Ultimo sfregio a Kiev – La catena di comando dell’Alleanza atlantica pianifica la continuazione della guerra assegnando ai vari Paesi membri i compiti e fissando quante e quali risorse ognuno di essi deve dedicare alla difesa.
Fabio Mini – ilfattoquotidiano.it
Con l’intervista al quotidiano Le Parisien, il presidente Zelensky ha dichiarato la capitolazione militare dell’Ucraina. Nel nostro piccolo, l’avevamo annunciata tre anni fa, durante l’invasione, senza palla di vetro ma con un filo di ragionamento. Sarebbe bastato quello ad evitare all’Ucraina mezzo milione di soldati eliminati e 10 milioni di cittadini scappati all’estero. La media di 14 mila soldati e 280 mila cittadini perduti, al mese, per anni. Ed è questo dato nudo e crudo che oggi dovrebbe far ragionare chi sta decidendo la continuazione a oltranza della guerra. Ma in quei giorni Zelensky e chi lo appoggiava dandogli armi e idee fantasiose e disastrose, ma comunque criminali, non volevano ragionare. Per questo siamo stati imbottiti di stupidaggini a tutti i livelli, mentre si tenevano opportunamente nascoste tutte le vulnerabilità di una nazione approntata e addestrata per la guerra nei venti anni precedenti, una guerra impari contro i suoi stessi cittadini.
Una guerra militare e paramilitare, di polizia e bande armate contro i cittadini autonomisti e una guerra civile contro tutti i russofoni, ma anche i romeni, gli ungheresi e i carpatici: vale a dire buona parte dei cittadini ucraini e la quasi totalità di quelli del Donbas e della Crimea. Nel 2004 gli estremisti neo nazisti ucraini aiutati dagli americani avevano preso il potere con una percentuale irrisoria di voti elettorali. Allora iniziarono i pogrom antirussi e i capi di Stato coccolati dagli occidentali dicevano: “Noi avremo case e lavoro, loro no; i nostri figli andranno a scuola, i loro no e resteranno a marcire nelle cantine come topi”. Questo è stato il programma dei vari governanti sostenuti dai neonazisti. Oggi quei personaggi non sono scomparsi e nessuno di loro ha versato una goccia di sudore in guerra. Ancora oggi dicono e fanno le stesse cose. Nel frattempo la catena di comando della Nato sta già pianificando la continuazione della guerra assegnando ai Paesi membri i compiti da svolgere e fissando quante e quali risorse ognuno di essi deve dedicare alla difesa propria e a quella collettiva. Difesa che, ovviamente, visto che il nemico è chiaro può anche prevedere l’attacco preventivo. Questo ha capito dal concetto strategico varato dai governi alleati a Madrid nel 2022 e detto il Comandante supremo della Nato, il generale Cavoli, al Council on Foreign Relations. E fa il suo mestiere. “Prima del 2022 ho passato cinque anni come Comandante delle forze terrestri americane in Europa a addestrare gli ucraini e a rifornirli di armi. Dal 2022 con la nomina a Comandante supremo della Nato ho ripreso alla mano i piani di guerra che erano stati abbandonati nel 1989 e sono orgoglioso di annunciare che non immaginavo tanta coesione e voglia di combattere da parte dei Paesi Nato”. Da parte sua il Segretario generale della Nato, l’olandese Mark Rutte, e il compatriota ammiraglio Bauer, chairman del Comitato Militare stanno facendo la spola tra gli alleati per confermare gli aiuti all’Ucraina anche senza gli americani. Il francese Macron sta contrattando con Zelensky l’invio di truppe e tutti, dalla Gran Bretagna alla Polonia, meno russi e ucraini, stanno vedendo come sfasciare l’Europa e spartirsi l’Ucraina. Per adesso, la capitolazione militare annunciata da Zelensky non è condivisa dagli “amici” europei e atlantici che hanno puntato tutto sulla vittoria militare ucraina. La Nato ha già assunto il compito di gestione degli aiuti militari (una semplice formalità e partita di giro visto che i vertici della Nato sono gli stessi americani) e ora sta puntando sull’invio di 300 mila soldati in Ucraina, il minimo indispensabile per sei mesi di guerra ma che può prosciugare i bilanci nazionali per i prossimi tre anni. È evidente che Zelensky ha voluto saggiare il terreno e, in previsione di un prossimo disimpegno americano, ha allertato gli europei e la Nato sulla fine del sacrificio ucraino per “la sicurezza europea e del mondo”. Zelensky si è però premurato anche di chiedere all’Occidente di esercitare tutta la sua capacità diplomatica per convincere la Russia a negoziare. In pratica ha capito che dopo la capitolazione militare non può affrontare la capitolazione politica. E su questo terreno si trova avvantaggiato almeno a giudicare dagli sbaciucchiamenti che riceve da tutti i leader europei e dai funzionari dell’Unione o della Nato. In realtà la cosa è complicata: in questi ultimi tre anni, tutta la compagine euro-atlantica ha dimostrato di non avere né voglia né capacità di negoziare alcunché. L’Ucraina ha messo per iscritto questa posizione intransigente. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e tutti gli altri l’hanno sostenuta a meno di un paio di governanti reietti che presto verranno anche sanzionati. Inoltre, alla volontà collettiva occorre aggiungere la capacità individuale. Siamo arrivati a questa situazione disastrosa grazie al fattivo apporto di individui mediocri, dilettanti allo sbaraglio e personalità di rango ma con interessi diversi dalla sicurezza europea. Se la politica e la diplomazia internazionale devono avvalersi di tali “negoziatori” per sostenere la causa ucraina come hanno fatto nei Balcani, in Iraq, Libia, Afghanistan, Siria e Israele possiamo solo immaginare il peggio.C’è poi il fatto ovvio delle intenzioni russe: quanto e cosa sarà disposto a negoziare il Cremlino? Lo stesso appello alla diplomazia per salvare la politica dell’Ucraina e ottenere a tavolino ciò che ha perso e può ancora perdere sul campo è un segnale di debolezza. L’impegno di Rutte a buttare uomini e armi della Nato “fino a quando l’Ucraina non sarà in grado di prevalere nei negoziati” è l’anticipazione di un altro disastro militare e politico. Dal punto di vista militare, in Ucraina la Russia ha agito in maniera quasi reticente, come se non volesse la vittoria militare sul campo: non ha mobilitato tutte le proprie forze, ha ceduto spazio in fretta per poi riprenderlo con calma, non ha colpito i centri nevralgici del Paese, non ha reagito in maniera scomposta alle provocazioni e agli attacchi. Ha impiegato la metà delle forze americane e alleate inviate in Iraq e in Afghanistan contro Stati bolliti e falliti. Se l’Ucraina fosse stata ai confini statunitensi e avesse minacciato gli interessi americani sarebbe stata smantellata in tre settimane. La Russia aveva la stessa capacità e non l’ha fatto. È evidente che ha sempre voluto e perseguito la vittoria politica, tuttavia, oggi, come il primo giorno di guerra, essa si basa su tre condizioni fondamentali: 1. Accordo sulla sicurezza europea, che significa accordo sullo status delle aree occupate, ripristino degli scambi e degli accordi sul controllo degli armamenti, 2. Denazificazione dell’Ucraina, che significa rovesciamento dell’attuale impianto politico ucraino, 3. Neutralizzazione della minaccia militare della Nato contro la Russia, o quantomeno neutralità ucraina garantita dall’impegno reciproco di non aggressione tra Stati Uniti, Nato, Unione europea e Russia. E non è tutto. Solo per sedersi al tavolo di un negoziato occorre essere disposti a riconoscere le proprie responsabilità. Portare la Russia al tavolo negoziale può essere un’impresa politicamente, storicamente e umanamente salutare per tutto il mondo. Si assisterebbe allo scambio di garbate accuse tipico della diplomazia, ma si sentirebbero anche le campane diverse dalla propaganda o dalle dichiarazioni e dai mandati di cattura unilaterali ai quali ci hanno abituato l’Ue, la Nato e l’Ucraina. Un negoziato tra parti non ancora individuate come vincitrici e vinte, come quello che vorrebbe Zelensky, comporta la spiegazione dei fatti. Si dovrebbe ammettere ciò che ha portato alla guerra, cosa è avvenuto a Bucha, a Mariupol, a Kherson, a Kursk, alle dighe, ai ponti saltati, alle fosse comuni e all’uso di armi illegali. Ai processi, prima delle condanne, si esibirebbero le prove e sentirebbero i testimoni. Sempre ammesso che ci arrivino vivi.
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