mercoledì 9 ottobre 2024

Una domanda… e per Kamala è il disastro

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È stato un vero scandalo per l’informazione americana, qualcosa di ormai desueto: un giornalista della Cbs, Bill Whitaker, ha intervistato a 60 minutes Kamala Harris e invece di stendere il consueto tappetino votivo, ha fatto il giornalista. Ha fatto vere domande e ha insistito per ricevere delle risposte, costringendo la candidata quanto meno a formulare i propri slogan  in maniera leggermente diversa dal solito e infine a correre come il topolino sulla ruota delle parole. Forse il fatto che Whitaker sia nero lo ha liberato dal consueto rosario conformista, soprattutto riguardo all’immigrazione selvaggia: fatto sta che è bastato porre delle domande vere per accartocciare l’immaginetta votiva dei sedicenti democratici, nonostante il fatto che poi l’emittente abbia tagliato le parti in cui la candidata si è persa nella sua consueta insalata di parole prive di senso.

La vacuità della Harris, peraltro riscontrabile in buona parte del milieu politico occidentale, è stata inarrestabile come il nulla della Storia infinita: l’intervistatore ha infatti chiesto a Kamala  perché l’amministrazione Biden-Harris avesse iniziato ad affrontare la questione migratoria solo di recente, dopo quasi quattro anni e un’ondata senza precedenti di attraversamenti illegali delle frontiere. Lei  ha dato la colpa roboticamente al Congresso e a Donald Trump, “che vuole candidarsi su un problema invece di risolverlo, così ha detto ai suoi amici al Congresso uccidete il disegno di legge, non lasciatelo andare avanti”.  

Incredibile, però  Whitaker non si è fatto scoraggiare e ha chiesto “Ma c’è stata un’ondata storica di immigrati clandestini che hanno attraversato il confine nei primi tre anni della sua amministrazione, gli arrivi sono quadruplicati rispetto all’ultimo anno dell’amministrazione Trump. È stato un errore allentare le politiche sull’immigrazione così tanto?” Questo ha mandato in crisi il sistema ad alternanza di slogan con il quale funzione la Harris che ha tentato di trillare:  “È un problema di vecchia data, le soluzioni sono a portata di mano e dal primo giorno, letteralmente, abbiamo offerto soluzioni”. Sorpresa… l’intervistatore anche questa non  ha accettato di farsi coglionare e ha interrotto il gorgheggio: “Quello che chiedevo era: è stato un errore permettere che si verificasse un’invasione del genere?” Altro nulla kamaliano in arrivo: “Penso che le politiche che abbiamo promosso siano state volte a risolvere un problema, non a promuoverlo”. 

“Tuttavia  i numeri sono quadruplicati sotto la sua supervisione”… ha continuato  l’intervistatore cercando una risposta e non solo un profluvio di parole. Invano perché la Harris sembrava davvero un bot:  “I numeri di oggi… grazie a ciò che abbiamo fatto, abbiamo tagliato il flusso di immigrazione illegale, abbiamo tagliato il flusso di fentanyl, ma abbiamo bisogno che il Congresso agisca”. Frasi fatte, senza senso e comunque illogiche: prima si vanta di aver diminuito il flusso dell’immigrazione, poi dice che questo deve farlo il Congresso. Torna a casa Lassie. Fatto sta che ogni volta che Kamala apre bocca il consenso potenziale vola via. E ora il disastro di questa  intervista in cui è per giunta apparsa infastidita dal fatto che le si rivolgessero delle vere domande e che il giornalista non lasciasse perdere come accade normalmente. Non è un caso che ancor prima della messa in onda di 60 minutes si siano diffuse voci sulla sua magra figura e il mercato delle scommesse ha virato vertiginosamente verso Trump. Poiché si tratta degli unici “sondaggi” reali e non inventati o manipolati c’è da credere che sul clan Obama cominci a piovere. non proprio acqua a quanto pare.

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