocazione e di avvertimento ogni volta che il diavolo entrava in scena. Uno studioso di folclore e di mitologia, Phyllis Siefker, ha dedicato molto tempo alla questione e, in un saggio pubblicato nel 1997 scrive: “Il fatto è che Santa Claus e Satana sono alter ego, fratelli, hanno la stessa origine. Superficialmente le due figure appaiono opposte, ma sotto la superficie condividono lo stesso gene”.
Insomma nel caso specifico Babbo Natale prende la sua origine da leggende del nord, in seguito adattate promiscuamente al cristianesimo in cui spiriti maligni e demoni insidiano i bambini e pretendono da essi regali. Spesso sotto forma di capri che sembrano essere gli animali che dalla tragedia greca a Babbo Natale hanno caratterizzato quella che viene definita civiltà occidentale, o meglio del complesso assemblaggio di elementi diversi che la costituisce. Nel paese dove c’è la casa di Babbo Natale, ovvero in Lapponia, il vecchio benevolente si chiama in realtà Joulupukki, ossia Caprone di Natale. E secondo la leggenda si tratta di un antico demone che la notte di Natale va di casa in casa e pretende regali dai bimbi altrimenti li mangia. Più o meno la stessa cosa che fanno i vari Krampus, Schmutzli, Belsnickel, Zwarte Piet e insomma tutta la lunga schiera di demoni in forma caprina via via divenuti gli elfi, ma che in origine erano figure orripilanti uno dei cui prototipi è nell’immagine sopra a destra.
Non è certo facile affrontare le ragioni di ciò che per qualche verso sembra essere una caratteristica ad ampio spettro delle comunità umane e che sono state analizzate nei più diversi modi, ma se il Natale non è più la nascita del figlio di un Dio, Santa Claus è diventato il modello universale sul quale far confluire le culture locali ed è in qualche modo un missionario, un evangelizzatore del capitalismo. Naturalmente, come sempre accade nel mondo contemporaneo, il lato oscuro di Babbo Natale è stato commercializzato sia pure per accenni e ormai le caratteristiche negative del vecchio o di chi li impersona sono al centro degli sforzi hollywoodiani, dei gadgets e delle clip art dal momento che i nuovi tratti portano soldi e profitti. Ma soprattutto Santa Claus è diventato il rappresentante monopolistico, il sovrano maligno e divino insieme dell’ipermerce, ovvero di quei prodotti il cui valore d’uso o utilità pratica è sovrastato dal valore simbolico propiziato dal marchio o dagli sponsor, dai battage a tappeto o anche dal valore immaginativo e illusorio che contengono. In questo senso le ipermerci non solo diventano il legame sociale principale e un sistema di rassicurazione, ma rappresentano sempre anche doni.
Quelli che appunto porta Babbo Natale il quale diventa l’educatore per eccellenza: siamo partiti dall’inesistente San Nicola per comprendere meglio Santa Claus e ci ritroviamo nel bel mezzo del mito del Cargo che risale alla Melanesia e immagina che una nave carica di beni, sia inviata infine dagli antenati per ricompensare le popolazioni della devozione profusa. Il vero problema è che non si tratta più di un rito di passaggio che riguarda i bambini: tutti ormai in un modo o nell’altro avvertono che se saranno buoni verranno premiati oppure saranno mangiati, non c’è più un’età massima per credere alla favole. Solo che ormai quell’ America dei regali si mostra ormai chiaramente il vecchio Krampus, che invece porta sangue. E qualcuno nelle torri che si elevano qui e là nel mondo occidentale fa risuonare il suo sinistro OH OH OH.
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